Letteratura

Visualizzazione post con etichetta Myricae Lavandare Pascoli. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Myricae Lavandare Pascoli. Mostra tutti i post

G. Pascoli, Myricae e la poetica delle piccole cose



Se il saggio Il fanciullino (1897) rappresenta l’enunciazione della poetica di Pascoli, le opere Myricae (1911 edizione definitiva) e i Canti di Castelvecchio (1903) ne sono l’attuazione pratica.


Tra le raccolte di poesie di Pascoli, sicuramente la più nota è Myricae che, nell’edizione definitiva del 1903, si presenta suddivisa in 16 sezioni per un totale di 156 componimenti.


Il titolo è una citazione da Virgilio, che nelle sue Bucoliche affermava di voler innalzare il tono della sua poesia perché non omnes arbusta iuvant, humilisque myricae 
(non a tutti piacciono i semplici arbusti/tamerici=espressione utilizzata per indicare le
 cose semplici).


Pascoli, invece, proprio le cose umili intende mettere al centro della propria opera: la famiglia e il tema degli affetti, l’infanzia, la semplicità della vita campestre e il lavoro dei contadini, i fiori, le sagre di paese, insomma situazioni e oggetti di ordinaria quotidianità


Una scelta perfettamente coerente con quanto enunciato ne Il fanciullino, dove Pascoli afferma che la bellezza-verità è nelle cose più semplici e che solo il poeta è in grado di coglierla perché in lui, come nel fanciullo, la sensibilità prevale sulla razionalità. 


Tuttavia, nelle opere di Pascoli non c’è traccia di spensieratezza e giocosità fanciullesche: il trauma subito nell’infanzia (l’uccisone del padre e la distruzione del nido familiare) fa di Pascoli una persona fragile, un uomo tormentato e ossessionato dall’idea della morte, morbosamente legato alle due sorelle superstiti che soffoca con il proprio affetto (al punto da cadere in profonda depressione quando una delle due decide di sposarsi), combattuto tra l’attrazione per l’eros (si legga il Gelsomino notturno) e il bisogno d’innocenza.


L’ambivalenza di Pascoli è anche nella sua opera e così, quelle piccole semplici cose che egli racconta non hanno niente di gioioso.

Non c'è nulla di bucolicamente rassicurante nei paesaggi neri di pece descritti nelle poesie Il lampo Temporaleè inquietante il verso dell'assiolo nell' omonimo componimento; nessuna allegria in Sera festiva, la struggente poesia in cui una mamma non può prendere parte alla festa del paese perché coincide con l'anniversario della morte del proprio bambino. 

 

La purezza e l'autenticità delle cose umili, attraverso cui riconciliarsi con la vita dimenticando il male del mondo, in realtà non sono di alcun conforto per Pascoli.



Si veda Lavandare


Lavandare


Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
Resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
 
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
 
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.
 


Il componimento, metricamente una ballata di endecasillabi, risponde al criterio di simbolismo impressionistico rintracciabile in tutta la raccolta: ad oggetti e/o situazioni, colti in pochi elementi o attraverso macchie di colore, corrisponde un significato o una rete di significati più profondi.


La poesia rappresenta una scena di vita campestre colta nella semplicità di poche piccole cose l'aratro, le lavandaie con il loro canto.


L’atmosfera, tuttavia, è cupa e malinconicail colore grigio della terra non ancora arata e il nero della terra già rivoltata dal vomere; l’immagine dell’aratro abbandonato; il canto triste che racconta il dolore per la partenza di qualcuno che non è più tornato; tutti questi elementi suggeriscono -simbolicamente -l’idea dell’abbandono e del dolore della perdita.


Un' idea che s’insinua continuamente nell’opera di Pascoli, caricando così le piccole cose, che dovrebbero restituire verità e serenità, di significati allusivi al tema -che è davvero il tema centrale in Pascoli- della morte e del dolore.