Letteratura

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G. Leopardi. La poetica, le opere. Sintesi


Breve biografia



 Nato a Recanati nel 1798, malinconico per carattere, fisicamente fragile ma di intelligenza geniale (tant’è che ancora bambino imparò l’ebraico, il greco e il latino, fu in grado di tradurre classici e scrivere le prime opere), Leopardi visse un’adolescenza infelice accanto ad una madre bigotta e ad un padre possessivo.


All’età 19 anni tentò la fuga da Recanati di cui non sopportava lo stagnante clima culturale: “Qui tutto è insensataggine e stupidità, scrisse in una lettera all’amico Pietro Giordani il 30 aprile 1817:

Qui, amabilissimo Signore mio, tutto è morte, tutto è insensataggine e stupidità. Si meravigliano i forestieri di questo silenzio, di questo sonno universale. Letteratura è vocabolo inudito. I nomi del Parini dell’Alfieri del Monti, e del Tasso, e dell’Ariosto e di tutti gli altri han bisogno di commento. Non c’è uno che si curi d’essere qualche cosa, non c’è uno a cui il nome d’ignorante paia strano. Se lo danno da loro sinceramente e sanno di dire il vero. Crede Ella che un grande ingegno qui sarebbe apprezzato? Come la gemma nel letamaio.

 


Il tentativo di fuga venne però scoperto e Leopardi dovette rientrare a Recanati dove rimase fino al 1822, quando riuscì ad ottenere il permesso di trasferirsi a Roma, ma la città lo deluse per l’ambiente culturale modesto.


Rientrò a Recanati per un breve periodo, durante il quale le sue condizioni di salute andarono peggiorando, così come peggiorò l’umore via via sempre più cupo.


Negli anni seguenti, un peregrinare inquieto tra diverse città d’Italia lo portò nel 1825 a Milano, dove lavorò presso l’editore Stella fino al 1828, quindi nuovamente a Roma e a partire dal 1830 a Firenze. Qui conobbe Fanny Targioni Tozzetti, di cui s’innamorò non corrisposto e alla quale dedicò il ciclo di Aspasia.


Visse i suoi ultimi a Napoli, dove morì nel 1837.
 

Le opere 


Canti. Raccolgono tutte le liriche di Leopardi in due sezioni: un primo nucleo costituito da canzoni e dai Piccoli Idilli scritti tra il 1818 e il 1822 (“All’Italia”, Sopra il monumento di Dante, “Bruto minore”, “L’infinito”, “La sera del dì di festa”, “La vita solitaria”) e una seconda parte che raccoglie i cosiddetti Grandi idilli (“Le ricordanze”, “La quiete dopo la tempesta, “Il sabato del villaggio”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, “A Silvia”)



Operette morali. Composta tra il 1824 e il 1827, l'opera è costituita da una serie di dialoghi tra personaggi reali e/o immaginari, attraverso i quali il poeta riflette sulla vita e sull’uomo.


Zibaldone. Sette quaderni di quasi 5000 pagine di annotazioni e di riflessioni che ci restituiscono il pensiero e la vita del poeta nel periodo tra il 1817 e il 1832.



Dal pessimismo storico...


Ripercorrendo l’evoluzione del pensiero di Leopardi alla luce dei suoi scritti, è possibile individuare due fasi che corrispondono ad altrettante tappe della sua maturazione di poeta e di uomo.


La prima fase è quella che viene definita del pessimismo storico.

Come l’illuminista Rousseau, Leopardi è convinto che la storia umana sia una progressiva caduta dalla felicità dello stato di natura al dolore della società moderna. Se gli antichi vivevano in armonia con la natura e, nella loro ingenuità, trovavano nel mito e nell’immaginazione una soddisfacente spiegazione della realtà e una risposta agli interrogativi sulla vita, all’uomo moderno la felicità è negata dall’eccesso di ragione, che gli svela la sua precarietà, rendendolo consapevole della sua finitezza. Solo la poesia può momentaneamente soccorrerlo, perché tirandolo fuori dallo spazio e dal tempo per il suo carattere vago e indefinito, desta in lui vive emozioni e riempie l’animo di idee sublimi.


 ...al pessimismo cosmico


Il 1822, l'anno del deludente soggiorno romano,  segnò una svolta nel pensiero di Leopardi che pervenne alla fase detta del pessimismo cosmico, idea che affonda le sue radici in un radicale materialismo.  


L’uomo è fatto di materia corruttibile come ogni cosa e proprio come la vita di ogni cosa, anche la sua sottostà all’incessante ciclo di produzione (nascita), deperimento (malattie, vecchiaia) e distruzione (morte) della materia. In questo meccanismo implacabile non c’è spazio per la felicità
: la natura matrigna da una parte spinge l’uomo a cercare la felicità, dall’altra malignamente gliela nega destinandolo alla precarietà, al dolore, infine alla morte. Nessuno spazio neanche per le illusioni (nella fase precedente concepite come unica possibile parvenza di felicità), perché aggrapparsi ad esse vorrebbe dire mistificare la realtà (il vero) che invece va guardata in faccia e  accettata con coraggio.


Se questi sono i termini del pessimismo cosmico, è evidente che viene meno il mito dell’originaria felicità dello stato di natura e l’infelicità dell’uomo, infinitesimale particella distruttibile nell'ingranaggio dell'universo, 
diventa condizione universale indipendentemente dalle epoche storiche.


Alla fase del pessimismo cosmico appartengono i Grandi idilli come 
“Le ricordanze”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il sabato del villaggio”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, “A Silvia”, ma soprattutto le Operette morali, la più filosofica tra le opere di Leopardi.

 
L’opera, composta tra il 1824 e il 1832, comprende 24 testi in cui, attraverso dialoghi tra personaggi reali e/o immaginari, Leopardi riflette sulla piccolezza e l’impotenza dell’uomo di fronte alla Natura/Vita e ai suoi incessanti ritmi universali.


Si veda il seguente estratto da Dialogo tra la Natura e un islandese
 

Islandese

Venti e turbini smoderati regnano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori dell’aria. Tal volta io mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico della neve, tal altra, per l’abbondanza delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi si è dileguata di sotto ai piedi; alcune volte mi è bisognato fuggire a tutta lena dai fiumi, che m’inseguivano, come fossi colpevole verso loro di qualche ingiuria. Molte bestie salvatiche, non provocate da me con una menoma offesa, mi hanno voluto divorare....

Natura
Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei…..
 
Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.
 Da Operette morali


L’Islandese, che gira per il mondo alla ricerca di un posto in cui vivere felice, senza il tormento del caldo eccessivo o del freddo troppo intenso, lontano da insetti e malattie, tempeste e incendi, magari anche da umani molesti, s’imbatte in una donna gigantesca, la personificazione della Natura.

Accusata di essere nemica dell'uomo, perseguitandolo con mille sofferenze e/o calamità, la Natura all'Islandese risponde che nel suo agire non c’è volontà di arrecargli dolore né gioia, essa si muove secondo la legge universale di creazione- distruzione-riciclaggio della materia indispensabile alla preservazione dell'universo...


E in questo ciclo incessante non è contemplata la felicità degli esseri viventi.