Diversi per carattere e formazione culturale, poeta estetizzante l’uno e pragmatico uomo di potere l’altro, D’Annunzio e Mussolini ebbero un rapporto di amicizia conflittuale, un odio-amore che li legò per molti anni.
I due s’incontrarono sul terreno dell’interventismo, convinti entrambi che l’Italia dovesse partecipare alla Prima guerra mondiale (Mussolini fu per questo cacciato dal PSI e dalla direzione dell’Avanti) per poi condividere la stessa delusione all’indomani del trattato di Versailles che, alla fine del conflitto assegnò all’Italia Trento, Trieste e l’Istria, ma non Fiume, che d’altronde non era stata contemplata nel patto di Londra del 1915.
Intanto, nel marzo del 1919 Mussolini fondò i Fasci di combattimento, il cui programma, un misto di rivendicazioni democratiche (che in verità molto presto verranno abbandonate) di esaltazione della forza-bellicismo e di disprezzo per la politica tradizionale, dovette affascinare D’Annunzio, che ci vide del nuovo.

D'Annunzio a Fiume

In violazione degli accordi di pace, il 12 Settembre del 1919, a soli due giorni dall’infame tradimento di Versailles, D’Annunzio reagì a quella che aveva definito la vittoria mutilata mettendosi alla testa di circa 9.000 uomini e marciando su Fiume. La città fu facilmente conquistata e proclamata Reggenza del Carnaro. Il governo, allora presieduto da Francesco Saverio Nitti, sconfessò l’impresa, mentre Mussolini, che dirigeva il Popolo d’Italia, accolse entusiasticamente l’iniziativa dannunziana scrivendone sul proprio giornale. Ma nient’altro.
Il 16 settembre D’Annunzio scrisse a Mussolini -in quanto direttore del giornale- una lettera significativa
Mio caro Mussolini, mi
stupisco di voi e del popolo italiano. IO ho rischiato tutto, ho dato tutto, ho
avuto tutto. Sono padrone di Fiume, del territorio, d’una parte della linea
d’armistizio, delle navi e dei soldati che non vogliono obbedire che a me. Non
c’è nulla da fare contro di me. Nessuno può togliermi di qui. Ho Fiume, tengo
Fiume finché vivo, inoppugnabilmente....E voi tremate di paura! Voi vi
lasciate mettere sul collo il piede porcino del più abbietto truffatore che
abbia mai illustrato la storia del canagliume universale. Qualunque altro
paese, anche la Lapponia, avrebbe rovesciato quell’uomo, quegli uomini. E voi
state lì a cianciare, mentre noi lottiamo d’attimo in attimo, con un’energia
che fa di quest’impresa la più bella dopo la dipartita dei Mille. Dove sono i
combattimenti, gli arditi, i volontari, i futuristi….? Non
c’è proprio nulla da sperare? E le
vostre promesse? Bucate almeno la pancia che vi
opprime e sgonfiatela. Altrimenti verrò io quando avrò consolidato qui il mio
potere. Ma non vi guarderò in faccia…
La lettera, in cui è riconoscibile lo stile retorico e altisonante tipicamente dannunziano, è significativa di un rapporto tra i due confidenziale ma certamente non sereno: D’Annunzio sentiva di essere stato tradito, accusava Mussolini di codardia, di non aver tenuto fede alla promessa di sostenerlo -salvo dedicare all’impresa qualche articolo sulle pagine del Popolo
I toni diventano via via sempre più duri, al punto che D’Annunzio non esita ad accusare Mussolini di essersi lasciato influenzare dalla peggior risma di truffatori (l’allusione è all’allora capo del governo Francesco Saverio Nitti, contrario all’impresa fin dall’inizio) e non gli risparmia stoccate sarcastiche.
L’impresa di Fiume finì nel peggior modo per D’Annunzio: il governo italiano non riconobbe la reggenza, che rischiava di turbare gli equilibri internazionali, firmò il Trattato di Rapallo con la Jugoslavia nel 1920 e nel dicembre dello stesso anno inviò un esercito con il compito di fermare D’Annunzio in quelle giornate di combattimenti ricordate come il Natale di sangue. La città capitolò nel gennaio dell’anno successivo.
Dopo il fallimento
dell’impresa fiumana, D’Annunzio deluso e amareggiato, si ritirò in uno
splendido esilio presso il lago di Garda, dove villa Cargnacco divenne il
“Vittoriale degli Italiani”.
Nell’agosto del 1922, D’Annunzio fu contattato da Francesco Saverio Nitti (lo stesso che D’Annunzio aveva spesso sbeffeggiato) che con i liberali intravvedeva in lui un possibile alleato contro il fascismo in ascesa. I due stabilirono un incontro per il giorno 15 dello stesso mese con lo scopo di pianificare nuove elezioni e la formazione di un governo di unità nazionale sotto la presidenza di Giolitti. L’incontro non avvenne per un rocambolesco incidente occorso a D’Annunzio proprio qualche giorno prima, quando cadde dal balcone del Vittoriale nel maldestro tentativo di sedurre la sorella della propria amante (il lupo perde il pelo ma…!) che lo respinse facendolo precipitare. Incidente che ha certamente cambiato il corso della Storia......
Quello che accadde dopo, è noto: la marcia su Roma tra il 27 e il 28 ottobre 1922 (per la quale non venne decretato lo stato d’assedio) di fatto aprì la strada all’avvento del Fascismo; due anni dopo, il delitto Matteotti inferse un duro colpo al regime, tant’è che D’Annunzio si espresse presagendo per il Fascismo una fetida ruina, che di fatto non si verificò.
Negli anni del regime fascista ormai consolidato, il poeta manifestò spesso diffidenza nei confronti dell’amico-rivale, il quale lo ricambiò sempre con la stessa moneta; i due non arrivarono mai ad aperto contrasto, Mussolini temeva la popolarità di D’Annunzio, che aveva ancora un ascendente fortissimo sugli ambienti fascisti, e in fondo lo considerava un inconcludente facile da manovrare; d’altro canto D’Annunzio accettava di buon grado onori e donativi che servivano ad ammansirlo/neutralizzarlo.
Gli anni a seguire e fino alla morte del Vate, il rapporto tra i due fu contrassegnato da contatti a mezzo lettera, ma le incomprensioni rimasero numerose. Il D’Annunzio vecchio e malato degli ultimi anni, per il quale l’impresa di Fiume e l’attivismo non erano che ricordi, non approvò l’intesa tra Italia e Germania sancita dall’Asse Roma-Berlino nel 1936 e si augurò che Mussolini si tenesse alla larga da Hitler, che definì un feroce pagliaccio.
Ma anche a questo riguardo, la
Storia andò per altre strade..
Per un approfondimento, rinvio al video di Rai Storia D'Annunzio e Mussolini, carissimi nemici