Ipse
dixit -letteralmente l’ha detto proprio lui- è
espressione che indica il principio d’autorità, vale a dire l’autorevolezza di
un’opinione espressa da qualcuno di grande competenza e perciò considerata
verità indiscutibile. In altre parole, in base al principio d’autorità -l’ipse
dixit, appunto- se il massimo esperto in fatto di asini afferma che gli
asini volano, non c’è motivo di dubitarne: gli asini volano davvero.
Per
molto tempo e in numerosi contesti, l’ipse dixit è servito a convalidare verità
affermandole come assolute.
Nel
Medioevo l’autorità indiscussa era la Chiesa che impose verità dogmatiche anche
in questioni scientifiche: e così la Terra fu piazzata stabilmente al centro
del cosmo coerentemente con quanto si credeva sostenuto (1) nelle Sacre Scritture e altresì in linea con quanto autorevolmente affermato da Aristotele, il filosofo dei filosofi.
Galileo
rivoluzionò tutto inventando il metodo sperimentale e chiarendo una volta per
sempre che l’autorità-autorevolezza di chi sostiene una tesi non è di per sé
garanzia di verità: sono necessarie verifiche sperimentali per formulare teorie
scientifiche...
Così, dopo anni di studi e grazie al cannocchiale (2) che gli permise di esplorare il cosmo, nel 1632 nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Galileo sostenne convintamente la teoria eliocentrica di Copernico secondo cui il Sole è al centro
dell’universo e non la Terra come si era sempre creduto.
Accusato di eresia,
Galileo fu processato dall’Inquisizione e costretto ad abiurare. Nel 1633, terminato
il processo, fu condannato al carcere a vita, pena che poi fu commutata negli
arresti domiciliari fino al 1642, quando morì ad Arcetri.
La
grandezza dello scienziato Galileo Galilei è fuori discussione, le sue scoperte
e le sue invenzioni hanno segnato una svolta nella storia della scienza: a lui dobbiamo non soltanto la prova definitiva a favore dell'eliocentrismo, ma la scoperta dei satelliti di Giove e delle macchie
solari, la legge del moto di caduta dei gravi e molto altro ancora.
Tuttavia, a rendere ancor più grande Galileo è il coraggio con cui egli sfidò l’autorità,
combatté pregiudizi e sfatò miti, sia pur rinunciando ad indossare i panni
dell’eroe-martire che muore pur di non tornare sui propri passi e decidendo
umanamente -molto umanamente- di abiurare: per paura della tortura, come il
personaggio di Galileo confessa a Sagredo in Vita di Galileo di B.
Brecht? O per poter continuare i propri
studi?
Come
dire: se proprio vi fa piacere, dico che mi sono sbagliato, ma so che ho
ragione, intanto prendo tempo…e poi si vedrà.
Ben diverso il caso di Giordano Bruno: inviso alla Chiesa per aver sostenuto l’infinità dell’universo, per aver confutato il geocentrismo e aver respinto ogni superstizione, Bruno si era detto disponibile all’abiura, ma infine aveva
cambiato idea perché non aveva nulla di cui pentirsi o di cui chiedere scusa
e, martire della scienza e del libero pensiero, morì sul rogo il 17 febbraio 1600.
Milleseicentodieci,
ai dieci di gennaio Galileo vide che il cielo non c’era.
Stanza
di lavoro di Galileo a Padova. È notte. Galileo e Sagredo, avvolti in pesanti
mantelli, sono al telescopio.
SAGREDO (traguardando, a mezza voce) II bordo
esterno della falce è tutto seghettato, irregolare, scabro. Sulla parte buia,
vicino alla fascia chiara, si vedono dei punti luminosi. Uno dopo l’altro,
emergono dall’oscurità. Da quei punti s’irradia la luce, invadendo zone sempre
più vaste, che vanno a confluire nel resto della parte chiara.
GALILEO
Come spieghi quei punti luminosi?
SAGREDO
Non può essere.
GALILEO
Come, non può essere? Sono montagne.
SAGREDO
Montagne su un astro?
GALILEO
Montagne altissime. E le loro cime ricevono i primi raggi del sole nascente,
mentre le pendici sono ancora nell’oscurità. Tu vedi la luce del sole scendere
man mano dalle cime verso le vallate.
