Novelle per un anno
Pirandello scrisse novelle a partire dal 1894, quando fu pubblicata Amori senza amore, fino alla fine della sua vita.
Nel 1922 pose mano alla
raccolta Novelle per un anno, che nel progetto iniziale avrebbe dovuto contenere
la sua intera produzione novellistica in 24 volumi ciascuno di 15 novelle, per
un totale di 360 racconti, dunque quasi uno al giorno per un anno. In realtà la
raccolta rimase incompiuta, fermandosi a 15 volumi e a 225 novelle.
Nelle novelle, molte delle
quali furono adattate per la rappresentazione teatrale, si possono individuare
tutti i temi cari a Pirandello: il contrasto tra vita e forma, il tema dell’identità
e dell’alienazione delle maschere, l’incomunicabilità, l’impossibilità di governare
la vita.
In alcune novelle l’ambientazione è la
Sicilia dei contadini o dei minatori (per esempio in Ciaula scopre la luna),
tuttavia se in Verga la Sicilia è mondo primordiale in cui, meglio che altrove, è possibile cogliere il meccanismo della lotta per la sopravvivenza, in Pirandello
è un microcosmo che vive le stesse contraddizioni delle grandi città italiane,
la stessa condizione umana di pupazzata che obbliga alla recita e alla
rinuncia di sé.
La patente: la trama, i temi
La novella venne pubblicata la
prima volta nel 1911 sulle pagine de Il Corriere della sera per poi essere
inserita in Novelle per un anno.
L’esordio della novella coincide
con la presentazione di uno dei due personaggi-chiave: il giudice D’andrea, un individuo
bizzarro nell’aspetto ma competente e solerte nello svolgimento del proprio
lavoro.
Da un po’ di tempo D’Andrea è
in difficoltà, gli è capitato tra le mani un caso che non sa come gestire, il caso
insolito e speciosissimo del presunto iettatore Rosario Chiarchiaro, che ha sporto querela nei confronti di persone
colte nell’atto di fare gli scongiuri al suo passaggio.
D’Andrea sa che Chiarchiaro
non ha alcuna possibilità di vincere la causa, la sua fama di iettatore è
consolidata in paese e prova pena per lui, incolpevole vittima dell’ignoranza e
del pregiudizio.
Deciso a risparmiargli l’umiliazione
di un processo inutile, D’Andrea convoca nel proprio ufficio Chiarchiaro con lo
scopo di convincerlo a ritirare la querela.
Ahimè, è proprio vero che è
molto più facile fare il male che il bene….Se n’accorse bene quella volta il
giudice D’Andrea, appena alzò gli occhi a guardare il Chiarchiaro, che gli era
entrato nella stanza…..
“Ma fatemi il piacere! Che
storie son queste! Vergognatevi!”
Il Chiarchiaro s’era combinata
una faccia da jettatore ch’era una meraviglia a vedere. S’era lasciata crescere
sulle cave gote gialle una barbaccia ispida e cespugliata; s’era insellato sul
naso un paio di grossi occhiali cerchiati d’osso, che gli davano l’aspetto di
un barbagianni; aveva poi indossato un abito lustro,
sorcino, che gli sgonfiava da tutte le parti.
Chiarchiaro si presenta dal
giudice conciato da perfetto iettatore: barba ispida, occhialoni d’osso,
paladrana consunta.
“Ma fatemi il piacere! Che storie son queste! Vergognatevi!”
Il giudice è spiazzato e
infastidito: come può sostenere in tribunale che Chiarchiaro è innocuo -e non il menagramo che dicono- se va in giro con l’aspetto di un barbagianni?
… “Io
voglio, signor giudice, un riconoscimento ufficiale della mia potenza….Voglio
che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza spaventosa, che è ormai l’unico
mio capitale”
….
“Povero caro Chiarchiaro
mio…..E che te ne fai”..
“Che me ne faccio?......Lei,
per esercitare codesta professione di giudice….mi dica un po’, non ha dovuto
prendere la laurea?
….Ebbene, voglio anch’io la
mai patente, signor giudice! La patente di jettatore. Col bollo. Con tanto di
bollo legale….Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno cacciato
via dal banco dov’ero scritturale con la scusa che, essendoci io, nessuno veniva
più a far debiti e pegni. Mi hanno buttato in mezzo ad una strada, con la
moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili di cui nessuno vorrà più
sapere, perché sono figlie mie; viviamo del soccorso che
ci manda da Napoli un mio figliolo…Mi metterò a ronzare intorno a tutte le
fabbriche, mi pianterò innanzi a tutte le botteghe, e tutti, tutti mi pagheranno
la tassa. La tassa, lei dice, dell’ignoranza? Io dico la tassa della salute! Perché,
signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa
schifosa umanità…”
Finito sul lastrico perché marchiato come
iettatore, costretto in una maschera che fatica a strapparsi di dosso, Chiarchiaro ha deciso di ribaltare la
situazione a proprio vantaggio: non ritirerà la querela, perderà la causa, il suo potere di iettatore sarà ufficialmente riconosciuto e questo gli permetterà di sopravvivere; si
piazzerà davanti agli uffici, alle botteghe, alle fabbriche e chiunque sarà disposto a pagarlo, pur di liberarsi della sua presenza.
“Povero caro Chiarchiaro mio…..E che te ne fai”..
“Che me ne faccio?......Lei, per esercitare codesta professione di giudice….mi dica un po’, non ha dovuto prendere la laurea?
….Ebbene, voglio anch’io la mai patente, signor giudice! La patente di jettatore. Col bollo. Con tanto di bollo legale….Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno cacciato via dal banco dov’ero scritturale con la scusa che, essendoci io, nessuno veniva più a far debiti e pegni. Mi hanno buttato in mezzo ad una strada, con la moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili di cui nessuno vorrà più sapere, perché sono figlie mie; viviamo del soccorso che ci manda da Napoli un mio figliolo…Mi metterò a ronzare intorno a tutte le fabbriche, mi pianterò innanzi a tutte le botteghe, e tutti, tutti mi pagheranno la tassa. La tassa, lei dice, dell’ignoranza? Io dico la tassa della salute! Perché, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità…”
Nella novella, come nell’intera opera pirandelliana, è rintracciabile la tecnica dell’umorismo: per come è presentata inizialmente, la storia di Chiarchiaro appare bizzarra/comica; nel prosieguo della novella, tuttavia, il sorriso suscitato dall’«avvertimento del contrario» (cioè dall'immediata percezione che una cosa o qualcuno è diverso da ciò che dovrebbe essere) lascia umoristicamente il posto al sentimento del contrario ed emerge in tutta la sua drammaticità la sofferenza di un uomo vittima di una schifosa società che lo respinge e lo priva di qualunque cosa, soprattutto della dignità.
Totò interpreta il ruolo di Chiarchiaro
Totò interpreta il ruolo di Chiarchiaro