In occasione della ricorrenza dei vent’anni dalla morte di Norberto Bobbio (1909-2004), Gustavo Zagrebelsky ha di recente pubblicato Il dubbio e il dialogo: il labirinto di Norberto Bobbio, un tributo di un centinaio di pagine intense e appassionate all’uomo che coltivò il dubbio e la speranza.
(...) Bobbio non perseguiva la “verità”, qualunque cosa si possa intendere con
questa parola che, ad ogni modo, significa l’approdo alla certezza che sta nel
punto finale del pensiero che si svolge da sé a partire da un punto iniziale,
altrettanto certo. Più che un dubbio “metodico”, potremmo dire, il suo, “dubbio
curioso”. Dalla convinzione…della natura dicotomica della realtà oggetto di
conoscenza, deriva naturalmente la curiosità di vedere cosa c’è dall’altra
parte e, altrettanto naturalmente, il rispetto per quel che vi si può trovare e
per chi la rappresenta…Il dubbio che Bobbio nomina come caratteristica di se
stesso è, per così dire, l’omaggio alla verità che è stimolo alla domanda: ciò
che penso, ciò in cui credo, eccetera, sarà “davvero vero”?
Gustavo Zagrebelsky, Dubbio, da Il dubbio e il dialogo, versione digitale Einaudi
editore
A differenza del dubbio metodico (quello di cartesiana memoria) che promuove una ricerca destinata ad arrestarsi quando l’intelletto raggiunga il suo scopo, vale a dire la Verità una e indiscutibile; ma anche diversamente dal rinunciatario dubbio scettico, che sospende ogni giudizio perché nulla è conoscibile/certo, il “dubbio curioso” -che, si potrebbe dire, sta tra il dogmatismo e lo scetticismo-, è la postura di chi, come Bobbio e con lui Zagrebelsky, consapevole della natura dicotomica di ogni cosa (per cui le cose potrebbero stare così ma anche diversamente), si chiede se ciò che pensa sia vero o invece non sia vero ciò che pensa l’altro.
Il dubbio curioso è dunque quello che apre al confronto con l’altro, allo scambio di idee con chi, trovandosi dall’altra parte e su altre posizioni, non è l’avversario da annientare, non il nemico da distruggere, ma l’amico con il quale intraprendere il cammino verso la verità.
Quale verità?
Se -come si diceva poco fa- non si tratta della verità
verticale che discende fino ai fondamenti ultimi delle cose, ma neppure
della verità metafisica che trascende le cose -un problema che il laico Bobbio
non si pone-, l’unica verità che abbia senso è la verità
orizzontale (verità solo possibile) che scaturisce dal confronto “e resta alla superficie sulla quale stanno le cose che esistono e vogliamo che esistano” (cfr): la verità coincide con la sua funzione contingente, sta
nella congruenza al fine.
Un esempio.
Supponiamo per assurdo -si fa per dire- che si debba scegliere tra la pace e la guerra: da una parte del tavolo siede chi sostiene le ragioni della pace -il suo fine è dunque la difesa della vita e della libertà-, dall’altra c’è chi propugna le ragioni della guerra - con tutta probabilità il suo fine è di mettere le mani su una striscia di terra; se poi, a latere, questo dovesse significare massacrare chiunque, compresi i civili, poco importa-. Ecco: in una situazione come questa, sarebbe auspicabile che dal confronto-collisione tra le due posizioni scaturisse non la verità assoluta (che non esiste) ma la verità più comprensiva, per così dire l’opzione migliore in quanto accettabile e desiderabile nella prassi -dunque quella compatibile con il diritto alla vita, alla libertà, al rifiuto della violenza e della sopraffazione- e che poi si predisponessero tutti gli strumenti necessari al conseguimento dello scopo. Insomma, la verità che ha in mente Bobbio è, da politologo e filosofo del diritto, molto pragmaticamente -e pur senza nulla togliere alla solennità della verità teoretica- quella che risiede sul terreno della giustizia, della tolleranza, della pacifica convivenza, dell’uguaglianza e in questa direzione occorrerebbe procedere.
Non è detto che la via verso la verità -questa verità- sia agevole, anzi è molto probabile che sia percorso accidentato e irto di ostacoli.
In un passo della sua Autobiografia dedicato a “Il
problema della guerra e le vie della pace”…Norberto Bobbio s’interroga sulle
prospettive della vita individuale e collettiva per mezzo di tre immagini
elevate a paradigmi “che si applicano altrettanto bene al problema del senso
della vita individuale, del destino dell’uomo singolo quanto al problema del
senso o del destino dell’umanità”…Le immagini sono la bottiglia nella quale la
mosca vola a casaccio, la rete in cui si dibatte il pesce, il labirinto dentro
il quale ci si aggira cercando di uscirne. Al di là del comune malessere, la
mosca nella bottiglia, il pesce nella rete e l’errabondo nel labirinto, sono in
condizioni molto diverse. La mosca uscirà alla bottiglia (sempre
che sia senza tappo) solo per un colpo di fortuna. La sorte del pesce è
invece segnata e il suo dibattersi non farà che impigliarlo sempre di più,
mentre chi è perso nel labirinto può tentare di uscirne facendo uso del proprio
ingegno. La sorte, l’affanno e l’ingegno sono le forze che muovono le tre
situazioni. Bobbio…tra le tre immagini predilige quella del labirinto…
Gustavo Zagrebelsky, Humana condicio, da Il dubbio e il dialogo, versione
digitale Einaudi editore
Le
tre immagini -quella della mosca, quella del pesce e infine quella del
labirinto- corrispondono a tre diverse visioni della vita, a tre differenti
modi di stare al mondo.
