Che il denaro contribuisca alla felicità, può essere; che vivere unicamente in funzione del denaro sia motivo di infelicità è verissimo. Ne è esempio Arpagone, lo spilorcio patologico che Molière descrive nell’Avaro, commedia in cinque atti andata in scena per la prima volta nel 1668 presso il Teatro di Palais-Royal di Parigi.
Infelicemente ricchissimo, pur di non spendere un soldo Arpagone vive nella miseria lesinando su tutto; terrorizzato dall’idea che qualcuno possa derubarlo, trasalisce al minimo rumore; non si fida di nessuno, nemmeno dei suoi stessi figli che approfittando di una sua momentanea disattenzione, potrebbero allungar le mani sulle sue ricchezze.
La
servitù, sfruttata e malpagata, lo detesta; la gente lo schernisce facendo circolare
sul suo conto storielle che lo vedono andar nottetempo a mangiare l’avena destinata
ai cavalli o citare in giudizio il gatto del vicino perché gli ha mangiato un
avanzo di montone; i figli ne temono le sfuriate.
La
trama
Cleante
ed Elisa, i figli di Arpagone, sono innamorati rispettivamente di Marianna
-giovane e bella e onesta ma senza un soldo- e di Valerio, uno dei servitori
della casa. I due ragazzi sono disperati, il padre non accetterà mai che
sposino degli spiantati.
La
situazione si complica quando Arpagone comunica ad Elisa che ha trovato per lei
il marito giusto, certo Anselmo, non più giovanissimo ma ricco quanto basta per
far felici tutti; dal suo canto Cleante dovrà accettare
che Marianna vada in sposa proprio al vecchio Arpagone, che l’ha vista passare per strada e se ne è innamorato.
Per festeggiare adeguatamente il doppio fidanzamento, Arpagone pensa ad una cena.
ARPAGONE
- Su. venite tutti qui. Volete venire qui? (A Valerio) Vieni Valerio che
distribuisco gli ordini per oggi e dico quel che deve fare ciascuno. Devi dire
alla cameriera che le affido il compito di pulire ben bene dappertutto, e che
stia attenta a non spolverare i mobili con troppa forza, perché si consumano.
Dopo di che, per la cena di questa sera, la nomino comandante del settore delle
bottiglie: se qualcuna sparisce, e se qualcosa si rompe, responsabile sarà lei
e a lei tratterrò il costo dallo stipendio.
MASTRO
GIACOMO - Politica del terrore.
ARPAGONE
- I due domestici, Fiordavena, e Merluzzo, hanno l’incarico di sciacquare i
bicchieri e di versar da bere, ma solamente quando e soltanto a quelli che
avranno sete davvero; e non come fanno certi servi, che seguitano ad insistere
con gli ospiti, e che li fanno bere anche quando quelli neanche ci pensano. Che
aspettino che siano loro a chiedere, e più di una volta; e prima di tutto, che
provino a dargli acqua.
MASTRO
GIACOMO - Eh già, il vino puro dà alla testa.
VALERIO
- I grembiuli, signore, se li devono togliere?
ARPAGONE
- Sì, ma solo quando vedranno arrivare gli ospiti. E che stiano bene attenti a
non sciupare i vestiti.
VALERIO
- Però lo sapete, signore, che sul davanti del giubbetto, Fiordarena ha una
grande macchia d’olio. E che Merluzzo ha i calzoni con un gran buco didietro.
ARPAGONE
- Sì. Lo so. E allora tu digli di farsi furbi. Uno che cammini sempre rasente
ai muri, e l’altro che serva a tavola con la mano davanti. (Arpagone mima l’uno
per nascondere il buco sui calzoni e l’altro per mostrare come deve fare per
nascondere la macchia d’olio) (A Elisa) Quanto a te, figlia mia, tieni gli
occhi sempre bene aperti su quel che viene portato via di tavola, che niente
vada sprecato.
ELISA
- Sì, papà. (Via)
ARPAGONE
- E tu, signor damerino, figlio mio, a cui ho avuto la bontà di perdonare la
bella storia di poc’anzi, stai bene attento a non fare cattivo viso alla mia
promessa sposa, eh!
CLEANTE
- Io, cattivo viso, papà? Perché dovrei? Non posso promettervi che farò i salti
di gioia nel veder quella donna a diventare la mia matrigna. Ma quanto a non
farle cattivo viso, vi assicuro che non avrete ragione a lamentarvi di me.
(Via)
ARPAGONE
- Tanto meglio per te. (A Mastro Giacomo) E adesso voi, mastro
Giacomo,
venite qui.
MASTRO
GIACOMO - È al cocchiere che volete parlare, signor Arpagone, o al cuoco? Visto
che io faccio l’uno e l’altro.
ARPAGONE
- A tutti e due.
MASTRO
GIACOMO - Ma a quale per primo?
ARPAGONE
- Al cuoco.
