Letteratura

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Aldo Palazzeschi, la poesia come gioco


Introduzione



Aldo Palazzeschi
(pseudonimo di Aldo Giurlani, 1855-1974
aderì per qualche tempo al Futurismo, dal quale si allontanò alla vigilia della Prima guerra mondiale perché non ne condivideva l’acceso interventismo.

Agli anni del conflitto, al quale Palazzeschi dovette partecipare sia pure dalle retrovie, risale la composizione dell'opera Due Imperi...mancati, vero manifesto dell’antibellicismo di Palazzeschi e insieme atto d’accusa nei confronti degli intellettuali-in special modo i futuristi-che avevano voluto l’entrata in guerra dell’Italia, rendendosi corresponsabili di quel bagno di sangue.

 
Poeta saltimbanco


Poeta e romanziere, Palazzeschi occupa un posto speciale nel panorama letterario italiano: in un periodo contrassegnato da eventi drammatici, mentre la poesia si chiude nella malinconica fuga dalla realtà dei crepuscolari o nella polemica violenta dei futuristi, Palazzeschi dà vita ad una poesia garbatamente giocosa e ironica, che per contenuti e stile è lontanissima dalla poesia ufficiale.
 
E lasciatemi divertire!
 

Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi.
 
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente -!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
 
Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
 
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione.
 
Farafarafarafa,
tarataratarata,
paraparaparapa,
laralaralarala!
 
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie.
 
Bubububu,
fufufufu,
Friu!
Friu!
 
Ma se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?
 
Bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù.
U
Non è vero che non voglion dire,
vogliono dire qualcosa.
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.
 
Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!
 
Ma giovinotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
un sì gran foco?
 
Huisc… Huisc…
Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku… Koku koku,
Sciu
ko
ku.
 
Ma come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.
 
Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.
 
Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro:
gli daranno del somaro.
 
Labala
Falala
falala
appoi lala.
Lalala, lalala.
 
Certo è un azzardo un po’ forte,
scrivere delle cose così,
che ci son professori oggidì,
a tutte le porte.
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
 
Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire
 

 

Dietro l’apparente insensatezza del linguaggio, che per l’uso di suoni onomatopeici ricorda molto quello prerazionale e alogico dei bambini, si cela la critica dissacrante al linguaggio retorico della poesia ufficiale, ai suoi toni pomposi e solenni, così come alla sua pretesa di comunicare verità assolute. Il poeta per Palazzeschi non è il veggente che coglie significati nascosti come per il Simbolismo /Decadentismo, non ha la missione di illuminare il lettore sulla verità delle cose, è un solo saltimbanco che rivendica il diritto di divertirsi, di scrivere corbellerie da somaro e strofe bisbetiche, poco importa se così provoca la reazione indignata di un certo pubblico o dei critici.


Una dichiarazione di poetica, ma insieme una precisa filosofia della vita: in Palazzeschi la leggerezza del gioco si sostituisce al pessimismo della ragione, lo sguardo divertito sul mondo prende il posto della seriosità dei filosofi e pensatori, perché non c’è nulla di più inutile che prendere la vita troppo sul serio o, peggio, fare del vittimismo; molto meglio una risata liberatoria.

 
È il senso del testo che segue:
 
Chi sono?
 

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
“follia”.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
“malinconia”.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
“nostalgia”.
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
 

 

Il poeta saltimbanco, come chiunque, ha esperienza del dolore, è un clown dal cuore triste: la sua anima conosce la malinconia, (Non ha che un colore la tavolozza dell’anima mia: “malinconia”), sa cosa sia la nostalgia (Non c’è che una nota nella tastiera dell’anima mia: “nostalgia”) tuttavia lascia che a parlare sia la sua parte folle (Non scrive che una parola, ben strana, la penna dell’anima mia: “follia”) quell’anima fanciullesca e irrazionale, un po’ furfantesca e trasgressiva, che si diverte a scarabocchiare buffonerie così da esorcizzare ansie e tristezze.


In entrambe le poesie, dunque, è la stessa la stessa rivendicazione del diritto al gioco perché liberatorio e catartico.
 

