Giordano
Bruno nasce a Nola nel 1548.
Frate domenicano in giovanissima età, nel 1576
abbandona l’ordine perché sospettato di eresia e inizia una vita di
peregrinazioni che lo porta in Svizzera, dove per un breve periodo frequenta
gli ambienti calvinisti; quindi
in Francia, dove pubblica il De umbris idearum (1582), poi a Londra dove tra il 1584 e l’anno
successivo pubblica i dialoghi De l’infnito universo e mondi, La
cena de le ceneri, De la causa, principio et uno, Spaccio de la bestia trionfante, Cabala del cavallo pegaseo, L’asino
cillenico e infine Degli eroici furori.
Dopo un breve soggiorno in Germania, dove vedono la luce i poemi in latino De monade, De minimo, De imaginum compositione, Bruno rientra in Italia.
Nel frattempo è andato elaborando una filosofia innovativa e decisamente spregiudicata per la cultura del tempo: fortemente critico nei confronti della tradizione aristotelica, convinto che solo la ragione debba guidare nel percorso della conoscenza, avverso altresì alle religioni rivelate che egli considera alla stregua di superstizioni o di favole consolatorie, Bruno viene denunciato al Santo Ufizio.
A Roma è processato per eresia e imprigionato per otto anni durante i quali, pur subendo torture, rifiuta di abiurare. Il 17 febbraio del 1600 è arso vivo in Campo de’ Fiori a Roma.
Il
cosmo secondo Bruno
Se
Dio è infinita potenza, anche la sua creazione è infinita, dunque esistono
infiniti universi e infiniti mondi. La Terra non è il centro dell’universo
perché, se l’universo è infinito e non ha limiti spaziali, non esiste un centro.
Il
panteismo: Dio è l'universo
Poiché
l’universo è infinito, non esiste uno spazio esterno ad esso, ne consegue che
Dio non è trascendente.
È
dunque l’universo uno, infinito, immobile. Una, dico, è la possibilità
assoluta, uno l’atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la
cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere
compreso; e però infingibile e interminabile, e per tanto infinito e
interminato, e per conseguenza immobile. Questo non si muove localmente, perché
non ha cosa fuor di sé... Non si genera; perché non è altro essere, che lui
possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si
corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni
cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può
aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha
parte proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha
esterno da cui patisca e per cui venga in qualche afezione….. Non è materia,
perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è
forma, perché non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è
uno, è universo. Non è misurabile, né misura. Non si comprende, perché non è
maggior di sé. Non si è compreso, perché non è minor di sé. ..Essendo medesimo
ed uno, non ha essere ed essere; e perché non ha
essere ed essere, non ha parte e parte, e per ciò che non ha parte e parte, non
è composto…
G. Bruno, De la
causa, principio et
uno
Dio
è uno, immutabile e infinito. Assoluta pienezza e perfezione infinita, Dio non
può esser definito né delimitato: non è materia, perché la materia ha un limite;
non è misurabile. Dio è sostanza assoluta e piena, è Uno e insieme è il
tutto che in sé contiene le infinite modificazioni dell’essere e l’infinita varietà
delle cose, pertanto Dio è l’intero universo (panteismo)
Degli
eroici furori. La conoscenza secondo Bruno
Degli
eroici furori è un dialogo diviso in due parti ed una
sezione conclusiva costituita da un unico dialogo che fa parte a sé.
Gli interlocutori della prima parte sono
Tansillo -l'alter ego di Bruno- e Cicada, mentre nella seconda parte gli interlocutori sono altri.
L’opera contiene la descrizione dell’uomo furioso, colui che eroicamente e contro tutti gli ostacoli, rifuggendo dalle superstizioni e sfidando coraggiosamente la tradizione, cerca la verità guidato nel cammino verso la conoscenza unicamente dall’intelletto.
Il furor si configura dunque come un’impagabile ebbrezza che conduce l’uomo
oltre se stesso, al di là dei propri limiti e gli consente di contemplare la verità, unica totale pienezza
in cui identificarsi.
Alle selve i mastini e i veltri slaccia
Il giovan Atteon, quand'il destino
Gli drizz'il dubio ed incauto camino,
Di boscareccie fiere appo la traccia.
Ecco tra l'acqui il più bel busto e faccia,
Che veder poss'il mortal e divino,
In ostro ed alabastro ed oro fino
Vedde; e 'l gran cacciator dovenne caccia.
Il cervio ch'a' più folti
Luoghi drizzav'i passi più leggieri,
Ratto vorâro i suoi gran cani e molti.
I' allargo i miei pensieri
Ad alta preda, ed essi a me rivolti
Morte mi dàn con morsi crudi e fieri.
G. Bruno, Degli eroici furori, dialogo
IV, parte I
Il giovan Atteon, quand'il destino
Gli drizz'il dubio ed incauto camino,
Di boscareccie fiere appo la traccia.
Ecco tra l'acqui il più bel busto e faccia,
Che veder poss'il mortal e divino,
In ostro ed alabastro ed oro fino
Vedde; e 'l gran cacciator dovenne caccia.
Il cervio ch'a' più folti
Luoghi drizzav'i passi più leggieri,
Ratto vorâro i suoi gran cani e molti.
I' allargo i miei pensieri
Ad alta preda, ed essi a me rivolti
Morte mi dàn con morsi crudi e fieri.