Letteratura

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A. Camus. Dal nichilismo alla filosofia dell’impegno

 


L’Esistenzialismo, corrente filosofica affermatasi nei primi decenni del XX secolo, fu d’ispirazione per molti scrittori europei e costituì l’intelaiatura di una vasta produzione letteraria.


Il testo più rappresentativo di questa produzione è certamente il romanzo di J. Paul Sartre La nausea, il cui protagonista, l’intellettuale Antoine Roquentin, è paralizzato dall’opprimente angoscia di un’esistenza che sente inautentica, un assurdo scorrere di attimi vuoti di significato.


Tra gli autori esistenzialisti va annoverato A. Camus (1913-1960, premio Nobel per la letteratura nel 1957), vicino al già citato Sartre per una visione della vita come assoluto non-senso che trova la sua più compiuta espressione nel romanzo Lo straniero (1942).



Lo straniero


Il protagonista del romanzo è Meursault, un francese che vive ad Algeri.
Incapace di aderire alla vita che gli scorre davanti come scene di una pellicola cinematografica cui assiste apatico, Meursault è indifferente a tutto: quando dall’ospizio in cui è ricoverata sua madre è informato della sua morte, egli non manifesta alcuna emozione (Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so.); con la stessa sconcertante indifferenza fuma e beve caffè accanto alla bara il giorno del funerale; intraprende una relazione con Marie pur non amandola, ma potrebbe sposarla perché per lui, sposarla o no, fa lo stesso. 
Meursault vive la vita come una serie di insignificanti esperienze equivalenti.


Imprigionato e condannato a morte per aver commesso un omicidio, un atto compiuto quasi meccanicamente, con la stessa estraneità e abulia con cui ha sempre agito, Meursault in carcere è assistito da un prete che inutilmente tenta di avvicinarlo a Dio per ottenerne il perdono.
 
Voleva ancora parlarmi di Dio, ma mi sono avvicinato a lui e ho cercato di spiegargli una ultima volta che mi restava soltanto poco tempo. Non volevo sprecarlo con Dio. Ha cercato di cambiar discorso chiedendomi perché lo chiamavo «signore» e non «padre». Questo mi ha dato ai nervi e gli ho risposto che non era mio padre: era anche lui come gli altri. «No, figlio mio», mi ha detto mettendomi la mano sulla spalla. «Io sono con te. Ma tu non puoi saperlo perché hai un cuore cieco. Io pregherò per te». Allora, non so per quale ragione, c’è qualcosa che si è spezzato in me. Mi sono messo a urlare con tutta la mia forza e l’ho insultato e gli ho detto di non pregare[...]L’avevo preso per la sottana. Riversavo su di lui tutto il fondo del mio cuore con dei sussulti misti di collera e di gioia. Aveva l’aria così sicura, vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era nemmeno sicuro di essere in vita dato che viveva come un morto. Io, pareva che avessi le mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me. Avevo avuto ragione, avevo ancora ragione, avevo sempre ragione. Avevo vissuto in questo modo e avrei potuto vivere in quest’altro. Avevo fatto questo e non avevo fatto quello. Non avevo fatto una tal cosa mentre ne avevo fatto una tal’altra. E poi? Era come se avessi atteso sempre quel minuto[...] e quell’alba in cui sarei stato giustiziato. Nulla, nulla aveva importanza [...] Cosa mi importavano la morte degli altri, l’amore di una madre, cosa mi importavano il suo Dio, le vite che ognuno si sceglie…Che importava che Raimondo fosse mio amico allo stesso modo di Celeste che valeva più di lui? Che importava che Maria desse oggi la sua bocca a un nuovo Meursault? …Ma già mi strappavano il prete dalle mani e i guardiani mi stavano minacciando. Ma lui li ha calmati e mi ha guardato un momento in silenzio. Aveva gli occhi pieni di lagrime. Si è voltato ed è scomparso. Partito lui, ho ritrovato la calma. Ero esausto e mi sono gettato sulla branda[...]. Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch’io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio.
A.   Camus, Lo straniero, parte II, cap finale


Irritato dal paternalismo del prete, Meursault giunge a malmenarlo; le ottuse certezze del sacerdote hanno per lui la consistenza di un capello di donna, sono ingannevoli e mistificatorie, pateticamente consolatorie della spaesata solitudine che è condizione esistenziale di ciascun uomo nel vuoto della vita. 

Meursault, dunque, sente di aver avuto sempre ragione: ha vissuto e ha agito con l’indifferenza di chi sa che fare questo o quello, una tal cosa oppure una tal’altra, comportarsi in un modo o nel modo opposto, poco importa, perché nel non-senso della vita nulla ha importanza e tutto si equivale.

È questa la sua unica certezza e in essa  Meursault trova quasi la felicità in quella notte carica di stelle.  

