Letteratura

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Il “noir”… nei Promessi sposi


 

Nato in Inghilterra nella seconda metà del Settecento e affermatosi pienamente nella prima metà dell’Ottocento con il Romanticismo europeo, il genere noir si caratterizza per la scelta di soggetti terrificanti, per le atmosfere cupe, per l’ambientazione tenebrosa.


Se l’iniziatore del genere deve a buon diritto essere considerato Horace Walpole (1717-1797) con il suo Castello di Otranto, è pur vero che E. A. Poe (1809-1849) ha portato il genere nero a livelli rimasti insuperati: i suoi racconti hanno terrorizzato intere generazioni, basti pensare a Il pozzo e il pendolo, Il cuore rivelatoreIl gatto nero, Il barile di Amontillado -e a molti altri racconti- in cui Poe disegna situazioni angoscianti e dà vita a personaggi diabolicamente abili nel confezionare delitti efferati quanto perfetti.
 
Al genere nero appartengono opere conosciutissime come Dracula, in cui l’autore Bram Stoker (1947-1912) narra la storia del vampiro più famoso della letteratura; il romanzo di Mary Shelley (1797-1851) Frankenstein ovvero il moderno Prometeo, opera in cui il tema del mostro -nato dall’assemblaggio di pezzi di cadaveri- è in verità funzionale alla riflessione sulla scienza.
 
In Italia il noir si affermerà solo nella seconda metà dell’Ottocento con i racconti/romanzi degli scapigliati italiani, si pensi ai Racconti gotici di Igino Ugo Tarchetti. Tuttavia, tracce di noir sono presenti già nella prima metà del secolo in opere italiane impensabili perché di tutt’altro genere: nei Promessi sposi, che pure è opera lontana anni-luce dal genere, Manzoni si concede di tanto in tanto un’incursione nel nero
; ne è un esempio la storia di Gertrude monaca di Monza, la signora del monastero presso il quale Lucia trova rifugio per sfuggire alla persecuzione di don Rodrigo.

 
Gertrude, fattasi monaca per volere dell’autoritario padre, è personaggio misterioso e inquietante fin dalla sua prima entrata in scena nel IX capitolo del romanzo.

 

…vide una finestra d’una forma singolare, con due grosse e fitte grate di ferro, distanti l’una dall’altra un palmo; e dietro quelle una monaca ritta. Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d’inferiore bianchezza; un’altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d’un nero saio. Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi, neri neri anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d’un pensiero nascosto, d’una preoccupazione familiare all’animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti... 
Promessi sposi, cap. IX
 

Gertrude accoglie Lucia affacciata ad una finestrella con grosse grate di ferro.
La sua bellezza sbattuta, quasi scomposta;  la fronte corrugata; lo sguardo furtivo di quegli occhi neri che talvolta si chinano in fretta come per cercare un nascondiglio; quel non so che di minaccioso e di feroce che è possibile cogliere in essi; le movenze nervose: tutto in lei tradisce un tormento segreto e una certa attitudine al male.
 
Nel cap. X Manzoni dà conto del torbido passato di Gertrude e del suo terribile segreto.
 
Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de’ tanti, che, in que’ tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.
In que’ primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo, ma viva. Nel vòto uggioso dell’animo suo s’era venuta a infondere un’occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente... Si videro, nello stesso tempo, di gran novità in tutta la sua condotta: divenne, tutt’a un tratto, più regolare, più tranquilla, smesse gli scherni e il brontolìo, si mostrò anzi carezzevole e manierosa, dimodoché le suore si rallegravano a vicenda del cambiamento felice; lontane com’erano dall’immaginarne il vero motivo, e dal comprendere che quella nuova virtù non era altro che ipocrisia aggiunta all’antiche magagne. …
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; ma un giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non so che pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non la finiva più, la conversa, dopo aver sofferto, ed essersi morse le labbra un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola, che lei sapeva qualche cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe parlato.
Da quel momento in poi, la signora non ebbe più pace. Non passò però molto tempo, che la conversa fu aspettata in vano, una mattina, a’ suoi ufizi consueti: si va a veder nella sua cella, e non si trova: è chiamata ad alta voce; non risponde: cerca di qua, cerca di là, gira e rigira, dalla cima al fondo; non c’è in nessun luogo. …non se n’ebbe mai la più piccola notizia. Forse se ne sarebbe potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato vicino…
…. Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lucia fu presentata alla signora
Promessi sposi, cap.X

