Letteratura

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A margine dell’Umanesimo. La letteratura comico-giocosa.



Nel XV secolo, l’Umanesimo rappresenta un’autentica rivoluzione culturale: nel distacco critico dal passato e dalla tradizione, l'uomo si riappropria di se stesso e della propria dimensione terrena, nella consapevolezza -che tuttavia non assume mai carattere antireligioso-, che la dignitas hominis sta nella capacità di agire concretamente hic et nunc, nel mondo.
 
Accanto alla fioritura di opere straordinariamente serie sulla centralità dell’uomo nel suo rapporto con il mondo e la Storia, il Quattrocento vede una letteratura -per così dire minore- dai toni e dai temi giocosi, un genere in realtà non nuovissimo, avendo precedenti illustri nella poesia di Cecco Angiolieri o nelle opere di Boccaccio: si tratta di una letteratura popolare rigorosamente in volgare, destinata ad un pubblico non necessariamente istruito e spesso prodotta da scrittori per caso, da individui cioè che di mestiere fanno altro che lo scrittore o il poeta e che dunque nulla hanno in comune con i colti intellettuali umanisti.
 


Scrivere alla burchia


È il caso di Domenico di Giovanni (1404-1449), barbiere toscano detto Burchiello per la sua poesia alla burchia, vale a dire una poesia caratterizzata dall’affastellamento di cose e situazioni senza apparente ordine logico né grammaticale-sintattico, proprio come le merci 
erano stipate alla rinfusa sui burchielli (imbarcazioni fluviali).

 
Nominativi fritti e mappamondi
e l’arca di Noè fra duo colonne
cantavan tutti ‘Kyrieleisonne’
per la ’nfluenza de’ taglier mal tondi.
 
 La luna mi dicea “Ché non rispondi?”.
 E io risposi “I’ temo di Giansonne,
 però ch’i’ odo che ’l dïaquilonne
 è buona cosa a fare i cape’ biondi”.
 
Et però le testuggine e’ tartufi
m’hanno posto l’assedio alle calcagne,
dicendo:”Noi vogliàn che tu ti stufi”,
 
e questo sanno tutte le castagne:
perché al dì d’oggi son sì grassi e gufi
c’ognun non vuol mostrar le suo magagne.
 
E vidi le lasagne
andare a Prato a vedere il sudario,
e ciascuna portava lo ’nventario.
 
Nominativi fritti, mappamondi e l’arca di Noè fra due colonne cantavano il Kyrie eleison sotto l’influsso dei piatti di portata abbastanza vuoti. La luna mi chiedeva “Perché non rispondi?” E io risposi: “Temo Giasone perché sento che l'unguento va bene per imbiondire i capelli”. Però le testuggini e i tartufi hanno posto assedio alle mie calcagna e dicono “Vogliamo che tu ti stufi”. E questa è cosa che sanno tutte le castagne, perché oggi i gufi sono così grassi che nessuno vuol mostrare le proprie magagne
/guai. E vidi le lasagne andare a Prato a vedere il Sudario e ciascuna di loro portava l’inventario.


Questa la parafrasi. 


Il testo è oggettivamente farneticante, a leggerlo si sperimenta tutta la frustrazione di non averci capito nulla: un insieme confuso di parole apparentemente prive di senso, un susseguirsi di immagini surreali -a cominciare dalla frittura di nominativi evocata nel titolo per finire al pellegrinaggio delle lasagne- che lasciano basiti. 

Puro divertissement. Burchiello gioca con le parole e con i loro suoni, si diverte a disegnare scene grottesche che poi, sia pur lontanissime tra loro, mette in relazione stabilendo nessi analogici azzardati ma geniali(1): ne è un esempio l’accostamento tra Giasone (secondo la mitologia a capo della spedizione degli Argonauti per la conquista del vello d’oro) e il dïaquilonne (tintura per imbiondire i capelli), un accostamento che trova ragione nella somiglianza cromatica tra il Vello d’oro e i capelli biondi”. (2) Allo stesso modo, il legame apparentemente bizzarro tra le testuggini e i tartufi assedianti le calcagna del poeta ha un senso se si considera che all’epoca i due termini indicavano rispettivamente calli e vesciche.

 
Insomma, Burchiello gioca e, irridendo la dotta poesia dei colleghi più illustri, ci regala la leggerezza di una poesia che non ha la pretesa di trasmettere verità né di insegnare alcunché.
 

Le storielle” di Arlotto


Comicità e leggerezza sono la cifra di Motti e facezie del Piovano Arlotto, raccolta di battute di spirito e aneddoti divertenti attribuita al prete toscano Arlotto Mainardi, che con le sue storielle pare fosse solito allietare brigate di amici nel corso di banchetti/feste ma anche in occasioni decisamente meno mondane.
 
La medesima mattina di santo Lorenzo benedetto per degnità fu commessa la predica al Piovano Arlotto da ser Ventura, e li altri preti che quivi erano quella mattina venuti alla festa. Fu pregato il detto Piovano fusse contento di dire più brieve potesse da quelli preti e da alcuni giovini fiorentini e’ quali erano venuti alla festa, per cagione l’ora era tarda e il caldo si preparava grande e le loro possessioni e abitazioni erano lontane; alli quali rispuose molto umanamente volerli servire. E levato fu il Signore, andò in sul pergamo e incominciò a predicare e doppo il suo introito con brevità disse queste parole: – Magnifici ed egregii cittadini e voi prudenti contadini, ser Ventura e questi miei venerabili sacerdoti mi hanno commesso questa mattina la predicazione e per obbidienzia indegnamente io sono montato in su questo pergamo a me indegno, dove per carità io innarrerò alquante parole. L’anno passato i’ predicai in questo medesimo luogo e narrà’vi tutta la vita di questo gloriosissimo martire santo Lorenzo, e tutta la sua passione, morte e miracoli fece in vita e in morte e doppo, e dal giorno che io predicai in questa chiesa, che a punto fa oggi lo anno, insino al presente non ha poi fatto altro che io sappi, e per cagione l’ora tarda farò fine. So non fa di bisogno più replicare questa istoria a quelle persone ci furono questo anno passato, perché so molto bene l’hanno a mimoria; e se ci fusse alcuna persona che non ci fussi istata, se la faccino ridire a quelli che ci furono. Pax et benedictio, amen.

Facezia VIIII che disse il Piovano Arlotto in una predica la mattina di Santo Lorenzo.


Se solitamente repetita iuvant, in altri casi è meglio 
“tagliar corto”. È di quest’avviso il sacerdote Arlotto, che in occasione dell’annuale messa in onore di S. Lorenzo, avendo già ampiamente illustrato l’anno precedente di quali miracoli fosse capace il Santo, ritiene di non doversi inutilmente ripetere, pertanto bando alle chiacchiere: chi si trovasse lì in chiesa per la prima volta, si faccia spiegare tutto da quelli che già conoscono il contenuto della predica per averla ascoltata negli anni passati. 

 

Insomma nel XV secolo, mentre gli intellettuali umanisti s’interrogano e scrivono sulle grandi questioni della vita e dell’uomo, alcuni scrittori per caso come barbieri burloni o preti buontemponi raccontano “piccole cose” con la leggerezza di un sorriso. 



 
 
 
 
(1) Claudio Giunta, Cuori intelligenti, vol.1

(2) cfr, Claudio Giunta, Cuori intelligenti, vol.1