L'autore
Nato
a Boston nel 1809, rimase orfano all’età di due anni e venne allevato dalla
famiglia Allan.

E. Allan Poe
Compì
i primi studi a Londra, quindi si trasferì negli Stati Uniti dove s’iscrisse
presso l’università della Virginia. Le difficoltà economiche, i litigi con il
padre adottivo, l’uso di alcol e di sostanze stupefacenti non gli permisero di completare
gli studi universitari. Svolse lavori saltuari per mantenersi, collaborò con riviste
letterarie fino al 1830, quando fu ammesso all’Accademia militare di West
Point, venendone cacciato dopo poco tempo per indisciplina.

Nel
1831 si trasferì a New York con la moglie -si era sposato l’anno precedente-.
Dopo la morte della moglie nel 1847, solo e in cattiva salute per l’abuso di alcol, si trasferì a Baltimora dove morì a soli 40 anni nel 1849.
Tra
le sue opere -saggi, poesie e una gran quantità di racconti, un paio di romanzi-
vi sono i Racconti del terrore che, composti a partire dal 1832, segnano
la nascita del genere noir.
Il
barile di Amontillado
Il
protagonista, che è anche il narratore, discende dai nobili Montresor e vive nell’antico
palazzo di famiglia.
La sua profonda avversione nei confronti di Fortunato, un italiano dal quale Montresor sostiene di essere stato offeso e ingiuriato -non è chiaro come e perché- lo spinge a vendicarsi di lui nel peggiore dei modi.
Pianifica l’omicidio nei minimi dettagli: il delitto non dovrà essere scoperto e deve rimanere impunito.
È il periodo di Carnevale. Montresor concede la serata libera alla servitù ed esce in cerca di Fortunato. Lo intravvede tra la folla vestito da clown, visibilmente brillo.
Gli si avvicina, lo saluta amichevolmente e gli confida che ha bisogno del suo parere di esperto di vini: gli è arrivato un barile del pregiato vino Amontillado, gli è costato un “occhio della testa”, ma teme che l’abbiano imbrogliato e che non si tratti di autentico Amontillado.
I due s’incamminano verso il palazzo Montresor.
Il protagonista, fingendosi preoccupato per la salute di Fortunato, che tossisce e manifesta tutti i segni di un brutto raffreddore, mostra di voler rinunciare all’idea: nelle cantine del suo palazzo c’è umidità e il raffreddore di Fortunato peggiorerebbe.
L’amico lo rassicura, non morirà per un semplice raffreddore.
Giunti al palazzo, i due s’inoltrano nelle cantine attraverso un tortuoso percorso tra cripte e catacombe. Strada facendo in direzione delle cantine, Fortunato assaggia i vini che l’altro gli offre per averne il parere di esperto, in realtà con lo scopo di intontirlo.
Giunti nelle cantine, Montresor incatena Fortunato -ormai stordito dal vino e incapace di qualunque reazione- alla parete di una grotta e, pietra su pietra, innalza un muro che lo intrappola vivo.
Intanto Fortunato (mai nome fu più inappropriato!) smaltiti i fumi dell’alcol ha recuperato lucidità: si lamenta, poi urla disperato, infine tace per sempre.
Una
lucida follia
Per
quanto possa apparire una contraddizione in termini, Poe fu un romantico.
Il Romanticismo ottocentesco si caratterizzò per essere un movimento letterario-artistico-culturale complesso e variegato: accanto all’esaltazione dei sentimenti, al recupero della Storia/delle tradizioni e al rifiuto della Ragione illuministica, il Romanticismo evidenziò la complessità dell’animo umano, un guazzabuglio caotico in cui si nasconde un lato oscuro e inquietante fatto di paure, ossessioni e/o follia.
Poe fa emergere il lato oscuro della mente umana: egli dà voce al Male che si annida in ciascuno e che, talvolta prevalendo sul Bene, origina comportamenti devianti o decisamente criminali.
Avevo sopportato del mio meglio le mille
ingiustizie di Fortunato; ma quando poi arrivò all’insulto, giurai di
vendicarmi… Dovevo
non solamente punire, ma punire impunemente. Un’ingiuria non è riparata se il
castigo arriva a punire il riparatore; e non è riparata nemmeno quando il
vendicatore non ha cura di farsi conoscere dall’insultante…
Bisogna sapere che a Fortunato non detti alcuna
ragione di dubitare della mia benevolenza, né colle mie parole, né colle mie
azioni. Continuai, come al solito, a sorridergli in faccia, e lui non
indovinava che ormai il mio sorriso non traduceva che il pensiero della sua
condanna.
