Si
fa presto a dire libertà: parola nobilissima, che tuttavia, come
spesso accade alle parole, nel suo lungo viaggio attraverso la Storia ha
assunto significati di volta in volta diversi.
Nella
Grecia antica, libertà (eleutheria) era la condizione dei pochi
cittadini pleno iure, coloro che, nati da genitori non schiavi e
rigorosamente greci, avevano il diritto di partecipare alla vita della polis.
Con
il conflitto contro i Persiani nel V sec. a.C., eleutheria fu la libertà
dall’asservimento allo straniero o dal potere dispotico del tiranno.
Nella
Roma arcaica libertas indicava lo status di chi non era asservito; più
tardi fu
il fondamento delle istituzioni repubblicane in opposizione al regnum.
Nel
Medioevo libertà fu il sogno di emancipazione dalla povertà o dalla
subordinazione al (pre)potente feudatario, mentre l’età moderna, con
l’Umanesimo prima e più tardi con l’Illuminismo, rivendicò il diritto alla
libertà dalle superstizioni, dai pregiudizi e propugnò, al
contempo, la libertà dai privilegi di una nobiltà parassitaria e
inconcludente.
Per
il Novecento, infine, libertà è stata soprattutto la lotta/la resistenza
ai regimi totalitari.
Insomma
nella Storia si è lottato, molti hanno sacrificato la propria vita, non per la
libertà, ma per una libertà particolare, per il diritto di qualcuno nei
confronti di qualcun altro: il diritto di un paese/di un popolo
all’autodeterminazione, quello dell’individuo nel suo rapporto con lo stato/con
il potere, dell’individuo rispetto all’altro individuo o del singolo rispetto
al gruppo di appartenenza.
Volendo
superare l’impasse in modo da indicare un significato universale di
libertà, si può ricorrere
a Montesquieu (al quale, in verità, siamo debitori anche per molto altro) che,
distinguendo nello Spirito delle leggi tra indipendenza e libertà,
definisce quest’ultima come il diritto di fare tutto ciò che le leggi
permettono, a patto - evidentemente- che esse non siano espressione di un
governo dispotico.
Secondo
questo principio, si è liberi di agire, dire, pensare, scrivere, professare ciò
che si vuole; si è liberi di scegliere, di schierarsi, di condividere o non
condividere come si crede, a condizione che le proprie azioni, le proprie
parole, le proprie scelte non ledano i diritti altrui.
È
l’elementare principio alla base di ogni democrazia, eppure è con tale
frequenza disatteso da far nascere il dubbio che ad alcuni (a molti?) non sia del
tutto chiaro. A costoro gioverebbe la lettura del Saggio sulla libertà-1859-di
J.S. Mill.
Il saggio è una riflessione sulla natura e
sui limiti del potere che la società può legittimamente esercitare
sull'individuo (Cfr
Saggio sulla libertà, Introduzione).
Tutto ciò che rende l’esistenza degna di essere
vissuta dipende dall’impostazione di restrizioni sulle azioni altrui. Di
conseguenza devono essere imposte alcune regole di condotta, dalla legge in
primo luogo, e dall’opinione nei molti campi che non si prestano a
legislazione…Quali debbano essere queste regole è il problema principale della
collettività umana;
ma, ad eccezione di alcuni dei casi più ovvi, è questo un problema verso la cui
soluzione sono stati compiuti minori progressi…
J.S.
Mill, Introduzione, Saggio sulla libertà, edizione digitale Italian
edition
Non
c’è alcun dubbio che la convivenza civile sia garantita solo laddove vi siano
leggi che impongano regole valide per tutti.
Tuttavia, se in alcuni casi ovvi
è chiaro quale sia la regola -è evidente, ad esempio, che vietare di
uccidere o di rubare è regola universalmente condivisibile in quanto fondata sulla tutela dei fondamentali diritti alla vita e alla proprietà- in altri casi il ricorso è a regole e principi
quantomeno discutibili.
Si
consideri il caso di un individuo la cui condotta sia per qualche motivo sconveniente.
Una
persona sconsiderata, ostinata, presuntuosa; che non può vivere senza grandi
ricchezze; che è incapace di autocontrollo; che
persegue piaceri da animale ai danni di quelli morali e intellettuali, deve
aspettarsi di perdere la stima altrui…La mia tesi è che le sanzioni cui un
individuo può essere legittimamente sottoposto per quella parte della sua
condotta e del suo carattere che lo riguarda esclusivamente e non tocca gli
interessi di chi abbia rapporti con lui, sono quelle strettamente inscindibili
dal giudizio sfavorevole altrui…La crudeltà d’animo, la malizia e il malanimo,
la passione più antisociale e odiosa, l’invidia, la dissimulazione…possono
essere segni di follia o mancanza di dignità e di rispetto di sé, ma sono
passibili di riprovazione morale solo quando implicano un’infrazione al dovere
che ciascuno ha, nei confronti degli altri, di badare a se stesso…
J.S.
