Letteratura

De rerum natura. Il pensiero “incendiario” di Lucrezio.


 

Composto nel I secolo a. C., il De rerum natura, poema di Tito Lucrezio Caro che in sei tomi illustra in chiave poetica la filosofia di Epicuro, ebbe storia travagliata come si legge nel libro di Stephen Greenblatt Il manoscritto. Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia europea. 

Colpito dall’anatema della chiesa cristiana che in esso scorse un libro pericoloso per la spregiudicatezza delle idee espresse, il poema finì nel dimenticatoio per lunghi secoli e lì rimase, -salvo essere rispolverato di tanto in tanto unicamente come esempio di bello stile-, fino a quando nel 1417 venne ritrovato in un’abbazia benedettina tedesca dall’umanista Poggio Bracciolini.

L’opera, della quale successivamente vennero rinvenute altre due copie frutto del lavoro di monaci amanuensi, poté tornare così a nuova vita, trovando appassionati cultori in intellettuali -scrittori e uomini di scienza- dal Rinascimento in avanti.


A rileggere oggi il De rerum natura è facile comprendere che potesse nel Medioevo far gridare allo scandalo: nell’opera sono espressi il rifiuto delle religioni, l’esaltazione del piacere unico scopo dell’esistenza; la negazione dell’aldilà; l’idea che la morte vada accettata perché tutto nella vita è transitorio; la tesi che l’universo è infinito; il principio che la ratio -dunque la ricerca della verità- debba liberare l’uomo dall'oppressione della religio e dei dogmi; la negazione dell’immortalità dell’anima; ma vi è soprattutto l’idea, attorno alla quale ruota l’intero sistema filosofico di Lucrezio, che l’universo è materia e che della materia gli atomi sono le infinitesimali particelle.

Insomma, nel poema c’è quanto basta a spiegare perché esso possa essere stato considerato per oltre 1000 anni un’opera del demonio.
 

La fisica atomistica contro l’oppressione della religio

 

Come per Epicuro, che a sua volta aveva attinto la teoria atomistica da Democrito e Leucippo (V secolo a.C.), per Lucrezio l’universo è materia e alla base della materia ci sono gli atomi, infinite particelle infinitesimali che si muovono nel vuoto anch’esso infinito.

 

A questo proposito voglio che tu sappia anche

che, quando i corpi cadono diritti attraverso il vuoto

per il loro peso, in qualche tempo e luogo

non definiti deviano per un poco, tanto che appena

può dirsi modificato il loro percorso.

Se non usassero deviare, cadrebbero tutti

come gocce di pioggia nel vuoto profondo,

non si produrrebbero scontri né urti

fra gli elementi, e la natura non avrebbe creato mai nulla.

Se c’è chi crede che i corpi più pesanti, cadendo

dritti nel vuoto a maggiore velocità, per ciò possano

piombare dall’alto sui corpi più leggeri e in tal modo

produrre gli urti che diano vita ai moti generativi,

va molto lontano dalla vera ragione.

Tutte le cose che cadono attraverso l’acqua e l’aria

sottile accelerano necessariamente il proprio moto a seconda del peso,

perché la sostanza dell’acqua e la tenue natura dell’aria

non possono trattenere ogni oggetto alla stessa misura,

ma cedono più velocemente, vinte dai corpi di maggior peso.

Ma in nessuna parte e nessun momento

il vuoto può resistere a qualunque cosa

senza ritirarsi, come chiede la sua natura;

per ciò tutti i corpi, attraversando il vuoto immobile,

devono cadere egualmente, pur avendo peso

diseguale. Dunque i più pesanti non potranno mai

piombare dall’alto sui più leggeri e produrre gli urti

capaci di modificare il moto per cui la natura dà vita alle cose.

È dunque necessario che i corpi deviino

un poco, non più di un minimo: non dobbiamo immaginarci

movimenti obliqui, smentiti dalla realtà stessa.

Vediamo infatti ben chiaro ed evidente

che di per sé i corpi non possono muoversi obliquamente

quando precipitano giù dall’alto, come si può vedere.

Ma chi è che può vedere che non deviino

assolutamente dalla linea retta nel loro percorso?

Infine, se ogni movimento è connesso ad altri,

e il nuovo nasce dal vecchio in un ordine determinato,

e gli elementi deviando non provocano

l’inizio di un moto capace di spezzare le leggi del fato,

in modo che la causa non segua la causa all’infinito,

da dove nasce in terra per gli esseri viventi, ti dico,

la libera volontà indipendente dal fato,

grazie alla quale procediamo ognuno dove lo guida

il piacere, e deviamo dal nostro percorso non in luogo

né in tempo determinato, ma quando lo decide la mente?

Senza dubbio è la volontà di ciascuno che dà inizio

a tutto ciò, e di qui i moti si diffondono per le membra.

[…]

Non vedi dunque che, benché una forza esterna costringa

spesso molti uomini a procedere contro il loro volere

e a farsi trascinare a precipizio, tuttavia c’è nel nostro petto

qualcosa che può fare resistenza e combattere?

Al suo volere anche la massa della materia

è spesso costretta a piegarsi attraverso le membra e gli arti,

e a frenarsi e a indietreggiare nel proprio slancio.

