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U. Foscolo. Dei sepolcri. Cuore e Ragione


L’editto napoleonico di Saint-Cloud (1804) che per ragioni igienico-sanitarie aveva stabilito la dislocazione dei cimiteri al di fuori delle mura cittadine, prevedendo altresì l’anonimato delle tombe, suscitò in Italia vivaci polemiche: il cattolico Ippolito Pindemonte scrisse un poemetto (I cimiteri) per esprimere il proprio dissenso, mentre Foscolo in risposta a Pindemonte compose Dei sepolcri (1807), un carme di 295 endecasillabi sciolti.
 
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro? Ove più il Sole
Per me alla terra non fecondi questa
Bella d’erbe famiglia e d’animali,
E quando vaghe di lusinghe innanzi
A me non danzeran l’ore future,
Nè da te, dolce amico, udrò più il verso
E la mesta armonia che lo governa,
Nè più nel cor mi parlerà lo spirto
Delle vergini Muse e dell’amore,
Unico spirto a mia vita raminga,
Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme
Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
Tutte cose l’obblio nella sua notte;
E una forza operosa le affatica
Di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
E l’estreme sembianze e le reliquie
Della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perchè pria del tempo a sè il mortale
Invidierà l’illusïon che spento
Pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
Gli sarà muta l’armonia del giorno,
Se può destarla con soavi cure
Nella mente de’ suoi? Celeste è questa
Corrispondenza d’amorosi sensi,
Celeste dote è negli umani; e spesso
Per lei si vive con l’amico estinto
E l’estinto con noi, se pia la terra
Che lo raccolse infante e lo nutriva,
Nel suo grembo materno ultimo asilo
Porgendo, sacre le reliquie renda
Dall’insultar de’ nembi e dal profano
Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
E di fiori odorata arbore amica
Le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d’affetti
Poca gioja ha dell’urna…
U. Foscolo, Dei sepolcri, vv. 1-43
 
Foscolo esordisce con una palinodia - figura retorica caratterizzata da apparente contraddizione tra le premesse e la conclusione: in accordo con l’idea del materialismo meccanicistico secondo cui tutto -ogni ente, uomo compreso- è materia, Foscolo stabilisce la premessa nell’affermazione indiscutibile che la morte è la totale distruzione della materia alla quale nulla sopravvive, pertanto di nessun giovamento (Qual fia ristoro…) sarà per il defunto una tomba che distingua le sue ossa tra le infinite altre ossa sparse sulla terra (un sasso Che distingua le mie dalle infinite //Ossa che in terra e in mar semina morte) e un’urna all’ombra dei cipressi non renderà il sonno della morte men duro.

Posta in questi termini la premessa, Foscolo approda ad una conclusione che in parte supera/nega il nichilismo di partenza: il culto della tomba, pietosa follia del tutto inutile per il morto, è però necessario ai vivi: onorando la tomba, il vivo stabilisce con l’amico estinto una corrispondenza d’amorosi sensi che, eternandolo nel ricordo, ne perpetua la vita oltre la morte.
 
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
Contende. E senza tomba giace il tuo
Sacerdote, o Talia, che a te cantando
Nel suo povero tetto educò un lauro
Con lungo amore, e t’appendea corone;
E tu gli ornavi del tuo riso i canti
Che il Lombardo pungean Sardanapalo
Cui solo è dolce il muggito de’ buoi
Che dagli antri abdùani e dal Ticino
Lo fan d’ozi bëato e di vivande.

U. Foscolo, Dei sepolcri, vv 51-61

La nuova legge, che in base ad un malinteso senso di uguaglianza vuole che le tombe siano tutte uguali e tutte anonime, fa della tomba un luogo di desolato abbandono: non un nome che la renda riconoscibile tra mille, non un fiore che onori la memoria dell’estinto, nessuna corrispondenza d’amorosi sensi con chi non c’è più, nessun punto di riferimento per chi volesse trarre ispirazione dalle tombe dei Grandi, perché le loro ossa sono sacrilegamente mescolate a quelle degli abietti in tumuli plebei tra i quali, vagolando, la Musa della poesia satirica invano cerca il suo Parini...

Ed è così che il materialista Foscolo recupera l’importanza delle illusioni: la memoria, l’immaginazione, il sentimento, la funzione civile delle tombe di grandi uomini che stimolano a grandi imprese (a egregie cose), insomma tutte le illusioni che la Ragione respinge come fantasie prive di costrutto, in realtà servono alla vita perché alleviano la sofferenza e indicano un senso. 


Esorcizzare la paura


La morte fa paura, checché ne dicesse Epicuro quando sosteneva che la morte non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei non ci siamo più noi, splendida frase architettata per esorcizzare la paura; perché di questo abbiamo bisogno noi che, a differenza della bestia beatamente legata all’attimo e ignara della propria finitezza, viviamo nella consapevolezza del nostro destino di morteabbiamo bisogno di esorcizzare la paura, di rendere tollerabile il pensiero della morte.
Un fiore, un lumicino, la preghiera di chi resta non consolano chi è precipitato nel buio eterno, tuttavia in quelli che rimangono, quel fiore, quel lumicino e quella preghiera tengono viva l’illusione che forse non tutto è vano, che in questo nostro correre verso la meta finale ci sia un senso, che dopo la morte qualcuno continuerà ad amarci e che da qualche parte, chissà dove, esistano risposte su questo mistero che è la vita…