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La guerra piace a chi non la conosce. Erasmo


Negli Adagia, l’opera che l’umanista Erasmo da Rotterdam nel 1500 scrisse a commento di proverbi/modi di dire classici e medievali, la discussione sul motto di Vegezio "Dulce bellum inexpertis" (la guerra piace a chi non la conosce) costituisce il punto di partenza per una riflessione sulla guerra di straordinaria modernità.


La guerra non è mai bella, mai giusta, mai opportuna: lo provano i fatti e lo dimostra la Ragione.
Se c’è un’azione, tra le attività degli uomini, che è opportuno intraprendere con esitazione, anzi è opportuno evitare, scongiurare, respingere in ogni modo possibile, quella è la guerra. Nulla è più empio della guerra, nulla più sciagurato, nulla più pericoloso. Da nulla, come dalla guerra, è più difficile venir fuori e nulla è più tetro e indegno dell’essere umano, per non dire del cristiano. Si fa invece fatica a dire quanto, al giorno d’oggi, per ogni dove e con quanta audacia e leggerezza le guerre s’intraprendono, quanto ferocemente e barbaramente si conducono (…). Se consideriamo l’aspetto e la figura del corpo umano, non siamo forse immediatamente portati a comprendere che la natura, o piuttosto Dio, ha generato questo animale con un’innata predisposizione all’amicizia piuttosto che alla guerra, alla conservazione piuttosto che alla distruzione e al bene piuttosto che al male?
Erasmo da Rotterdam, La guerra piace a chi non la conosce, Adagia, Sellerio 2015, edizione digitale
 

Non solo la guerra è riprovevole, essa è cosa contro natura, perché l’uomo è stato generato con un’innata propensione all’amicizia. 

Ad ogni animale Dio ha attribuito un’arma: al toro ha dato le corna; al leone gli artigli; all’istrice gli aculei; all’elefante la proboscide. L’uomo invece è stato messo al mondo nudo e indifeso: ha tenere membra, pelle morbida e sottile, braccia fatte per accogliere, una mente in grado di discernere/ragionare. Tra tutti gli animali, l’uomo soltanto è in grado di ridere -segno, questo, della sua vivacità-; egli solo è capace di piangere -segno chiaro della sua propensione alla misericordia-. Nel suo aspetto placido e mite, nulla sembra essere stato pensato per la battaglia. 

Eppure, mentre gli altri animali -persino le fiere più crudeli come leoni, tigri o lupi- vivono in concordia con quelli della loro stessa specie; si muovono in branco; si difendono gli con gli altri, gli uomini a null’altro sembrano essere occupati che a combattersi tra loro, così che si può affermare che per l’uomo nessuna bestia è più pericolosa che l’uomo stesso. 


Tradendo la propria natura che lo ha destinato alla socialità, e per questo sprofondando nella degenerazione più che se fosse stato creato malvagio, l’uomo offre di sé spettacolo orribile quando, armato fino ai denti, combatte contro il proprio simile: i suoi occhi ardono di malvagità, il suo volto impallidisce, la sua voce è rotta dalla rabbia, la mente è offuscata dall’odio. Ci sarebbe da chiedersi quale maga, quale incantesimo abbia potuto trasformare l’uomo al punto da renderlo più ferino di una fiera, se non fosse risaputo che a livelli di così assoluta follia si giunge sempre per gradi e che nessuno diventa del tutto malvagio all’improvviso.

Un tempo dunque, quando i rozzi uomini primitivi vivevano nudi, senza mura e senza case, accadde più volte che li assalissero le bestie feroci. Questo fu il primo genere di guerra che l’uomo intraprese.

Erasmo da Rotterdam, La guerra piace a chi non la conosce, Adagia

 
Gli uomini impararono ad uccidere quando dovettero difendersi dalle fiere
; cominciarono così a trucidare gli animali per evitare che essi li trucidassero; presero poi ad andare a caccia nei boschi per dar prova di agilità e coraggio; infine, non soddisfatti di averli sgozzati, presero a scuoiare gli animali catturati per coprirsi con le loro pelli e ripararsi dal rigore invernale. 

Fu così che l’uomo attuò le sue prime stragi. 

Da qui in avanti, le cose procedettero nel segno di una crescente violenza al punto che oggi -afferma Erasmo- la pratica di uccidere è abitudine consolidata; e poiché nulla è tanto disdicevole e atroce da non incontrare l’approvazione collettiva, purché riceva il sigillo dell’abitudine, anche la guerra -in un’ottica di normalizzazione del male- sembra essere cosa giusta.

(…) Possiamo constatare che siamo oggi giunti ad una tale follia, che null’altro per ogni dove si fa, se non combattere. Siamo perennemente in guerra. Nazioni contro nazioni, regni contro regni, città contro città, principi contro principi, popoli contro popoli (…) E aggiungo, anche se inorridisco nel farlo, perché questa è davvero la cosa peggiore in assoluto: cristiani contro cristiani. E nessuno -ecco la cecità degli animi umani!- nessuno si sorprende di tutto ciò, nessuno disapprova.

