Poema
epico-cavalleresco in tre edizioni, l’ultima delle quali fu stampata nel 1521 suddivisa in
46 canti di ottave, l’Orlando furioso narra le gesta dei paladini di Carlo
magno che nell’VIII secolo combattono contro i Saraceni per fermarne l’avanzata in
Francia.
Orlando
-da cui il titolo dell’opera- è uno dei personaggi principali; con lui
una folla di paladini e guerrieri dell’uno e dell’altro schieramento le cui
storie si intersecano in un complicatissimo intreccio di avventure e
disavventure, duelli e battaglie.
I
temi del poema sono tanti, da quelli più evidenti “le donne, i
cavallier, l’arme e gli amori” ad altri meno palesi.
C’è
il tema della ricerca.
Tutti i personaggi sono alla costante vana ricerca di qualcosa o qualcuno: Orlando, innamorato di Angelica, la insegue inutilmente fin da quando gli è stata negata dal re, Rinaldo cerca il proprio cavallo Baiardo, Ferraù il proprio elmo; ciascuno rincorre l’oggetto del proprio desiderio finendo paradossalmente per trovare ciò che non gli interessa/serve più o ciò che inseguono altri, in un infinito labirintico caos.
Vi
è poi il tema della vanità delle cose umane:
Astolfo sulla luna
….
Quivi
ebbe Astolfo doppia maraviglia:
che
quel paese appresso era sí grande,
il
quale a un picciol tondo rassimiglia
a
noi che lo miriam da queste bande;
e
ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s’indi
la terra e ’l mar ch’intorno spande,
discerner
vuol; che non avendo luce,
l’imagin
lor poco alta si conduce.
Altri
fiumi, altri laghi, altre campagne
sono
lá su, che non son qui tra noi;
altri
piani, altre valli, altre montagne,
c’han
le cittadi, hanno i castelli suoi,
con
case de le quai mai le piú magne
non
vide il paladin prima né poi:
e
vi sono ampie e solitarie selve,
ove
le ninfe ognor cacciano belve.
Non
stette il duca a ricercare il tutto;
che
lá non era asceso a quello effetto.
Da
l’apostolo santo fu condutto
in
un vallon fra due montagne istretto,
ove
mirabilmente era ridutto
ciò
che si perde o per nostro diffetto,
o
per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò
che si perde qui, lá si ragun
.....
Molta
fama è lá su, che, come tarlo,
il
tempo al lungo andar qua giú divora:
lá
su infiniti prieghi e voti stanno,
che
da noi peccatori a Dio si fanno.
Le
lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil
tempo che si perde a giuoco,
e
l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani
disegni che non han mai loco,
i
vani desidèri sono tanti,
che
la piú parte ingombran di quel loco:
ciò
che in somma qua giú perdesti mai,
lá
su salendo ritrovar potrai.
Passando
il paladin per quelle biche,
or
di questo or di quel chiede alla guida.
Vide
un monte di tumide vesiche,
che
dentro parea aver tumulti e grida;
e
seppe ch’eran le corone antiche
e degli Assirii e de la terra
lida,
e de’ Persi e de’ Greci, che
giá furo
incliti,
et or n’è quasi il nome oscuro.
Ami
d’oro e d’argento appresso vede
in
una massa, ch’erano quei doni
che
si fan con speranza di mercede
ai
re, agli avari principi, ai patroni.
Vede
in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
et
ode che son tutte adulazioni.
Di
cicale scoppiate imagine hanno
versi
ch’in laude dei signor si fanno.
…………..
Vide
gran copia di panie con visco,
ch’erano,
o donne, le bellezze vostre.
Lungo
sará, se tutte in verso ordisco
le
cose che gli fur quivi dimostre;
che
dopo mille e mille io non finisco,
e
vi son tutte l’occurrenzie nostre:
sol
la pazzia non v’è poca né assai;
che
sta qua giú, né se ne parte mai.
Quivi
ad alcuni giorni e fatti sui,
ch’egli
giá avea perduti, si converse;
che
se non era interprete con lui,
non
discernea le forme lor diverse.
Poi
giunse a quel che par sí averlo a nui,
che
mai per esso a Dio voti non fêrse;
io
dico il senno: e n’era quivi un monte,
solo
assai piú che l’altre cose conte.
Era
come un liquor suttile e molle,
atto
a esalar, se non si tien ben chiuso;
e
si vedea raccolto in varie ampolle,
qual
piú, qual men capace, atte a quell’uso.
Quella
è maggior di tutte, in che del folle
signor
d’Anglante era il gran senno infuso;
e
fu da l’altre conosciuta, quando
avea
scritto di fuor: Senno d’Orlando.
Orlando
ha perso il senno per amore di Angelica. Astolfo, il cugino di Orlando, venuto
in possesso dell’ippogrifo del mago Atlante, sorvola il monte da cui sorge il
Nilo e raggiunge il paradiso terrestre. Qui incontra Giovanni Evangelista, il
quale gli rivela che il senno di Orlando si trova sulla luna e lì egli stesso
lo condurrà perché sia recuperato e restituito al legittimo proprietario.
Sulla luna Astolfo scopre un mondo insospettabile a chi è abituato ad osservarla dal basso : vi sono altri fiumi, altri laghi, altre montagne e cose incredibilmente magne se viste da vicino.
Giunto nei pressi di una valle, Astolfo vede lì ammucchiato tutto ciò che gli uomini
hanno perduto sulla terra per colpa propria, a causa della Fortuna o per essere stato
distrutto dal tempo: vi sono regni antichi un
tempo gloriosi, poi travolti dalla Storia e oggi dimenticati ( le corone antiche e degli Assirii e de la terra lida, e de’ Persi e de’ Greci)
Giunto nei pressi di una valle, Astolfo vede lì ammucchiato tutto ciò che gli uomini
hanno perduto sulla terra per colpa propria, a causa della Fortuna o per essere stato
distrutto dal tempo: vi sono regni antichi un
tempo gloriosi, poi travolti dalla Storia e oggi dimenticati ( le corone antiche e degli Assirii e de la terra lida, e de’ Persi e de’ Greci)
Vi è una gran quantità di cose vane: le
ricchezze, la gloria, le lusinghe di poeti
adulatori, l‘avarizia dei potenti, l’ozio degli ignoranti, i doni fatti con
speranza di mercede, la bellezza delle donne, le lacrime degli amanti e
i vani desideri che costringono alla frustrazione di una ricerca senza fine.
Vi è una gran quantità di cose vane: le
ricchezze, la gloria, le lusinghe di poeti
adulatori, l‘avarizia dei potenti, l’ozio degli ignoranti, i doni fatti con
speranza di mercede, la bellezza delle donne, le lacrime degli amanti e
i vani desideri che costringono alla frustrazione di una ricerca senza fine.