Il
movente del delitto non è chiaro: nel racconto, il protagonista-narratore allude vagamente ad offese che avrebbe subito da Fortunato, ma niente di più;
d’altronde all’autore -come si diceva poco fa- non interessa tanto il movente quanto mostrare la complessa
psicologia del personaggio, le sue inquietudini e le
sue contraddizioni.
Nonostante compia un efferato delitto, di quelli che solo un pazzo compirebbe, Montresor non sembra affatto fuori di sé e privo di ragione, anzi è lucidissimo: fa in modo che Fortunato non si insospettisca e non abbia dubbi sulla sua amicizia, è gentile e premuroso, mostra di preoccuparsi della sua salute, gli sorride -in faccia- benevolmente.
….Non c’era nemmeno un domestico in tutta la
casa; erano andati a far baldoria anche loro, a far onore al carnevale. Avevo
detto loro che non sarei ritornato prima del mattino, e avevo ordinato
formalmente che non si muovessero da casa. Quest’ordine era più che
sufficiente, n’ero sicuro, perché se n’andassero, tutti, fin all’ultimo, appena
avessi voltato le spalle…
Senza mai perdere di vista l’obiettivo,
Montresor
organizza tutto nei dettagli: per poter agire indisturbato, categoricamente
vieta ai servi di muoversi da casa, sapendo che un ordine quanto più è perentorio
tanto più è probabile che sia disatteso. Quindi va alla ricerca di Fortunato.
-Se siete invitato in qualche luogo, andrò a
trovar Lucchesi. Eh, lui ci ha un senso critico… Mi dirà…
-Lucchesi! Quello non è capace di distinguere
l’amontillado dal xeres.
-E tuttavia ci son dei cretini che vogliono dire
che il suo gusto non la cede al vostro.
-Andiamo!
-Dove?
-Alle vostre cantine.
-Ma no, mio buon amico. Non voglio abusare,
davvero, della vostra bontà.
L’amico è tra la folla intenta a festeggiare
il Carnevale: è
brillo, è vestito da clown e si diverte; per Montresor non sarà facile convincerlo a seguirlo!
-Lucchesi! Quello non è capace di distinguere l’amontillado dal xeres.
-E tuttavia ci son dei cretini che vogliono dire che il suo gusto non la cede al vostro.
-Andiamo!
-Dove?
-Alle vostre cantine.
-Ma no, mio buon amico. Non voglio abusare, davvero, della vostra bontà.
Invece, geniale nella sua perfidia, perfettamente padrone della situazione, Montresor realizza il suo piano con minuziosa precisione, ne calcola i tempi, ne studia le modalità d'attuazione con grande lucidità; intelligentemente fa leva sulla sui punti deboli di Fortunato per manovrarlo secondo i propri piani: se Fortunato non è disponibile per quel parere
sull’Amontillado, Montresor si rivolgerà a Lucchesi che, dicono, sia
espertissimo in fatto di vini.
Punto nell’orgoglio di conoscitore di vini superiore a chiunque (altro che Lucchesi!), Fortunato prende sottobraccio il suo carnefice e docile si lascia condurre.
In un istante aveva raggiunto l’estremità della
nicchia e trovandosi bruscamente fermato dalla roccia, si fermò stupidamente
attonito. Un momento dopo l’ebbi incatenato al granito.
Sulla parete c’eran due anelli di ferro, alla
distanza di circa due piedi un dall’altro, in linea orizzontale. Ad uno era
sospesa una corta catena, all’altra un lucchetto. Dopo avergliela passata intorno
alla vita, il fermar la catena al lucchetto fu l’affare d’un momento.
Era troppo istupidito per resistere…
– Passate la mano sul muro- diss’io; sentite
quanto nitro? Ma è proprio umido, troppo umido! Via, lasciate che vi supplichi ancora una volta d’andarvene.
– No? Allora bisognerà che vi lasci. Ma
prima vi renderò tutti quei piccoli servigi che posso.
– L’amontillado! – escamò il mio amico non ancora
del tutto rinvenuto dal suo sbalordimento.
– E’ vero, – diss’io, – l’amontillado.