Erasmo da Rotterdam, La guerra piace a chi non la conosce, Adagia

 
Da sempre teatro di guerre sanguinose tra nazione e nazione, tra popolo e popolo, l’Europa di Erasmo sta per essere trascinata nella spirale di violenza delle fratricide guerre di religione tra gli stessi cristiani. 
Ciascuno credendo di essere dalla parte giusta, gli eserciti si scontrano esibendo le insegne della Croce, le trascinano nel fango, le insozzano di sangue e in nome di Cristo -ipocritamente utilizzato per celare/giustificare il male che vanno attuando-, compiono stragi diaboliche.

La cristianità guarda con disprezzo ai Turchi infedeli, che tuttavia non si combattono tra loro come fanno i cristiani né mostrano la loro crudeltà nei confronti del nemico.
Oggi, nel mondo cristiano, si considera coraggioso un uomo se -incontrato per caso in un bosco qualcuno che appartiene alla gente nemica, qualcuno disarmato ma pieno di denaro, privo di intenzioni bellicose e anzi in fuga verso un luogo da cui la guerra è assente- lo uccide, spoglia il cadavere e, dopo averlo spogliato, lo sotterra.

Erasmo da Rotterdam, La guerra piace a chi non la conosce, Adagia

 
Il cristiano che giunge ad un tale livello di abiezione da uccidere il nemico quando è inerme, spogliarlo e derubarlo,  distoglie gli occhi da Cristo, dimentica il suo messaggio di pace e dunque non è un vero cristiano.
 

La guerra non è solo male, la guerra è follia.


Solo un folle può scegliere di intraprendere una guerra, considerati i costi -materiali oltre che umani- e le tante sciagure che essa comporta.

Appena dichiarata, la guerra dilaga come durante una tempesta in un oceano di sventure che seppellisce tutto: il bestiame viene depredato, il raccolto è distrutto, i contadini vengono trucidati, le ricchezze finiscono in mano agli assassini, gli artigiani cessano di esercitare il loro mestiere, le case languono nel lutto e nel terrore, i giovani si perdono nel vizio, i vecchi maledicono la propria longevità. 

Anche quando la guerra si concluda con la vittoria, i suoi effetti sono devastanti: il popolo è ridotto alla fame, le madri sono innaturalmente private dei loro figli, ciascuno vive infelice come se il nemico si fosse portato via la vita di tutti.
E allora mi chiedo: che senso ha azzardare una guerra? (…) Se ti rendi conto che i danni saranno maggiori dei guadagni, anche nel caso in cui tu vincessi la guerra, non è forse più saggio fare un passo indietro che acquistare a gran prezzo qualcosa che vale poco?

Erasmo da Rotterdam, La guerra piace a chi non la conosce, Adagia

 
A che pro dunque la guerra? 

Forse che gli esseri umani non sono già esposti alla sofferenza per il solo fatto che esistono? 

Non sono essi sufficientemente vessati, colpiti, tormentati dalla sorte? 

Malattie, terremoti, inondazioni, frane: non c’è regione del pianeta in cui la vita umana, che di per sé è brevissima, non sia perennemente in pericolo; allora perché, se non per follia, gli uomini inventano un altro male in aggiunta ai tanti inevitabili che non hanno scelto? Vale la pena mettere a rischio con la guerra la propria e l’altrui vita, la propria e l’altrui felicità o non è più saggio fare un passo indietro e scegliere la pace?



 

Se qui la riflessione sulla pazzia è strettamente legata al tema della guerra, dunque essa è la stultitia/il comportamento delirante di chi al bene collettivo antepone l’interesse privato e non esercita il giusto discernimento tra ciò che è bene e ciò che è male, esiste tuttavia in Erasmo (Elogio della follia) un’altra follia: è la gioia vitale dell’istinto, il buon umore che irride la seriosità pomposa del saggio-benpensante, la creatività che si esprime nell'arte, la  parola sincera della critica quanto dell’autocritica.

Ecco: questa follia buona può essere strumento utile a vedere le cose, la vita, il mondo da altra prospettiva...Certo non è la soluzione.

Per Erasmo, monaco ribelle ma pur sempre profondamente cristiano, l’unico antidoto alla guerra è la parola di Cristo, una parola a tal punto inconciliabile con la guerra che, come Tolstoj scriverà secoli più tardi in una lettera al Mahatma Gandhi, di due l'unao si abolisce la religione cristiana o la guerra.

 
Da un punto di vista più laico -un punto di vista che tuttavia non nega l’altro, semmai ne amplia la prospettiva- l’antidoto alla guerra sta (oggi) nella democrazia, cioè nel diritto degli impotenti, delle vittime designate, di sapere e di dire la loro. Se ci si accontenta di mettersi nelle mani di potentissimi signori, anche se scelti in forme più o meno democratiche, tutto può essere perduto. Le vite distrutte a migliaia o milioni e le immani distruzioni sono per loro “effetti collaterali” o effetti “purtroppo” necessari...(Zagrebelsky: “La guerra va ripudiata anche quando è indiretta”, Il Fatto Quotidiano, 2022).


Sono le parole di Gustavo Zagrebelsky.

Sorprende la sintonia con il messaggio di Cristo: dignità e voce agli ultimi.