 
Romanziere ironico
 

Le sorelle Materassi, romanzo pubblicato nel 1934, è un altro esempio dell’ironia di Palazzeschi e di quel suo sorridere della vita che ce lo fa apprezzare.


La storia ruota intorno a due sorelle, Teresa e Carolina, cinquantenni ricamatrici toscane dall’ingenuità fanciullesca e dalla genuinità popolana. Con loro vive una terza sorella, Giselda, che è stata abbandonata dal marito ed è stata riaccolta in casa.


La vita delle tre donne è stravolta quando, alla morte di una quarta sorella, esse ospitano l’orfano, un ragazzo che sprizza vitalità da tutti i pori, bello come un dio greco, spiritoso. 


Iperprotettive e innamoratissime di quel nipote, le sorelle lo accudiscono e lo viziano fino a diventare schiave dei suoi capricci, spendono per lui più di quello che guadagnano con il lavoro di ricamatrici. Giselda, rancorosa e inacidita dalla vita, è anche l’unica a capire di che pasta sia quel ragazzo, un perditempo approfittatore, ma quando cerca di aprire gli occhi alle sorelle, loro la zittiscono con la minaccia di cacciarla a calci nel sedere proprio come ha fatto il marito. Quando Remo -questo il nome del ragazzo- abbandonerà le zie per sposare l’americana Peggy, alle vecchie sorelle non rimarranno che rimpianti e ricordi. Anche il denaro sarà solo un ricordo, perché pure quello sparirà con Remo.

 

Se questa è la trama ridotta all’osso, gli episodi divertenti sono innumerevoli. Esilarante il racconto dell’incontro con il Papa:

 

Avendo eseguito una pianeta per un cardinale di Curia, ed essendo stata ammiratissima fino nelle anticamere di Sua Santità, per mezzo del Cardinale Arcivescovo di Firenze le due sorelle vennero informate che il Santo Padre le avrebbe ricevute in udienza particolare con un gruppo di poche altre persone.


Convocate a Roma alla presenza del Pontefice, le sorelle sono agitatissime, talora hanno crisi di pianto, Carolina dimagrisce di tre chili nell’arco di un mese, tutte lavorano giorno e notte per confezionare una stola che sia degna del Papa.


Una mattina di giugno, “col sole squillante nel cielo di un azzurro denso e uguale, tremando come colombe spaventate, arrivano a Roma accompagnate da un prelato di Firenze.
Giunte in prossimità del “palazzo apostolico, più si avvicinano più si sentono inghiottite dalle fauci di quella mole”.


Nella sala delle Benedizioni, attendono tremanti l’arrivo del Pontefice mentre ne immaginano la solennità maestosa.

Quando finalmente la porta si apre, un fascio di luce illumina la figurina di un vegliardo malfermo sulle gambe, sdentato e non del tutto lucido.
Le sorelle Materassi, finora impietrite dall’emozione, trovano il coraggio di rompere il ghiaccio e chiedono la benedizione.
 

<<Per l’anima di nostro padre! Per l’anima di nostra madre! >>
…E il Pontefice annuiva col capo …
<< Per nostra sorella di Ancona…. Per quella di Firenze ..Per tutti gli abitanti del nostro paese >>
Al che il Pontefice, sorridendo più aperto fino a mostrare la bocca rossa priva di alcuni denti, presa fra le mani la faccia di Carolina come si fa con un fanciullo….
<<Per tutti, per tutti…>>


 

Sbrigativo, il Pontefice impartisce apostolica benedizione valida per tutti, proprio tutti -presenti e assenti, vivi e defunti- perché ha fretta di concludere.


La comicità dell'estratto scaturisce dal contrasto tra l’apprensione trepidante delle sorelle e il capovolgimento finale, quando la solennità dell’evento tanto atteso si ridimensiona al cospetto di un vecchietto che a stento capisce ciò che gli viene detto e benedice frettolosamente per poter passare oltrePalazzeschi bonariamente dissacrante, considerando che il Papa è quel Pio X che letteralmente passerà oltre nell’agosto del 1914, a due mesi da quel giugno pieno di sole dell’udienza-Materassi.

 

La giocosa ironia di Palazzeschi non risparmia nessuno, neppure il Santo Padre…che tuttavia non credo si sia rivoltato nella tomba per questo.