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Molière. Don Giovanni


Nato nel 1622 a Parigi, Jean Baptiste Poquelin, altrimenti noto come Molière, è stato autore di commedie esilaranti: Il tartufo, le Preziose ridicole, La scuola dei mariti, Sganarello o Il cornuto immaginario, La scuola delle mogli, Il malato immaginario, il Don Giovanni, Il misantropo, L'Avaro sono solo alcuni esempi della sua vasta produzione teatrale.


Coraggiosamente irriverenti, le sue commedie portarono in scena, sbeffeggiandoli, i vizi e l’ipocrisia del tempo, la leziosa pedanteria dei nobili, la loro religiosità di facciata, le ridicole mode.
 
Travolto dalle polemiche e attaccato da più fronti per la spregiudicatezza della sua satira, Molière fu protetto da Luigi XIV -presso la cui corte il Nostro rimase per molti anni- riuscendo a proseguire nella sua attività di commediografo fino al 1673, quando morì sulle scene de Il malato immaginario, divertente commedia sull’incompetenza e l’avidità dei medici, nella quale recitava come personaggio protagonista.
 
 
Don Giovanni o il convitato di pietra
 

La commedia fu rappresentata per la prima volta nel 1665 al Palais Royal.

Sganarello. Eh! buon Dio! il mio don Giovanni l’ho sulla punta delle dita e so che il vostro cuore è il più gran vagabondo che ci sia; si diverte a passare da un legame all’altro e non ci tiene a rimaner fermo.
Don Giovanni. E non ti pare che abbia ragione a regolarmi così?
 

Sganarello. Eh! signore...

Don Giovanni. Che cosa? Parla.
Sganarello. Certo, che avete ragione, se così comandate; non sta a me contraddirvi. Ma se non comandaste così, sarebbe un’altra faccenda.
Don Giovanni. Su! ti permetto di parlare liberamente e di dirmi quello che
pensi.
Sganarello. In questo caso, signore, vi dirò francamente che non approvo il vostro sistema e che mi pare molto brutto questo amoreggiare da ogni parte, che fate voi.
Don Giovanni. Ma come? vorresti che un uomo rimanesse legato al primo oggetto che lo afferra, che rinunciasse, per lui, al mondo senza aver più occhi per nessuno? Sarebbe bello impegnarsi nel falso onore della fedeltà, seppellirsi per sempre in una passione e darci per morti, fino da giovani, a tutte le altre bellezze che possono colpirci? No, no, la costanza si addice alla gente ridicola; tutte le belle hanno il diritto di ammaliarci e il privilegio di chi è la prima non deve defraudare le altre delle pretese che, giustamente, hanno sul nostro cuore. Per conto mio, la bellezza m’incanta dovunque io la trovi e cedo facilmente alla dolce violenza che esercita su di noi. Ho voglia a essere impegnato, l’amore per una bella non impegna la mia anima a fare un torto alle altre; ho due occhi che mi permettono di vedere i meriti di tutte, e tributo a ciascuna gli omaggi che la natura ci impone. Sia quel che sia, non posso ricusare il mio cuore a tutte le donne amabili che incontro, e se un bel viso me lo chiede, ne avessi anche diecimila, glieli darei tutti. Una nuova inclinazione ha sempre, dopo tutto, una grazia inesplicabile e tutto il piacere dell’amore sta nel cambiare. Si prova un gusto dolcissimo a domare, con cento complimenti, il cuore di una bella ragazza, a osservare, di giorno in giorno, i piccoli progressi che vi si fanno, a lottare con impeti, con lagrime e sospiri, contro il pudore innocente d’un’anima che stenta a deporre le armi; a forzare, passo passo, tutte le piccole resistenze che ci oppone, a vincere gli scrupoli dei quali si fa un onore, a condurla dolcemente dove la si vuol condurre. Ma una volta divenuti suoi padroni, non c’è più niente da dire e niente da desiderare; tutto il bello della passione è finito e ci si addormenta nella tranquillità d’un amore cosiffatto, finché non viene qualche nuovo stimolo a risvegliare i nostri desideri e a offrire al nostro cuore l’attrattiva incantevole d’una nuova conquista. Insomma, non c’è nulla che valga come il trionfare della resistenza d’una bella figliuola; e in questo campo sento in me l’ambizione dei conquistatori che volano perpetuamente di vittoria in vittoria e non possono adattarsi a limitare le loro brame. Nulla può arrestare l’impeto dei miei desideri; mi sento un cuore capace d’amare il mondo intero e vorrei, come Alessandro, che ci fossero altri mondi ancora per potervi estendere le mie conquiste amorose.
Sganarello. Caspiterina! Come sapete dirle! Sembra che le abbiate imparate
a memoria, e parlate come un libro stampato.
Don Giovanni. Che hai da ridirci?
Sganarello. Eh! ridire... Non so davvero che cosa; perché rigirate le cose in un certo modo che sembra abbiate ragione voi; e tuttavia è vero che non l’avete. Avevo qua in testa i più bei pensieri di questo mondo e i vostri discorsi hanno confuso tutto. Lasciate stare; un’altra volta metterò le mie ragioni per iscritto, se vorrò discutere con voi.
Don Giovanni. Farai bene [...] Piuttosto, c’è una bellezza che m’ha preso il cuore e, attratto dalle sue grazie, l’ho seguita fino in questa città.
 