SAGREDO
Ma questo contraddice a tutti gli insegnamenti d’astronomia da duemila anni in
qua.
GALILEO
Sì. Quello che hai visto ora non è mai stato visto da nessuno all’infuori di
me. Tu sei il secondo.
SAGREDO
Ma la luna non può essere una terra con monti e valli come la nostra, allo
stesso modo che la terra non può essere una luna.
GALILEO
La luna può essere una terra con monti e valli, e la terra può essere una luna.
Un qualunque corpo celeste, uno tra migliaia. Guarda ancora. La parte in
oscurità, la vedi proprio tutta buia?
SAGREDO
No. Adesso che la guardo con attenzione, vedo che è soffusa di un lieve
chiarore grigiastro.
GALILEO
E che luce può essere?
SAGREDO
?
GALILEO
La luce della terra.
SAGREDO
È assurdo! Come può mandar luce la terra, con le sue montagne e i boschi e le
acque? La terra, un corpo freddo!
GALILEO
Allo stesso modo che manda luce la luna. Perché tutt’e due sono astri illuminati
dal sole: per questo risplendono. Così come la luna appare a noi, noi appariamo
alla luna. Dalla luna, la terra si vede a volte in forma di falce, a volte di
emisfero, a volte di sfera intera, e a volte, infine, non si vede affatto
SAGREDO
Dunque, fra la terra e la luna non ci sarebbe alcuna differenza?
GALILEO
Evidentemente no.
SAGREDO
Meno di dieci anni fa, a Roma, un uomo salì sul rogo. Si chiamava Giordano
Bruno e aveva affermato esattamente la stessa cosa.
GALILEO
Certo. E noi ora lo vediamo. Non staccare l’occhio dal telescopio, Sagredo.
Quello che stai vedendo, è che non esiste differenza tra il cielo e la terra.
Oggi, 10 gennaio 1610, l’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo!
B. Brecht, Vita di Galileo
Nell’opera
teatrale Vita di Galileo, Bertold Brecht ricostruisce la carriera
scientifica di Galileo nelle sue tappe fondamentali, soffermandosi in
particolare sul tema della lotta contro le idee imposte dall’autorità.
Nell’estratto
riportato, Galileo con il cannocchiale osserva la Luna per la prima volta e
scopre una Luna altra da quella della tradizione: sulla sua superficie,
che dunque non è liscia come si è sempre sostenuto, vi sono montagne e vallate.
Una scoperta che scardina certezze di millenni: la luna è come la terra, anch’essa
riceve luce dal sole e, come la luna appare talvolta in forma di falce a chi la
guarda dalla terra, lo stesso accadrebbe ad un lunare se guardasse da
lassù la terra.
Duemila anni di astronomia annullati in un solo colpo: il Cielo con la “c” maiuscola tramandato nei tempi da autorevoli cosmologi e descritto da Aristotele nel De caelo come etere perfetto in opposizione al mondo sublunare; il Cielo eterno e incorruttibile non esiste più: abolito quel 10 gennaio 1610.
La
storia di G. Galilei -e con la sua la storia di Giordano Bruno- dimostra che superare
la tradizione, tanto più rassicurante quanto più è autorevole; andare oltre il così-è-perché-lo-ha-detto-qualcuno o il così-è-perché-è-sempre-stato-così di modelli culturali dati per assoluti, è atto
coraggioso e non privo di sofferenze; ma nulla è immutabile, niente vale
eternamente.
Cancellare
il già-dato, abolendo il Cielo, è necessario per aprirsi alle infinite
possibilità di mondi e cieli nuovi…
(1) Nell’Antico Testamento, Giosuè, il condottiero di Israele che
combatté contro gli Amorrei per la conquista della terra promessa, davanti alla
città di Gabaon gridò verso il cielo: «Fermati, sole, su Gabaon! Si fermò il
sole e la luna rimase immobile» (10,12-13). Interpretato alla lettera, senza coglierne il significato
connotativo più profondo, il passo appena riportato fu a lungo considerato la
conferma della teoria «geocentrica».
(2) L'invenzione del cannocchiale risale ai primi anni del XVII in Olanda. Galileo,
tuttavia, lo potenziò-perfezionò ricavandone il telescopio.