La mosca nella bottiglia può solo sperare nel caso e giocare d’azzardo: si agita freneticamente e spera che nel suo dibattersi a casaccio le succeda di compiere il movimento giusto, quello che le consentirà di uscire dalla sua prigione; il pesce non ha alcuna prospettiva di salvezza, dunque subisce passivamente sperando solo di dover patire il meno possibile; chi è nel labirinto, invece, sa che da qualche parte una via d’uscita c’è senz’altro, ma non sa dove si trovi, dovrà cercarla. Egli è costretto a procedere per tentativi: molte vie gli si aprono davanti, ma non sa dove conducano; quando una via è bloccata, deve tornare sui propri passi; quando crede di avvicinarsi alla meta, in realtà se ne allontana. È facile che l'uomo nel labirinto sia colto dal panico, ma deve evitare che accada, deve avere pazienza e tenere i nervi saldi, perché un passo falso potrebbe riportarlo al punto di partenza; non deve cedere alle apparenze, perché quella che potrebbe sembrargli la giusta via d’uscita potrebbe rivelarsi un pertugio in cui finire intrappolato; con lucidità e freddezza deve ponderare ogni suo passo, ogni sua scelta.
Insomma, fuor di metafora, nella vita/nella Storia si è liberi di scegliere come agire: come la mosca nella bottiglia, si può sperare nel Caso o nel provvidenziale intervento di qualcuno -in una prospettiva messianica che implica la fede in un qualche salvatore, un messo divino o un regime storico-; si può rimanere paralizzati nell’inazione e lasciare che le cose accadano -come il pesce che sa di essere spacciato-; oppure, come l’errabondo nel labirinto, si può decidere di non rassegnarsi, di non rinunciare alla speranza e dunque di impegnarsi nella ricerca, per quanto essa sia faticosa.
L’etica
del labirinto è quella del dubbio…Richiede che non ci si butti mai a capofitto
nell’azione, che non si subisca passivamente la situazione, che si coordinino
le azioni, che si facciano “scelte ragionate”, che ci si
propongano -a titolo di ipotesi-, mete intermedie, salvo a correggere
l’itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere le
vie sbagliate e ad abbandonarle una volta riconosciute.
Ibid
Il
labirinto di Bobbio ricorda per molti versi quello di Borges: nello scrittore argentino il labirinto
-che nell’Immortale è un edificio costruito per confondere gli
uomini- è il simbolo dell’inintellegibile complessità del reale; anche quando vi sia una via d’uscita dal
labirinto, essa conduce ad un altro labirinto e così all’infinito. Tuttavia in Bobbio, che pure muove dall’idea
che nulla è semplice e che stare al mondo è impegnativo, non viene mai meno
la fiducia nella ragione, vale a dire nella capacità dell’uomo -a patto che lo
voglia davvero- di trovare la via giusta, di fare la scelta migliore.
A chi
chiedesse quali buone ragioni ci sono perché questa scommessa possa essere
vinta, si dovrebbe rispondere semplicemente: nessuna buona ragione. Ma è l’unica
possibilità per un essere che non può confidare se non sulle proprie forze.
Nell’ultima pagina della già citata Autobiografia, leggiamo: “come ho detto tante volte, la storia
umana, tra salvezza e perdizione, è ambigua. Non sappiamo neppure se siamo noi
i padroni del nostro destino”. Il che è quanto dire, per stare ancora
all’immagine del labirinto, che non sappiamo se c’è l’uscita che ci attende e,
se c’è, che la si sappia trovare, ma che non è insensato operare noi stessi per
scoprirla e per tentare di aprirla, agendo come se ci fosse.
Ibid
Trovare la via giusta -la via che conduce alla bobbiana verità pratica che realizza la convivenza e rifiuta il dominio, la salvaguardia dei diritti e non la loro negazione- è sempre impresa difficile e sembra esserlo oggi ancor di più: è tale lo sgomento di fronte alla violenza, alla guerra tra popoli fratelli, al dolore di masse di diseredati che migrano nella speranza di una sorte migliore, al disastro ambientale, alla violazione dei diritti, alla povertà, all’ignoranza di coloro per i quali l'istruzione è un lusso che non possono permettersi; ecco, lo sgomento di fronte a tutto questo è tale che si rischia di non riuscire a scorgere la via e si è tentati di smettere di cercare, di lasciare che le cose accadano.
Rinunciare come il pesce imprigionato nella rete o sperare nella Fortuna come la mosca nella bottiglia vorrebbe dire però condannarsi all’autodistruzione, dunque solo agendo come l’uomo del labirinto c’è possibilità di salvezza.
Il compito che di sicuro ci riguarda (...) è, allora, darsi da fare per coltivare questo nostro luogo, per rendere la «aiuola che tanto ci fa feroci», meno disumana, più giusta, più abitabile.
Ibid