L'Italia, grande proletaria
Personalità non sempre lineare per i motivi spiegati in altro post, Pascoli fu socialista in gioventù per poi allontanarsi dal movimento e approdare ad una sorta di umanitarismo socialisteggiante (o socialismo umanitario, il concetto poco cambia) una posizione indubbiamente meno pericolosa, considerando l’arresto subito nella fase precedente.
Nazionalista
lo fu senz’altro.
Il
manifesto del suo nazionalismo è La grande proletaria si è mossa, il
discorso pronunciato a Barga nel novembre del 1911 a due mesi dall’inizio della
guerra in Libia voluta dal governo Giolitti e salutata dall’entusiasmo di molti (tra i quali Pascoli che l’approvò senza se e senza ma) e dalla
perplessità di alcuni.
…Ma la grande Proletaria ha trovato luogo per loro: una vasta regione bagnata dal nostro mare, verso la quale guardano, come sentinelle avanzate, piccole isole nostre; verso la quale si protende impaziente la nostra isola grande; una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu abbondevole d’acque e di messi...
Là i lavoratori saranno...agricoltori sul suo, sul terreno della patria; non dovranno, il nome della patria, a forza, abiurarlo, ma apriranno vie, coltiveranno terre, deriveranno acque, costruiranno case, faranno porti, sempre vedendo in alto agitato dall’immenso palpito del mare nostro il nostro tricolore.
E non saranno rifiutati...Vivranno liberi e sereni su quella terra che sarà una continuazione della terra nativa, con frapposta la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, ogni tratto le vestigia dei grandi antenati.Anche là è Roma.
Non
senza toni retorici, Pascoli riflette sul destino dell’Italia, un paese di
poveri -proletari- ma grande come pochi altri per storia e cultura.
Patria
di grandi uomini -Dante, Cristoforo Colombo, Guglielmo Marconi e altri in un elenco infinito- , erede del glorioso impero romano, l’Italia finora si è vista relegata in un ruolo marginale,
Cenerentola tra grandi potenze.
Gli
italiani, spesso costretti dalla miseria a cercar fortuna altrove, venendo lì maltrattati
come negri, hanno ora il diritto di prendere ciò che gli spetta, quel
territorio del Romano Mediterraneo all’epoca che fu e che dunque è ancora Roma…
La nostra è dunque, checchè appaiono i nostri
atti singoli di strategia e di tattica, guerra non offensiva ma difensiva. Noi
difendiamo gli uomini e il loro diritto di alimentarsi e vestirsi coi prodotti
della terra da loro lavorata, contro esseri che parte della terra necessaria al
genere umano tutto, sequestrano per sè e corrono per loro, senza coltivarla,
togliendo pane, cibi, vesti, case, all’intera collettività che ne abbisogna…
Capovolgendo
-o rinnegando?- quei principi di libertà cui si era ispirato nel periodo
socialista, Pascoli giunge a sostenere l’idea di una guerra giusta e difensiva
del diritto di un popolo -quello italiano- ad alimentarsi con i prodotti di una terra che chi
la possiede, senza adeguatamente farla fruttare, sottrae ingiustamente al mondo.
Peccato che dimentichi il diritto altrui a vivere liberi.
A questa terra, così indegnamente sottratta al
mondo, noi siamo vicini; ci fummo già; vi lasciammo segni che nemmeno i
Berberi, i Beduini e i Turchi riuscirono a cancellare; segni della nostra
umanità e civiltà, segni che noi appunto non siamo Berberi, Beduini e Turchi.
Ci torniamo. ….Così risponde l’Italia
guerreggiante ai fautori dei pacifici Turchi e della loro benefica scimitarra;
degli umani Beduini-Arabi che non usano violare e mutilare soltanto cadaveri;
degli industriosi razziatori di negrli e mercanti di schiavi.
Così
risponde con un fatto di eroica e materna pietà, che ha virtù di simbolo.
La guerra in Libia diventa così una sorta di missione umanitaria: gli Italiani, il cui diritto è stato fin qui assodato, hanno il dovere di soccorrere quei popoli, portandoli fuori dall’ignoranza e dall’inerzia, regalando loro cultura e civiltà, liberandoli infine dalla barbarie di beduini tagliateste e razziatori di negri.