Letteratura

Dante: il gioco della tenzone con Forese.

 

Il nome e l’opera di Dante (1265-1321) sono conosciuti ovunque e da chiunque. Non esiste autore più letto e studiato al mondo
 
Strenuo difensore della lingua volgare, autore della colossale Divina commedia, cantore di Beatrice donna-angelo nella Vita nova, guelfo bianco nemico di Bonifacio VIII e dello strapotere della Chiesa, intellettuale dalla cultura enciclopedica: Dante è questo soprattutto.
 
C’è poi un Dante meno canonico, che dismessi i panni dell’intellettuale impegnato, si diverte -divertendoci- a prendere di mira amici e conoscenti rendendoli oggetto di feroci ma bonari attacchi: è il Dante delle tenzoni (tenzone, letteralmente contesa) componimenti in rima dai toni polemici che all’epoca -un po’ come le odierne chat- i poeti utilizzavano per comunicare tra loro, per sfidarsi su questioni serie o per punzecchiarsi su faccende di carattere personale; li si scriveva, li si inviava e si otteneva risposta nella stessa modalità.
 
La tenzone con l’amico Forese Donati, rampollo dell’omonima potente famiglia fiorentina che Dante più tardi collocherà affettuosamente nel girone dei golosi del Purgatorio, è un insieme di sei sonetti in un botta e risposta esilarante.
 

Chi udisse tossir la malfatata

Chi udisse tossir la mal fatata
moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ell’ha forse vernata
ove si fa ’l cristallo in quel paese.
 
Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogni altro mese!
E non le val perché dorma calzata,
merzé del copertoio c’ha cortonese.
 
La tosse, ’l freddo e l’altra mala voglia
no l’addovien per omor ch’abbia vecchi
ma per difetto ch’ella sente al nido.
 
Piange la madre, c’ha più d’una doglia,
dicendo: "Lassa, che per fichi secchi
messa l’avre’ ’n casa del conte Guido!". 
La sfortunata (malfatata) moglie di Forese -detto Bicci- tossisce continuamente, pare che abbia trascorso l’inverno nelle zone più fredde del globo, ha il raffreddore persino in piena estate e non le serve andare a dormire con le scarpe, perché la coperta è troppo corta, non la ripara dal freddo e non colma la 
mancanza che la donna avverte nel nido (difetto ch’ella sente al nido).

Sua madre piange disperata e si rammarica di averla data in moglie a Forese, quando con una minima dote (per una manciata di fichi secchi) avrebbe potuto maritarla al ricco conte Guido.

Il sonetto abbonda di allusioni sessuali neanche tanto velate: il raffreddore della povera signora non origina da cause organiche ma da una coperta troppo corta (secondo un uso gergale, il verbo coprire e i suoi derivati tutt'oggi rimandano all'atto sessuale) -quindi non sufficiente a scaldarla come dovrebbe-, e da un senso di vuoto che l’affligge nel nidoespressione. quest’ultima, che per la chiarezza inequivocabile non ha bisogno di parafrasi né di spiegazioni…

Alla provocazione dell’amico Dante, Forese risponde con gli strali dell’ingiuria:


L'altra notte mi venn'una gran tosse

L’altra notte mi venne una gran tosse,
perch’i’ non avea che tener a dosso;
ma incontanente che fu dì, fui mosso
per gir a guadagnar ove che fosse.
 
Udite la fortuna ove m’addosse:
ch’i’ credetti trovar perle in un bosso
e be’ fiorin coniati d’oro rosso;
ed i’ trovai Alaghier tra le fosse,
 
legato a nodo ch’i’ non saccio ’l nome,
se fu di Salamone o d’altro saggio.
Allora mi segna’ verso ’l levante:
 
e que’ mi disse: "Per amor di Dante,
scio’mi ". Ed i’ non potti veder come:
tornai a dietro, e compie’ mi’ viaggio.

Nel cuore della notte Forese tossisce e ha freddo, non ha nulla con cui coprirsi, quindi si alza in cerca di denaro (fiorini), ma nella ricerca s’imbatte in Alighiero, il padre di Dante. L’uomo è nelle fosse comuni, è legato con un cappio e gli chiede di liberarlo. Forese non è in grado di farlo e va via.

Il nodo del legaccio e la sepoltura nelle fosse comuni, trattamento all’epoca riservato agli eretici ma anche agli usurai, sono un’allusione all’immoralità di Alighiero, che certa narrazione vuole fosse uno strozzino: l’anima di Alighiero chiede a Forese di dargli la pace (di liberarlo dal cappio) riparando alle sue malefatte come avrebbe dovuto ma non ha saputo fare il figlio Dante. Questa l’interpretazione più diffusa; un’interpretazione che sembra trovare conferma nel sonetto seguente:


Ben so che fosti figliuol d’Alaghieri

Ben so che fosti figliuol d’Alaghieri,
e accorgomene pur a la vendetta
che facesti di lui sì bella e netta
de l’aguglin ched e’ cambiò l’altr’ieri.
 
Se tagliato n’avessi uno a quartieri,
di pace non dovevi aver tal fretta;
ma tu ha’ poi sì piena la bonetta,
che non la porterebber due somieri.
 
Buon uso ci ha’ recato, ben til dico,
che qual ti carica ben di bastone,
colui ha’ per fratello e per amico.

Il nome ti direi de le persone
che v’hanno posto su; ma del panico
mi reca, ch’i’ vo’ metter la ragione.  
Forese accusa Dante di non aver prontamente vendicato (vendetta sì bella e netta) l’offesa subita da Alighiero nel corso di un’operazione finanziaria (cambio dell’aguglino=moneta in corso come il fiorino), preferendo vigliaccamente fraternizzare con il nemico, lasciandolo impunito. Quale sia il torto subito da Alighiero e da chi non è dato sapere, tuttavia il riferimento a certe sue attività finanziarie e ai guai che ne sarebbero scaturiti sembrerebbero confermare la tesi dello strozzinaggio. 

Certo Forese ci va giù pesante quasi quanto Dante che che dell'amico mette in dubbio la virilità; legittimamente ci si chiede se i due fossero davvero amici!

In realtà la tenzone è un gioco letterario: offese, allusioni piccanti, attacchi personali anche molto duri fanno parte di questo gioco, puro esercizio stilistico, nulla di serio.
 
Nulla di serio, appunto. 


La tenzone con Forese Donati ci restituisce un Dante insospettabile se ci si limita a considerarne solo l’opera colta: intellettuale a tutto tondo che tra una pagina della Vita Nova e una del De vulgari eloquentia si concede la leggerezza irriverente e giocosa dello sfottò... il che ce lo rende più simpatico.

 
 

Nessun commento: