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Detesto gli indifferenti

 


Era il 1917 quando Antonio Gramsci scrisse per La città futura “Odio gli indifferenti”, feroce j’accuse nei confronti di quanti alla libertà/responsabilità che è nell’agire preferiscono vigliaccamente l’indifferenza dell’inazione.
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che vivere vuol dire essere partigiani.
Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica (…)
 A. Gramsci, Odio gli indifferenti


L’indifferenza è la paralisi della volontà, il gorgo limaccioso che travolge l'entusiasmo, la vigliaccheria che impedisce l’azione. 

Eppure, sia pur passivamente, l’indifferenza opera nella storia con forza: tutto ciò che avviene, il male che distrugge ogni cosa non è solo opera di alcuni quanto il prodotto dell’assenteismo di altri, di coloro che, abdicando alla propria volontà, lasciano che le cose accadano e che altri agiscano. 
I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa.
Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento (…)
Ibid
 
Mentre le mani di pochi tessono nell’ombra i fili della Storia secondo il proprio interesse e le proprie ambizioni, gli indifferenti stanno a guardare: non si preoccupano, non intervengono, non prendono posizione, ma pietosamente piagnucolano quando i nodi che hanno lasciato aggruppare, le ingiustizie che non hanno saputo contrastare, le guerre che non hanno voluto impedire, i governi dispotici contro cui non hanno osato ribellarsi manifestano i loro effetti devastanti. Allora essi si disperano: alcuni imprecano contro il Caso capriccioso che sconvolge i piani e vanifica gli sforzi, altri inveiscono contro la fatalità, la necessità di leggi già scritte che ineluttabilmente determinerebbero il corso della Storia quasi che essa fosse un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. (cfr).

In realtà la fatalità che sembra dominare la storia non è altro che apparenza illusoria e tutto ciò che accade, il male che si abbatte su tutti, avviene perché molti stanno alla finestra mentre pochi altri agiscono/si svenano (cfr.)

(…) Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia, il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto a ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Ibid
 
Gramsci, l’intellettuale che del dissenso e dell’attiva opposizione al Fascismo fece la battaglia di una vita, è implacabile: le lacrime tardive dell’indifferente non meritano pietà né cancellano la sua colpa
; nessun perdono per chi, incapace di dire no quando il no andava urlato forte, inerte quando era necessaria l’azione, vigliaccamente si è reso corresponsabile dei guasti della Storia.

Credo che vivere voglia dire essere partigiani (…). Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo (…). Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

Vivere significa scegliere da quale parte stare, 
perché chi vive veramente non può non essere cittadino che parteggia e attivamente si schiera: Dante lo aveva convintamente sostenuto molti secoli addietro, tant'è che nella Commedia agli ignavi aveva riservato un posto nell’Antinferno (Inferno, Canto III).

Gli ignavi di Dante sono proprio come gli indifferenti di Gramsci, sono gli sciaurati che mai non fur vivi, gli in-fami che al mondo non lasciano fama di sé perché non osano scegliere; sono gli zombies della volontà; i nati-morti sui cui cadaveri prosperano tirannide e oppressione come nell’opera di Alfieri (La virtù sconosciuta); sono i “don Abbondio” che come vasi di terracotta evitano gli scossoni della Storia e nell’acquiescenza del quieto vivere lasciano passare ogni stortura.

 
L’indifferenza genera catastrofi.


Certo è pericolosissimo anche il fanatismo manicheo, la partigianeria acritica/dogmatica di chi, riducendo la complessità del reale alla rigida contrapposizione di opposti (vero/falso, giusto/ingiusto...) è convinto che la verità stia tutta dalla propria parte: proprio dal fondamentalismo di chi non vede che la propria ragione e la propria bandiera originano odio e intolleranza.

Quando però in ballo c’è la difesa dei diritti; quando da una parte c’è chi soffre e subisce mentre dall’altra c’è chi opprime, perseguita, violenta, umilia, zittisce; ogni volta che la dignità umana è calpestata, che la libertà -di un singolo o di una collettività- è negata o solo minacciata, allora non ci sono dubbi, non ci si può sbagliare: la parte giusta, quella per la quale impegnarsi, è soltanto una e lì occorre schierarsi. 

Senza se e senza ma.