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Immanuel Kant. Per una pace perpetua


 

Pubblicato nel 1795, Per una pace perpetua è un opuscoletto che in meno di cento pagine ci consegna il pensiero politico di I. Kant.


L’opera è un’analisi delle condizioni -giuridiche e non solo- che possano garantire la pace: non la pace momentanea -la tregua- di un cessare il fuocoche in realtà non esclude la ripresa del conflitto né allontana lo spettro di guerre future, ma la pace duratura, imperativo categorico per un’umanità che possa dirsi davvero tale.
 

Ricalcando provocatoriamente la struttura di un trattato di pace tipico dell’epoca, per intenderci uno di quei trattati che solitamente venivano stipulati a guerra conclusa, quando riunite intorno ad un tavolo le potenze vincitrici si accordavano sul destino degli sconfitti, l’opera comprende Articoli preliminari (in totale sei), Articoli definitivi (tre), un Supplemento (articolato in due parti), e una serie di Clausole segrete.

Articoli preliminari

 

Negli Articoli preliminari, le principali condiciones sine quibus non per la realizzazione della pace tra le Nazioni:
 
1.    Nessun trattato di pace può essere considerato tale se stipulato con tacita riserva di argomenti per una guerra futura, perché si tratterebbe di semplice tregua, momentanea sospensione delle ostilità che non dà alcuna garanzia di pace.
 
2.    Non deve nessuno Stato indipendente (poco importa se piccolo o grande) poter essere acquisito da un altro per mezzo di eredità o scambio, compera o donazione, perché lo Stato non è un possedimento privato che si possa lasciare in eredità o donare e ciascuno Stato ha diritto ad essere libero e indipendente.
 
3.    Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono col tempo interamente cessare, perché l’esistenza stessa di un esercito costituisce costante minaccia di guerra.
 
4.    Uno Stato non deve contrar debiti per valersene in intrighi all’estero, perché un sistema di credito che moltiplica il debito all’infinito di fatto rende instabili i rapporti tra gli Stati e costituisce tesoro per guerreggiare.
 
5.    Nessun Paese deve ingerirsi colla forza nella Costituzione o nel governo di un altro, perché ciò equivarrebbe a violarne il diritto all’autonomia e sarebbe scandaloso.
 
6.    Nessuna Potenza in guerra deve permettersi atti di ostilità che rendano impossibile la fiducia nella pace futura, perché anche in piena guerra è necessario attenersi ad un codice etico-morale che esclude la vendetta, la violazione dei diritti di chi è ormai inerme, l’utilizzo di strumenti e in generale di tutti quegli stratagemmi disonesti che minano la fiducia nella pace.
 
Anche in piena guerra deve poter esistere una certa fiducia nel modo di pensare del nemico; altrimenti non si potrebbe concludere pace di sorta e le ostilità si ridurrebbero ad una guerra di sterminio (bellum internecinum). Siccome però nello stato di natura…la guerra è solamente un mezzo doloroso, ma necessario, di affermare colla forza il proprio diritto; siccome nessuna delle parti può venir dichiarata nemica ingiusta (per farlo si presuppone una sentenza giuridica(ma il risultato soltanto decide da che parte sta il diritto, (come nei cosiddetti giudizi di Dio);  siccome tra gli Stati non può esservi alcuna guerra di punizione (bellum punitivum), presupponendo questa un rapporto da inferiore a superiore:- così ne segue che una lotta di sterminio, in cui la distruzione può colpire ambo le parti e con esse ogni diritto, darebbe luogo ad una pace fondata solamente sulla tomba del genere umano. Una tal guerra, pertanto, e di conseguenza anche i mezzi che vi conducono, deve essere assolutamente proibita. E che i succitati mezzi conducano a un tal risultato inevitabilmente riesce manifesto da ciò che simili arti infernali, essendo in sé abbiette, venute che siano in uso, non si limitano a lungo nei confini della guerra, come, ad esempio, l’uso delle spie, con cui si usa puramente la bassezza di altri (la quale non è possibile estirpare) ma si estendono anche al tempo di pace, distruggendo in tal modo lo scopo di questa.
Per una pace perpetua, articolo preliminare VI
 
In queste poche righe, il pensiero lucido e razionale della ragion pura e la forza morale della ragion pratica.


La guerra, che di per sé è un abomino, lo è ancor di più quando il suo scopo sia unicamente la distruzione dell’altro e si persegua lo scopo con mezzi disonesti, strumenti che a fine XVIII secolo erano quelli dello spionaggio, degli avvelenatori o degli assassini ma che con il tempo sappiamo essere diventati ben altri.  (Però questo è un altro discorso).

Una guerra condotta con mezzi abietti, nell’immediato produce la distruzione dell’altro -il nemico-, mentre in tempi più lunghi, avendo ulteriormente avvelenato il clima, pregiudica qualunque possibilità di dialogo tra le parti, di fatto rendendo impossibile la pace.
 