Mill, Dei limiti all’autorità della società sull’individuo, Saggio sulla
libertà, edizione digitale Italian
edition
L’individuo
che compie scelte di vita che lo abbrutiscono o che sia di carattere
insopportabile perché ostinato, presuntuoso, arrogante, ignorante, cinico, volgare, crudele, invidioso non merita altra
sanzione che la disistima: si potrà legittimamente non condividere le sue
scelte, si potrà evitare la sua compagnia, si potrà nutrire e manifestargli
antipatia, si potrà sconsigliare altri dal frequentarlo, ma non gli si potrà
rovinare l’esistenza -più di quanto non faccia da solo-; non lo si perseguiterà
perché, fosse anche il più abietto della terra, egli è libero di fare di sé,
del proprio corpo, della propria salute e della propria vita tutto ciò che
crede (i cosiddetti doveri verso di sé non sono socialmente obbligatori) se il suo agire non comporta un danno per gli altri.
Diversamente, quando lo stesso individuo intemperante, stravagante, arrogante, cinico ecc. diventa
insolvente oppure, venendo meno al proprio dovere di genitore, trascura o
maltratta i propri figli, egli deve essere giustamente punito, ma per
l’inadempienza ai suoi doveri, non per la sua stravaganza, che rimane
esclusivamente affar suo (crf, I limiti dell’autorità della società
sull’individuo).
A
maggior ragione, non merita sanzione di alcun tipo -nemmeno nella forma di riprovazione/condanna morale- chi, non cadendo negli eccessi di cui sopra e dunque non arrecando danno ad altri né a se stesso, si limiti ad esprimere opinioni e
a compiere scelte di vita difformi da quelli dei più: usa vestire in modo
stravagante, mangia diversamente, vive diversamente, evita ciò che solitamente
altri ricercano, ama quello che altri detestano.
In
casi come questo, gli uomini sono soliti stigmatizzare tutto ciò che
non è contemplato dalla tradizione/dalla consuetudine (si è sempre
fatto/creduto così quindi è giusto che si continui ad agire e a credere così): ma la tradizione ci consegna l'esperienza -i valori, i costumi, la morale- delle passate generazioni, essa pertanto non può costituire regola e modello di riferimento assoluti (validi sempre e ovunque).
Il
conformarsi semplicemente alla consuetudine in quanto tale non educa o sviluppa
nell’individuo le qualità che sono patrimonio caratteristico di un essere
umano…Chi fa qualcosa perché è l’usanza, non opera una scelta, né impara a
discernere o a desiderare ciò che è meglio...Chi permette al mondo o alla parte
di esso in cui vive di scegliergli la vita, non ha bisogno di altre facoltà che
di quella dell’imitazione scimmiesca…Non è stemperando nell’uniformità tutte le
caratteristiche individuali, ma coltivandole e facendo appello ad esse entro i
limiti imposti dai diritti e dagli interessi altrui, che gli uomini diventano
nobili e magnifici esempi di vita…
J.
S. Mill, Dell’individualità come elemento Saggio sulla libertà, edizione
digitale Italian edition
Tutti
hanno uguale diritto alla felicità: se qualcuno la persegue e la trova
esprimendo scelte di vita diverse da quelle della maggioranza o non conformi a quanto prescritto dall'usanza, non solo non scalfisce in nulla il
diritto di altri, la cui vita prosegue in ogni caso, ma esercita a buon diritto le facoltà squisitamente umane di valutare,
discernere, scegliere, decidere, facoltà alle quali rinuncia chi imita scimmiescamente quanto prescritto dalla consuetudine e lascia che altri decidano per lui.
...Nessuno e nessun gruppo è autorizzato a dire
ad un adulto che per il suo bene non può fare della sua vita ciò che sceglie di
farne.
J. S. Mill, Dei limiti all’autorità della
società sull’individuo, Saggio sulla libertà, edizione digitale Italian
edition
Insomma, l’essere umano non è una macchina da fabbricare secondo un modello precostituito e poi da regolare affinché compia il lavoro assegnatole, ma è un albero che ha bisogno di crescere e di svilupparsi -liberamente- in ogni direzione.
Fuor di metafora: ciascun individuo ha diritto a fare della propria vita e di se stesso ciò che crede sia per il proprio bene, non
spetta ad altri stabilire quale debba essere la sua felicità né come conseguirla...