L’opera di Michel Foucault Storia della follia nell’età classica (1961) è una pietra miliare nella riflessione sulla follia, una dimensione dell’essere in cui la Sragione fa saltare ogni ragionevole ordine (del linguaggio, della morale, del sentire): deforma la realtà, sovverte regole, infrange tabù, capovolge valori.
Nel
Medioevo la follia era assimilata ad altre forme di devianza: il folle era considerato
al pari del sodomita, del dissoluto, dell'assassino, individui tutti ugualmente
abietti che la società doveva espellere da sé.
L’orrore
suscitato dal folle e dalla sua alterità è leggibile nell’arte.
Nel
dipinto in cui il
fiammingo Hieronymus Bosch, rifacendosi alla satira di Sebastian
Brant, raffigurò nel 1494 la Stultifera
navis -la leggendaria nave colma di folli che, navigando senza meta, li portasse lontano dal consesso civile- i volti dei folli sono ripugnanti, in loro la
deformità delle fattezze è espressione stessa del Male.
Quanto alla Stultifera navis, nel primo capitolo della sua opera Foucault precisa che essa è solo in parte
frutto della fantasia: in realtà nel Medioevo
accadeva spesso che le città si liberassero dei folli affidandoli a battellieri
o marinai affinché li trasportassero altrove:
Un
nuovo oggetto fa la sua apparizione nel paesaggio immaginario del Rinascimento:
ben presto occuperà in esso un posto privilegiato: è la Nave dei folli, strano
battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi. La
“Nave dei folli” è evidentemente una creazione letteraria, presa in prestito al
vecchio ciclo degli Argonauti […]. Ma di tutti questi vascelli romanzeschi o
satirici, la Nave dei folli è la sola che abbia avuto un’esistenza reale,
perché sono esistiti davvero questi battelli che trasportavano il loro carico
insensato da una città all’altra. I folli allora avevano spesso un’esistenza
vagabonda. Le città li cacciavano volentieri dalle loro cerchie: li si lasciava
scorazzare in campagne lontane, quando non li si affidava a un gruppo di
mercanti o di pellegrini. L’usanza era frequente soprattutto in Germania: a
Norimberga, durante la prima metà del xv secolo, era stata registrata la
presenza di sessantadue folli; trentuno sono stati cacciati: per i
cinquant’anni seguenti si conserva la traccia di ventun partenze obbligate; e
si tratta solo dei folli arrestati dalle autorità municipali. Accadeva spesso
che venissero affidati a battellieri: a Francoforte, nel 1399, alcuni marinai
vengono incaricati di sbarazzare la città di un folle che passeggiava nudo; nei
primi anni del xv secolo un pazzo criminale è spedito nello stesso modo a
Magonza. Talvolta i marinai gettano a terra questi passeggeri scomodi ancor
prima di quanto avevano promesso; ne è testimone quel fabbro di Francoforte,
due volte partito e due volte ritornato, prima di essere ricondotto
definitivamente a Kreuznach. Le città europee hanno spesso dovuto veder
approdare queste navi di folli.
(M.
Foucault, Storia della follia nell’età classica, trad. di F. Ferrucci, Rizzoli,
Milano 1994
Nel
Settecento - significativamente nel secolo dei lumi- cominciò a farsi strada
l’idea che il folle non fosse da confondere con il delinquente o con il depravato
e così sorsero le prime case di cura: nel 1793 venne inaugurato a Parigi il
primo manicomio della storia, che di fatto segnò l’atto di nascita della psichiatria.
La Ragione così allontanò la Sragione da sé e il folle fu relegato in
uno spazio altro in cui vivere isolato, sia pur ricevendo pietosa
attenzione e terapie -un misto di pratica medica e di rieducazione/recupero
attraverso la preghiera e la penitenza-.
Dalle case di cura sette-ottocentesche nacquero poi i manicomi, strutture
simili a carceri in cui, com’è noto, il malato era sottoposto a trattamenti terapeutici
al limite della barbarie.
Il 13 maggio del 1978 verrà finalmente approvata la Legge Basaglia
che di fatto abolirà i manicomi e modificherà radicalmente l’approccio alla
malattia mentale.
L'altra faccia della follia
La storia della follia è dunque una lunga storia di dannazione e segregazione, di vergogna e disprezzo e Foucault la ripercorre nelle sue tappe fondamentali.
Eppure,
già dal XVI secolo in certa letteratura si fa strada l’idea che esista una follia
positiva che, proprio perché rompe gli schemi rigidi della
Ragione, riconcilia con la vita e apre alla conoscenza.
È
la tesi sostenuta da Erasmo da Rotterdam che nel 1509 tesse l’Elogio della follia come forza vitale che libera gli istinti soffocati dalla Ragione; genuina
gioia di vivere che fa inorridire il saggio benpensante, mummificato nelle certezze
ipocrite della morale comune e ottusamente fiero delle sue ragionevoli Verità
assolute.
È
la follia dell’amore che nell’Orlando furioso di Ariosto centuplica le
energie nel perseguire -sia pure inutilmente- lo scopo/oggetto del desiderio.
Follia
è il sogno di felicità di don Chisciotte, che scavalca i limiti
angusti dell’oggettività e crea mondi immaginari in cui il valore, l’onore,
l’onestà valgono più del denaro e la vita è più bella.
Follia
è anche l’anticonformismo dei personaggi pirandelliani, che rivendicano la
propria autenticità in un mondo di burattini irrigiditi come cadaveri in categorie
morali e in schemi concettuali spacciati come gli unici ragionevoli.
Infine
è folle ma gioiosa l’animalesca adesione alla vita raccontata da François Rabelais in Gargantua e Pantagruele, mostruosi giganti smisuratamente affamati di vita e di piacere.
Da
Erasmo a Pirandello la letteratura riscatta la follia mostrandone l’altra
faccia in un quel groviglio irrazionale-dionisiaco di istinto, passione,
illusione e speranza che per fortuna ci rende -tutti- folli abbastanza da tollerare
la vita.