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Il Decadentismo in breve


 

Il Decadentismo s’affermò in Francia e poi in Europa nei decenni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
 
Il termine decadente venne usato in Francia in un’accezione fortemente dispregiativa per indicare la poetica e gli atteggiamenti di un gruppo di poeti simbolisti che, raccogliendo l’eredità di Baudelaire e ispirandosi a I fiori del male, si caratterizzavano per la violenta polemica nei confronti del mondo contemporaneo; per una visione dell’arte/della poesia come strumento di conoscenza quasi metafisica; per la sfiducia nella scienza; per l’attrazione verso il lato oscuro delle cose; per l’individuazione del male come parte costitutiva della vita ma ipocritamente taciuta dai benpensanti.
 
Osservatori e insieme interpreti di una società in crisi, un mondo in cui tutto “decade…religioni, costumi, giustizia e l’uomo è annoiato” (1) i simbolisti della generazione successiva a Baudelaire furono per questo essi stessi decadenti. 

 

La narrativa decadente


Se la poesia simbolista si espresse attraverso le opere di Verlaine, Rimbaud, Mallarmé o nell’ opera di G. Pascoli in Italia, la narrativa decadente -il romanzo- ebbe la sua espressione più compiuta in Oscar Wilde, in Joris Karl Huysmans e in Italia in G. D’Annunzio e in A. Fogazzaro.
 
Il romanzo decadente condivide con la poesia simbolista:


1. la sfiducia nella ragione aperta dalla crisi del Positivismo: la scienza e la ragione non sono in grado di fornire spiegazione al reale, la cui complessità sfugge a categorie concettuali. Solo l’arte, che dunque è Valore assoluto, permette di attingere il significato più profondo dell’essere in una sorta di rivelazione mistico-religiosa;


2. il rifiuto dell’omologazione: una ribellione che si traduce talvolta in un aristocratico disprezzo nei confronti delle masse e delle opinioni comuni;


3. l'irrazionalismo
/l’attrazione per il lato oscuro della vita, della realtà e della psiche umana: il male, il dolore, la morte, il morboso, la devianza;  


4. la tendenza all’introspezione: al realismo dei naturalisti o dei veristi, saldamente ancorati ai fatti, il narratore decadente oppone lo scavo psicologico del personaggio, alla ricerca delle motivazioni -anche inconsce- che lo spingono ad agire.



A ben guardare, le storie di tutti i più grandi romanzi decadenti (Il ritratto di Dorian Gray di O. Wilde, Controcorrente di Huysmans, Le vergini delle rocce o Il piacere di D'Annunzio...) ruotano intorno a personaggi moralmente discutibili, esteti privi di scrupoli che agiscono mossi dall'egoistica ricerca del piacere.  Anteponendo il bello al giusto, essi si distinguono dalla massa per superiorità culturale e per la naturale propensione all'Arte, unica via verso la Verità.

 

D'Annunzio e Pascoli


I due esempi più rappresentativi del Decadentismo italiano sono senz’altro G. D’Annunzio - romanziere oltre che poeta - e G. Pascoli, due personalità/caratteri agli antipodi: eccentrico ed esteta amante dello sfarzo il primo, schivo e amante della semplicità delle piccole cose l’altro; politicamente (iper)attivo l’uno, lontano dai clamori della mondanità e della politica il secondo.
 
Nonostante le differenze che li separano, attingendo al Simbolismo D'Annunzio e Pascoli condividono:

 
1. l’idea che il dato fenomenico è solo illusoria parvenza poiché il senso del reale risiede in segrete-nascoste corrispondenze, una sorta di legame magico tra gli esistenti che li abbraccia in un unico tutto: concetto mutuato da Baudelaire e rintracciabile nelle Laudi -in particolare in Alcyone- di D’Annunzio come in Myricae di Pascoli; 


2.  la scelta di un linguaggio evocativo che, attraverso immagini, suoni, percezioni (onomatopee, simboli, sinestesie, analogie) esprima intuizioni profonde e pre-logiche in grado di disvelare le intime e segrete corrispondenze che alla razionalità sfuggono;


3. l’insofferenza nei confronti dell’appiattimento democratico del gusto e della sensibilità, che in D’Annunzio sfocia nella teoria del superuomo (individuo che per cultura e nascita si eleva al di sopra della massa) e per Pascoli confluisce nell’esaltazione del poeta-fanciullino, che si distingue per sensibilità e capacità intuitiva;


4.   la fuga dalla realtà che se per i poeti simbolisti si traduceva nella ricerca dell’esotico, in Pascoli confluisce nel vagheggiamento di una vita semplice (esaltazione della vita rurale) ma rassicurata dagli affetti (il nido), mentre in D’Annunzio sfocia nella ricerca del gesto eclatante/eroico che eleva sulla banalità del mondo contemporaneo.

 
 
 
(1) Le Décadent, n. 1, 1886