Nel cap. X prende corpo la storia della singolare monaca: Gertrude, monaca suo malgrado e attratta dai piaceri della vita mondana più che dall’austerità della clausura monacale, intrattiene una relazione peccaminosa con Egidio, uno scellerato di professione come tanti altri all’epoca dei fatti, uno di quei soverchiatori che, forti dei privilegi che la posizione sociale assicura loro, sono soliti circondarsi di sgherri, far combutta con altri scellerati e beffarsi della forza pubblica e delle leggi.


La tresca è scoperta da una novizia che, maltrattata ingiustamente da Gertrude, minaccia di vendicarsi rivelando alla madre superiora ciò che sa. Gertrude si libera di lei facendola assassinare.
 
Nella storia di Gertrude, rielaborazione letteraria di un fatto di cronaca avvenuto intorno al 1608 (1), gli ingredienti del noir sono evidenti: l’atmosfera greve del monastero, la torbida relazione d’amore tra l’inquieta/inquietante Gertrude e un individuo privo di scrupoli, il delitto consumato su vittime innocenti.
 
Dal sapore noir anche la storia dell’Innominato, un fuorilegge votato al male che si macchia dei peggiori misfatti.
 
Il castello dell’innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Quella che guarda la valle è la sola praticabile; un pendìo piuttosto erto, ma uguale e continuato; a prati in alto; nelle falde a campi, sparsi qua e là di casucce. ..
Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto…Del resto, non che lassù, ma neppure nella valle, e neppur di passaggio, non ardiva metter piede nessuno che non fosse ben visto dal padrone del castello…
Promessi sposi, cap. XX

 
Gli scellerati, si diceva poco fa, son soliti far lega tra loro: pur di avere Lucia e non potendo contare sulle sole proprie forze, don Rodrigo si rivolge a chi gerarchicamente lo supera quanto a potere e grado di scelleratezza, il temibile Innominato che, fatta rapire Lucia dal monastero in cui è rifugiata, la fa condurre presso il proprio castello.  


Dall’alto del sinistro castellaccio arroccato sulla cima di un poggio, l’Innominato domina su tutto il territorio circostante come un’aquila dal suo nido insanguinato; nessuno s’arrischia a mettere piede non solo sul sentiero che conduce al castello, ma neppure nella valle sottostante tanto è grande il terrore che suscitano quel luogo e il signore che vi spadroneggia.
 
Giunta al castello, l’innocente vittima sacrificale Lucia è affidata alla custodia di una serva che, perfida quanto è richiesto da un noir che si rispetti, con sadico compiacimento ubbidisce all’ordine del padrone di sorvegliare la giovane a vista, assicurandosi che non esca mai dalla stanza in cui è rinchiusa.
 
Gli ingredienti del noir sono profusi a piene mani: c’è il malfattore senza Dio che non arretra di fronte al peggior delitto; intorno a lui gira uno stuolo di servi privi di scrupoli e di spietati scagnozzi; c’è il sinistro castello come da tradizione appollaiato su un’altura e quindi inaccessibile ai più; c’è infine la vittima innocente.
 
Opera davvero unica i Promessi sposi
: storica ricostruzione su come andavano le cose nel secolo diciassettesimo e insieme saggio dell'abilità di Manzoni, un narratore come pochi.

 
 


(1) La nobildonna Marianna de Leyva (1575-1650), costretta dal padre a prendere i voti diventando così suor Virginia, ebbe una relazione con il conte Gian Paolo Osio, un uomo privo di scrupoli che non esitò ad uccidere per nascondere la tresca.