Articoli definitivi


Nei tre Articoli definitivi, raggruppati nella seconda parte dell’opera, la riflessione di Kant si sposta sulle forme giuridiche e gli assetti politico-istituzionali più adatti a garantire la pace tra le Nazioni, una pace che oggi definiremmo globale.


1.    La Costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana, perché partendo dall’idea rousseauniana, secondo Kant la sovranità è del popolo; inoltre, se nello Stato assoluto esiste una forza-classe privilegiata che tende alla guerra per accrescere o difendere i propri privilegi, in una repubblica democratica  ciò non accade, fondandosi essa sul principio di uguaglianza.

La repubblica democratica, dunque, è la sola conforme ai diritti dell’uomo, per quanto sia la più difficile tanto da fondare che da mantenere, di guisa che molti sostengono che occorrerebbero degli angeli, e non degli uomini dominati dalle passioni, per costituire una forma di Stato così sublime (cfr, Supplemento n.1)
 
2.    Il diritto internazionale deve essere fondato sopra una federazione di Stati esteri, che difenda i diritti e la libertà di ciascuno Stato membro.
 
Una tal lega non tende ad alcun acquisto di potenza da parte di uno Stato, ma puramente a conservare la libertà di esso e in pari tempo anche degli altri confederati…Gli Stati che sono in reciproche relazioni non hanno, secondo la ragione, altro modo di uscire da una condizione di cose priva di legge e ognora causa di guerre, che rinunciando, come gli individui isolati, alla selvaggia e anarchica libertà loro, per piegarsi a leggi generali e formare in siffatta guisa uno Stato di popoli  (Volkerstaat, civitas gentium): questo, per via di successivo ingrandimento, verrebbe da ultimo a comprendere tutti i popoli della terra.
 
Se è vero che per natura tra gli Stati -come secondo T. Hobbes tra i singoli individui - vige una condizione di violenza e di egoismo, è pur vero che facendo prevalere la ragione sull’istinto, abdicando dunque ad una parte della propria selvaggia libertà, ciascuno Stato può collaborare con gli altri nell’interesse comune. Kant auspica così la nascita di una federazione di Stati che dia vita ad un organismo sovranazionale in grado di vigilare sulla libertà di ciascuno, creando così le condizioni per una pace duratura.
Perché sia davvero possibile una pace perpetua, occorre tuttavia che il contratto tra gli Stati si configuri anche e soprattutto come federazione di popoli. 

È il senso dell’Articolo definitivo n.3.
 
3.    Il diritto cosmopolitico (Weltburgerrecht) deve essere limitato alle condizioni di ospitalità generale
 
Qui, come nei precedenti articoli, non si tratta di filantropia, ma di diritto…la parola ospitalità vi significa il diritto spettante ad uno straniero di non essere trattato ostilmente a cagione del suo arrivo sul territorio altrui. Può essere allontanato, ove ciò avvenga senza la di lui rovina, ma finchè egli si contiene pacificamente al proprio posto, non deve essere trattato come nemico… Nessun individuo, avendo, in origine, diritti maggiori di un altro sovra una porzione della terra, e questa essendo sferica, gli uomini devono sempre, alla fin fine, tollerarvisi reciprocamente. Il mare e i deserti di sabbia dividono questa comunanza in modo, però, che la nave o il camello (nave del deserto) possono avvicinare i paesi traversando tali distese della terra e utilizzando per traffico, il diritto di superficie spettante in comune all’uman genere.
Per una pace perpetua, Articolo definitivo n. 3
 

L’analisi delle pre-condizioni necessarie alla realizzazione della pace si conclude significativamente con una riflessione che sorprende per l’audacia se considerata in relazione alla cultura tutt’altro che progressista dell’epoca (le istanze dell’Illuminismo, movimento in verità piuttosto elitario, erano sconosciute ai più e misconosciute da molti): il mondo è la casa di tutti gli uomini, non essendoci uomo o popolo che sulla Terra possa vantare diritti più di un altro; pertanto chi, attraversando mari e percorrendo deserti, giunga in territorio altrui a bordo di una nave o in groppa ad un cammello, va accolto e ospitato, non per filantropia, ma perché ne ha diritto e questo diritto conserva almeno fino a quando non dia prova di comportamenti inaccettabili in un consesso civile. In questo caso, vada pure allontanato, a patto che ciò avvenga senza la di lui rovina.
 


Opera straordinaria per la modernità dei temi affrontati, la lucidità con cui essi sono trattati e la forza morale che li sorregge, l’opuscolo Per una pace perpetua non dispensa facili ricette, indica tuttavia con chiarezza la strada da imboccare perché sia possibile la pace: è la strada -ancora tutta in salita- dell’uguaglianza e della tutela dei diritti di tutti gli Stati e di tutti gli uomini, i quali, essendo la Terra sferica -e oggi molto più piccola che nel VIII secolo-  devono sempre, alla fin fine, tollerarvisi reciprocamente.