E così dicendo mi misi intorno a quel gran
mucchio d’ossa di cui ho parlato più sopra, le buttai da una parte, e così ebbi
presto scoperto una buona quantità di pietre e di calcina. Con quei materiali,
coll’aiuto della cazzuola cominciai attivamente a murare l’ingresso della
nicchia. Avevo
appena terminato il rimo strato della mia costruzione, che scopersi come
l’ebbrezza di Fortunato si fosse in gran parte dissipata. Il primo indizio che
ne ebbi fu un grido sordo, un gemito che uscì dal fondo della nicchia. Non era
il grido d’un uomo ubriaco! Poi ci fu un silenzio lungo, ostinato. Collocai il
secondo strato, poi il terzo, poi il quarto; allora sentii le furiose
vibrazioni della catena. Il rumore durò alcuni minuti, durante i quali, per
potermene meglio dilettare, interruppi il mio lavoro e mi sedetti sulle
ossa. Finalmente, quando il rumore si calmò, ripresi la mia cazzuola, e
terminai, senza interruzione, la quinta, la sesta e la settima fila. Il muro
allora era quasi all’altezza del mio petto. Mi fermai un’altra volta, ed
innalzando le fiaccole al disopra della costruzione, gettai alcuni deboli raggi
sul rinchiuso.
Dall’ugola di quella persona incatenata fece
repentinamente esplosione una serie di grand’urli, di grida acute, che mi
ributtò, per così dire, violentemente indietro. Per un istante esitai, –
tremai
Dall’ugola di quella persona incatenata fece
repentinamente esplosione una serie di grand’urli, di grida acute, che mi
ributtò, per così dire, violentemente indietro. Per un istante esitai, –
tremai
……
Mi sentii un brivido al cuore, senza dubbio a
causa dell’umidità delle catacombe. M’affrettai a por fine al mio lavoro. Feci
uno sforzo, e misi a posto l’ultima pietra; poi la ricoprii di calcina. Contro
la nuova muratura rimisi l’antico strato d’ossa. Da un mezzo secolo nessuno le
ha rimosse. In pace requiescat!
Sulla parete c’eran due anelli di ferro, alla distanza di circa due piedi un dall’altro, in linea orizzontale. Ad uno era sospesa una corta catena, all’altra un lucchetto. Dopo avergliela passata intorno alla vita, il fermar la catena al lucchetto fu l’affare d’un momento. Era troppo istupidito per resistere…
– L’amontillado! – escamò il mio amico non ancora del tutto rinvenuto dal suo sbalordimento.
– E’ vero, – diss’io, – l’amontillado.
E così dicendo mi misi intorno a quel gran mucchio d’ossa di cui ho parlato più sopra, le buttai da una parte, e così ebbi presto scoperto una buona quantità di pietre e di calcina. Con quei materiali, coll’aiuto della cazzuola cominciai attivamente a murare l’ingresso della nicchia. Avevo appena terminato il rimo strato della mia costruzione, che scopersi come l’ebbrezza di Fortunato si fosse in gran parte dissipata. Il primo indizio che ne ebbi fu un grido sordo, un gemito che uscì dal fondo della nicchia. Non era il grido d’un uomo ubriaco! Poi ci fu un silenzio lungo, ostinato. Collocai il secondo strato, poi il terzo, poi il quarto; allora sentii le furiose vibrazioni della catena. Il rumore durò alcuni minuti, durante i quali, per potermene meglio dilettare, interruppi il mio lavoro e mi sedetti sulle ossa. Finalmente, quando il rumore si calmò, ripresi la mia cazzuola, e terminai, senza interruzione, la quinta, la sesta e la settima fila. Il muro allora era quasi all’altezza del mio petto. Mi fermai un’altra volta, ed innalzando le fiaccole al disopra della costruzione, gettai alcuni deboli raggi sul rinchiuso.
Dall’ugola di quella persona incatenata fece repentinamente esplosione una serie di grand’urli, di grida acute, che mi ributtò, per così dire, violentemente indietro. Per un istante esitai, – tremai
……
Mi sentii un brivido al cuore, senza dubbio a causa dell’umidità delle catacombe. M’affrettai a por fine al mio lavoro. Feci uno sforzo, e misi a posto l’ultima pietra; poi la ricoprii di calcina. Contro la nuova muratura rimisi l’antico strato d’ossa. Da un mezzo secolo nessuno le ha rimosse. In pace requiescat!
Eppure, la macchina del delitto perfetto per un attimo rischia di incepparsi: Montresor esita, rabbrividisce all’udire le grida di Fortunato, sembra quasi sul punto di cedere al pentimento, forse gli balena l'idea di rinunciare, provando orrore per se stesso. Nella contraddizione tra l'istinto e la ragione, tra la perversione e l'umana compassione, per una frazione di secondo in Montresor il Male arretra di fronte ad un barlume di pietà e il confine che lo separa dal Bene si fa labile.
Poi Montresor riprende il controllo di sé -per quanto l’espressione possa suonare bizzarra- e finisce il lavoro che ha iniziato, depositando l'ultima pietra su quel muro ...e su ogni possibile rimorso.