Riconciliato con se stesso ora che tutto gli è chiaroMeursault è pronto per l’esecuzione capitale: la morte lo libererà dal nulla dell’esistenza; si augura soltanto che lo spettacolo dell’esecuzione avvenga alla presenza di un gran numero di spettatori che, sia pur urlandogli contro il proprio odio, lo facciano sentire un po’ meno solo.

 

Con La peste, pubblicato nel 1947, Camus supera il nichilismo del suo primo romanzo.

 


La peste




Un’epidemia di peste dilaga ad Orano, una tranquilla località della costa algerina.
Il protagonista, il medico francese Bernard Rieux, riconosce nei malati che gli si presentano tutti i segni della peste bubbonica, per quanto in molti preferiscano non crederci.
Il contagio si espande rapidamente, i morti aumentano di giorno in giorno e Orano viene isolata dal resto del mondo.
Nonostante rischi la vita, il medico Rieux si adopera nell’assistenza e nella cura degli ammalati, è al capezzale dei moribondi, non si sottrae al proprio dovere nemmeno quando è prostrato per la morte della moglie, malata da tempo.
 
Rieux guardò Tarrou:
-Allora? Disse
-Allora io ho un progetto d’organizzazione di squadre sanitarie di volontari. Mi autorizzi ad occuparmene E naturalmente vi parteciperò anch’io [...]
-Beninteso- disse Rieux- non dubiti che accetto con gioia
Rieux rifletteva
-Ma il lavoro può essere mortale, lei lo sa…
Tarrou lo guardava con i suoi occhi grigi e tranquilli
-Che ne pensa lei, dottore, della predica di Paneloux?
[...]
-Ho troppo vissuto negli ospedali per amar l’idea d’un castigo collettivo. Ma , lei lo sa, i cristiani talvolta parlano in quel modo , senza veramente pensarlo…
[...]
Tarrou si raddrizzò un po’ e protese la testa verso la luce.
-Lei crede in Dio, dottore?
[...]
-No, ma che vuol dire questo? Sono nella notte e cerco di vederci chiaro…
[...]
-Ecco- disse Tarrou- perché lei mostra tanta devozione se non crede in Dio?
Senza uscire dall’ombra, Rieux disse che ormai aveva risposto, che se avesse creduto in Dio onnipotente avrebbe trascurato di guarire gli uomini, lasciandone la cura a lui. Ma che nessuno al mondo, nemmeno Paneloux, che credeva di crederci, credeva in un dio di questo genere; nessuno infatti si abbandonava e in questo, almeno, lui, Rieux, riteneva di essere nel giusto. 
-È questa allora- disse Tarrou -l’idea che lei ha del suo mestiere?
[...]
-Sì- disse Rieux -…non so quello che mi aspetta né quello che accadrà. Per il momento ci sono dei malati e bisogna guarirli.
[...]
-Sì- approvò Tarrou- ma le vostre vittorie saranno sempre provvisorie.
Rieux sembrò rattristarsi
-Lo so, ma non è una ragione per smettere la lotta. 
A. Camus, La peste, cap II
  

La peste falcia vite e sconvolge l’esistenza dei superstiti.
Rieux e l’amico Tarrou concordano sulla necessità di intensificare gli sforzi per affrontare l’emergenza e stabiliscono di organizzare squadre di volontari che colmino i vuoti lasciati dalle autorità nell’assistenza ai malati.


Esiste un senso in ciò che sta accadendo? C’è giustificazione alla sofferenza e al male?


La risposta del sacerdote Paneloux è perentoria: la peste, il dolore che essa si trascina dietro e in generale tutto ciò che accade, trovano giustificazione in un piano divino, in un disegno trascendente che all’uomo non è dato conoscere né comprendere.
Il laico Rieux invece non ha risposte né consolatorie spiegazioni: le cose accadono senza un perché e senza uno scopo e Dio è una scusa per rinunciare all'azione.

Se dunque l‘ordine del mondo è paradossalmente regolato dal non-senso e dall’unica certezza del dolore/della morte; se la vita è caos privo di senso che sconvolge piani e annulla certezze, le vittorie -umane- saranno sempre provvisorie, osserva Tarrou: la vita vanificherà ogni azione e l’uomo, lo stesso Rieux nella sua battaglia contro il morbo, è inevitabilmente destinato alla sconfitta. 

Nella risposta di Rieux, medico che tanti ha visto morire senza mai abituarsi alla morte e senza mai rinunciare alla speranza di sconfiggerla, è il senso dell’intero romanzo e del pensiero di Camus, che supera così il nichilismo del romanzo precedente: Rieux non sa quello che accadrà, ma sa che ci sono dei malati e bisogna guarirli perché, se la vita è un Nulla vuoto di senso e il male è parte inevitabile di quel Nulla, ciò non significa che non si debba agire e lottare per non soccombere.

 

Nell’impegno, l’unica giustificazione all’esistenza…