Sganarello. E non temete nulla, signore, dopo la morte di quel commendatore che uccideste sei mesi fa?

Don Giovanni. Temere, perché? Non l’ho forse ammazzato bene?
Sganarello. Sì, sì, benissimo; nel miglior modo possibile; e avrebbe torto a
lamentarsi. [...]
Don Giovanni [...] La persona di cui ti parlavo è una giovane fidanzata, la più gradevole di questo mondo, e chi l’ha accompagnata qui è proprio quello che deve sposarla. Il caso m’ha fatto incontrare questa coppia d’innamorati … Non avevo mai visto due persone più contente l’una dell’altra, …il dispetto accese i miei desideri e pensai quale piacere sarebbe stato per me se fossi riuscito a turbare quella loro concordia e a rompere quell’attaccamento che offendeva la mia sensibilità amorosa, ma finora tutti i miei sforzi sono stati inutili e ho dovuto ricorrere a rimedi estremi. Il preteso sposo deve offrire oggi alla sua bella una gita in mare. Senza che tu lo sappia, tutto è già pronto per soddisfare il mio amore e ho una barchetta e degli uomini coi quali spero di rapire molto facilmente la bella...
 

Sganarello. Ah! signore... 

Don Giovanni. Che?

Sganarello. Avete fatto benissimo e la prendete come va presa. A questo mondo, la cosa più importante è soddisfare se stessi…

Molière, Don Giovanni o il convitato di pietra, Atto I, Scena II
 
Seduttore irriducibile, Don Giovanni corre dietro a tutte le gonnelle del globo: si innamora di Elvira e per averla la rapisce dal convento; s'invaghisce di belle sconosciute rigorosamente fidanzate; concupisce la contadina Carlotta, già promessa in sposa a Pierotto e fa lo stesso con Maturina; ad entrambe promette fiori d’arancio e intanto si guarda intorno perché... non si sa mai: dovesse presentarglisi altra ghiotta occasione, sarebbe un peccato farsela scappare!

Pur di assaporare il gusto della conquista, don Giovanni non esita ad ingannare e a tradire; affronta duelli e uccide; si serve del prossimo pur di conseguire l’obiettivo; mentendo spudoratamente, promette di cambiar vita e talvolta rischia di prenderle di santa ragione, come quando è raggiunto dai fratelli di Elvira decisi a vendicare l’offesa subita dalla sorella. Ciononostante, imperterrito don Giovanni persevera perché, come si legge nel dialogo sopra riportato,  il suo cuore è capace d’amare il mondo intero e non gli par giusto riservare ad una sola donna il privilegio delle sue attenzioni, defraudando tutte le altre di egual diritto: l’amore per una bella non impegna la sua anima a fare un torto alle altre.

Povero don Giovanni: schiavo di se stesso e del proprio sfrenato edonismo susciterebbe tenerezza se non fosse cinico e invidioso della felicità altrui al punto tale da lanciarsi alla conquista di una donna perché indispettito dal sentimento che ella manifesta nei confronti del proprio fidanzato e dunque per il sadico gusto di turbare l'armonia che regna tra i due; risulterebbe persino simpatico se non fosse smisuratamente egoista e totalmente privo di scrupoli; ne apprezzeremmo la fanciullesca gioia di vivere se non fosse pronto a calpestare chiunque lo ostacoli, causando sofferenza, distruggendo vite, smembrando famiglie.

 
Rifuggendo dal moralismo dei benpensanti, Molière non si pronuncia apertamente sulla condotta libertina del personaggio -condotta certo discutibilissima ma che rimane in secondo piano-, mentre ne biasima decisamente l'egoismo, affidando il proprio pensiero alle parole di Sganarello che amaramente ironico così chiude il dialogo:

A questo mondo, la cosa più importante è soddisfare se stessi…

A beneficio di quanti non conoscessero il finale della storia: il buon don Giovanni passa a miglior vita colpito da un fulmine e divorato dalle fiamme…
 
Quanto al servo, invece…:
Sganarello. E adesso chi mi paga? Lui è morto e ognun è soddisfatto: Cielo offeso, leggi violate, ragazze sedotte, famiglie disonorate, genitori oltraggiati, donne finite in rovina, mariti condotti all’esasperazione, tutti sono contenti. Io soltanto sono infelice…