MASTRO
GIACOMO - Allora un momento, per piacere. (Si toglie la casacca da cocchiere ed
appare vestito da cuoco)
ARPAGONE
- Allora…posso parlare?
MASTRO
GIACOMO - Parlate pure.
ARPAGONE
- Mastro Giacomo, stasera ho invitato gente a cena.
MASTRO
GIACOMO - Miracolo!
ARPAGONE
- Avete intenzione di trattarci bene?
MASTRO
GIACOMO - Dipende dai soldi che mi date.
ARPAGONE
- Accidenti, sempre soldi! Sembra che non sappiate dir altro: “I soldi, i
soldi, i soldi”.
…MASTRO
GIACOMO - In quanti sarete?
ARPAGONE
- In otto o dieci; ma da mangiare basterà farne per otto. Perché quando ce n’è
per otto, ce n’è anche per dieci.
VALERIO
- Verissimo.
MASTRO
GIACOMO - E allora bisognerà fare… quattro belle minestre, cinque piatti di
portata, sei di antipasto…
ARPAGONE
- Accidenti, ma c’è da sfamare tutta la città con i soldi miei!
MASTRO
GIACOMO - E poi ci vuole un bell’arrosto…
ARPAGONE
- (tappandogli la bocca con la mano) Ah, traditore, tu mi mangi tutto quello
che ho...
Moliere,
L’Avaro, ATTO III
MASTRO GIACOMO - Politica del terrore.
ARPAGONE - I due domestici, Fiordavena, e Merluzzo, hanno l’incarico di sciacquare i bicchieri e di versar da bere, ma solamente quando e soltanto a quelli che avranno sete davvero; e non come fanno certi servi, che seguitano ad insistere con gli ospiti, e che li fanno bere anche quando quelli neanche ci pensano. Che aspettino che siano loro a chiedere, e più di una volta; e prima di tutto, che provino a dargli acqua.
MASTRO GIACOMO - Eh già, il vino puro dà alla testa.
VALERIO - I grembiuli, signore, se li devono togliere?
ARPAGONE - Sì, ma solo quando vedranno arrivare gli ospiti. E che stiano bene attenti a non sciupare i vestiti.
VALERIO - Però lo sapete, signore, che sul davanti del giubbetto, Fiordarena ha una grande macchia d’olio. E che Merluzzo ha i calzoni con un gran buco didietro.
ARPAGONE - Sì. Lo so. E allora tu digli di farsi furbi. Uno che cammini sempre rasente ai muri, e l’altro che serva a tavola con la mano davanti. (Arpagone mima l’uno per nascondere il buco sui calzoni e l’altro per mostrare come deve fare per nascondere la macchia d’olio) (A Elisa) Quanto a te, figlia mia, tieni gli occhi sempre bene aperti su quel che viene portato via di tavola, che niente vada sprecato.
ELISA - Sì, papà. (Via)
ARPAGONE - E tu, signor damerino, figlio mio, a cui ho avuto la bontà di perdonare la bella storia di poc’anzi, stai bene attento a non fare cattivo viso alla mia promessa sposa, eh!
CLEANTE - Io, cattivo viso, papà? Perché dovrei? Non posso promettervi che farò i salti di gioia nel veder quella donna a diventare la mia matrigna. Ma quanto a non farle cattivo viso, vi assicuro che non avrete ragione a lamentarvi di me. (Via)
ARPAGONE - Tanto meglio per te. (A Mastro Giacomo) E adesso voi, mastro
Giacomo, venite qui.
MASTRO GIACOMO - È al cocchiere che volete parlare, signor Arpagone, o al cuoco? Visto che io faccio l’uno e l’altro.
ARPAGONE - A tutti e due.
MASTRO GIACOMO - Ma a quale per primo?
ARPAGONE - Al cuoco.
MASTRO GIACOMO - Allora un momento, per piacere. (Si toglie la casacca da cocchiere ed appare vestito da cuoco)
ARPAGONE - Allora…posso parlare?
MASTRO GIACOMO - Parlate pure.
ARPAGONE - Mastro Giacomo, stasera ho invitato gente a cena.
MASTRO GIACOMO - Miracolo!
ARPAGONE - Avete intenzione di trattarci bene?
MASTRO GIACOMO - Dipende dai soldi che mi date.
ARPAGONE - Accidenti, sempre soldi! Sembra che non sappiate dir altro: “I soldi, i soldi, i soldi”.
…MASTRO GIACOMO - In quanti sarete?
ARPAGONE - In otto o dieci; ma da mangiare basterà farne per otto. Perché quando ce n’è per otto, ce n’è anche per dieci.
VALERIO - Verissimo.
MASTRO GIACOMO - E allora bisognerà fare… quattro belle minestre, cinque piatti di portata, sei di antipasto…
ARPAGONE - Accidenti, ma c’è da sfamare tutta la città con i soldi miei!
MASTRO GIACOMO - E poi ci vuole un bell’arrosto…
ARPAGONE - (tappandogli la bocca con la mano) Ah, traditore, tu mi mangi tutto quello che ho...