Letteratura

Svevo. La coscienza. Capitolo finale



Psico-analisi


Seguendo il consiglio dello psicanalista dottor S., Zeno ha portato a termine il diario che avrebbe dovuto condurlo alla coscienza di sé e svelargli l’origine della sua malattia: ha riempito quelle pagine di ricordi e riflessioni, si è interrogato su se stesso e sul mondo, ripercorrendo con la memoria le tappe più significative della sua vita, dall’infanzia alla morte del padre, dal matrimonio con Augusta al suicidio di Guido, dal rapporto con l’amante all’insperato successo negli affari.



Il capitolo conclusivo del romanzo costituisce il punto d’arrivo del cammino di Zeno verso la coscienza: egli giunge alla conclusione di essere guarito.


24 marzo 1916

... La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati.
La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è

messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza… nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!
Ma non è questo, non è questo soltanto. Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte piú considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandí e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre piú furbo e piú debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha piú alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del piú forte sparí e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno piú, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ piú ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

 
 

Zeno dichiara di essere guarito. Anzi, in realtà Zeno comprende di non essere mai stato malato: ha consultato uno psicanalista perché lo aiutasse a scoprire l’origine del suo disagio, della sua incapacità a realizzare progetti e a governare gli eventi come sembrano fare i sani; ma scopre che la difficoltà di stare al passo con la vita è difficoltà di tutti, perché la malattia -per giunta mortale- è la vita stessa. La vita procede in un casuale alternarsi di crisi e miglioramenti, momentanee riprese e inevitabili ricadute, successi e fallimenti, conquiste e perdite: imprevedibile nel suo caos; proprio come una malattia incurabile sfugge ad ogni controllo, allo stesso modo essa non si lascia dirigere, procede per proprio conto e indipendentemente dalle scelte o dai progetti degli individui. In mille occasioni Zeno ha sperimentato (o ha osservato intorno a sé) l'assurdità della vita che a caso dispensa premi o castighi. Zeno ha ottenuto dalla vita più di quel che meritasse: ha sposato Augusta per vigliaccheria, ma negli anni paradossalmente il matrimonio si è rivelato felice; ha avuto successo negli affari a dispetto della propria inesperienza. Intanto intorno a lui altri soffrivano immeritatamente come Ada, che si ammalava riducendosi l'ombra di se stessa o suo marito Guido che, pragmatico uomo d'affari, precipitava nella rovina finanziaria e poi moriva suicida. 


La vita stessa è malattia e l'uomo non può che esserne spiazzato


Qualunque sforzo di darci la salute è vano” e coloro che per anni Zeno ha invidiato credendoli sani, perché apparentemente padroni di sé e capaci di dominare gli eventi, sono ancor più malati perché inconsapevoli della propria connaturata inettitudine o incapaci di accettarla. Se gli animali, -come sosteneva Darwin- sopravvivono adattandosi all’ambiente e poi vivono più forti, l’uomo è per natura un ineptus (inadattoalla vitaperennemente scontento di ciò che essa gli regala o per ciò che gli nega, egli è condannato alla frustrazione di non riuscire ad orientarla secondo i propri desideri e a vivere esposto ai suoi capricci. (1) 

Linettitudine, dunque, non è prerogativa del singolo individuo (Zeno lo ha compreso), essa è condizione esistenziale dell'uomo, costante scarto tra ciò che egli desidera e ciò che può.


Per sopperire alla propria inadeguatezza, l'uomo, occhialuto animale intelligente, costruisce ordigni/strumenti (armi, oggetti o categorie di pensiero valide a fornire un senso) che gli diano l’illusione di possedere la salute e di essere in grado di piegare la vita ai propri fini. Nati dalla mente umana, gli ordigni finiscono con l'assumere vita propria; sempre più forti e autonomi dalla mano che li utilizza, essi originano effetti catastrofici (è evidente l'allusione di Svevo alla guerra) rendendo così l'uomo ancor più debole e malato... In un ciclo infinito.


Non esiste guarigione dalla vita se non nell'accettarla così com'è (altra affinità con Leopardi) oin alternativa, sperare di poter ricominciare da zero -conclude Zeno- e che un uomo più malato di altri fabbrichi un ordigno in grado di fare tabula rasa, polverizzando la vita e con essa l'inettitudine umana...


E allora la terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.



(1) Svevo attinge tanto al darwinismo che alla filosofia di A. Shopenhauer, cfr, Il mondo come volontà e rappresentazione 

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