È dunque necessario riconoscere che anche nei corpi elementari

c’è un’altra causa di moto oltre agli urti e al peso,

da cui ci arriva questa facoltà innata

poiché sappiamo che nulla viene dal nulla.

Il peso impedisce che tutto si produca attraverso gli urti

come per una forza esterna. Ma che la mente

in tutto ciò che compie non abbia una necessità interna,

che non sia sconfitta e costretta a sopportare,

ciò nasce proprio dalla piccola inclinazione degli elementi

che avviene in un momento e un punto indeterminati.

 

De rerum natura II, vv. 216-293, traduz. Zanichelli online

 

Gli atomi si muovono cadendo nel vuoto tutti ad eguale velocità e indipendentemente dal loro peso, pertanto è in errore chi creda che gli atomi più pesanti possano raggiungere nella caduta quelli più leggeri, perché il vuoto, diversamente da ciò che fanno l’acqua e l’aria, non offre resistenza al loro movimento.
Gli atomi non si muovono sempre e soltanto in verticale, se così fosse essi cadrebbero come pioggia verso il basso, non urterebbero gli uni contro gli altri e nessun corpo si formerebbe; essi dunque si muovono anche secondo una leggera deviazione -clinamen-, che li porta ad aggregarsi, formando così i corpi e producendo al contempo altri moti.
 

Dal movimento degli atomi nel vuoto, nei vv. 251-293 Lucrezio passa a considerare la mente dell’uomo.


La volontà umana è insieme dimostrazione ed esempio di clinamen
: come gli atomi deviano, sia pure minimamente, dal loro movimento verticale, così la volontà, libera inclinazione della mente, devia da qualunque percorso prestabilito così che, sottraendo l’uomo alla necessità del fato o a qualunque forza esterna che volesse trascinarlo a precipizio, gli consente di scegliere e di agire liberamente.

 
In un siffatto universo, in cui ogni cosa è materia, nulla è immutabile e le azioni degli individui sono il frutto del libero arbitrio -clinamen della volontà che vira in direzioni non prestabilite-, non c’è spazio per divinità creatrici di vita e
/o artefici del destino umano.

 

 

O genus infelix humanum

 

Quale causa ha diffuso gli dei tra i grandi popoli

e riempito di altari le città e fatto in modo

che si compissero i riti sacri che oggi

fioriscono nelle grandi sedi e occasioni,

da dove ancor oggi si insinua negli uomini

il terrore che in tutto il mondo innalza nuovi templi agli dei,

e costringe a frequentarli nei giorni di festa,

non è difficile da spiegare a parole.

 

Già da tempo i mortali vedevano a mente sveglia

le splendide immagini degli dei, e ancor più

 

in sogno vedevano i loro corpi mirabilmente cresciuti.

A questi attribuivano la sensibilità perché parevano

muovere le membra e dire parole superbe,

adeguate al bellissimo aspetto e al loro grande potere.

E attribuivano loro la vita eterna perché il loro aspetto

 

si rinnovava sempre e la forma restava la stessa,

ma ancor più perché pensavano che, forniti di tanta forza,

non avrebbero mai potuto esser vinti da nessuna forza.

Pensavano che avessero la maggiore fortuna,

perché nessuno di loro era tormentato dalla paura

della morte, e li vedevano in sogno compiere molti

prodigi, senza risentirne nessuna fatica.

   […]

Oh stirpe infelice degli uomini, quando assegnò questi eventi

agli dei e vi aggiunse le loro aspre collere!

Quanti gemiti procurarono a se stessi, e quante

ferite a noi e lacrime ai nostri figli!

 

De rerum natura V, vv. 1161-1197, traduz. Zanichelli online

 

La religione nasce dall’errore e gli dei sono un’illusione.
L’idea del divino nacque presso gli uomini primitivi i quali, ignorando la vera origine delle cose, ne attribuirono la causa ad esseri che nei sogni vedevano maestosi e potentissimi, eterni ed eternamente felici, gli dei. Da allora in avanti, gli uomini presero a prostrarsi terrorizzati al loro cospetto temendone la forza e la vendetta, in loro onore cominciarono ad erigere altari e a sacrificare animali, tutta la propria vita consegnarono nelle loro mani diventando così schiavi infelici.
 
Se l’universo è materia e gli dei sono una favola priva di costrutto, non c’è ragione di temere la morte e non soltanto perché non esiste aldilà in cui siano dispensati punizioni o premi come la religione abitua erroneamente a credere
(crfr, De rerum natura III, vv 1014-1023), ma anche perché quando avverrà la scissione del corpo e dell’anima di cui siamo insieme formati, è certo che a noi, che non ci saremo, niente potrà accadere e stimolare i nostri sensi, neanche se la terra si mescolasse al mare e il mare al cielo (crfr, De rerum natura III, vv 838-942)

 
Idee scandalosamente rivoluzionarie quelle espresse nel De rerum natura.
Tuttavia, la modernità di Lucrezio non è solo in ciò che dice -non c'è  aldilà, non ci sono dei, la religione non ha motivo d'essere- ma è soprattutto nel metodo
: vale a dire nella forza di un pensiero rigoroso e lucido che, alla luce della Ragione -e così anticipando di secoli l'opera di G. Bruno e di G. Galilei-, smaschera inganni, demolisce superstizioni, restituendo così all'uomo libertà dalla paura.

 


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