Letteratura

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Omosessualità e letteratura


L'omosessualità nell'antichità

Nell’antichità non solo l’omosessualità era tollerata ma quando si configurasse come pederastia, termine con il quale s’intende la relazione tra un fanciullo (paidos) e un amante (erastes) adulto, essa era considerata come fase -normale- di un processo educativo che doveva iniziare il ragazzo alla vita, compresa l’attività sessuale.

Per quanto concerne i rapporti tra donne, anche in questo caso nessuno gridava allo scandalo: nel tiaso, sorta di scuola in cui le ragazze apprendevano l’arte della poesia e della danza, non era raro che nascesse l’amore tra le maestre e le allieve, ne è esempio la storia di Saffo, poetessa di Lesbo che in molte delle sue liriche racconta il proprio sofferto amore per qualche fanciulla.


Nell’antica Roma l’omosessualità era più che tollerata: la bisessualità di Caio Giulio Cesare era cosa risaputa e nonostante Catullo 
nei Carmina lo abbia reso oggetto della propria ironia, lo scopo della sua invettiva era soprattutto politico, nessuna omofobia nelle sue parole.

Insomma, per tutta l’età antica l’amore omosessuale non ha rappresentato un problema, dunque non sorprende che la letteratura antica accolga il tema dell’omosessualità senza censure: Saffo scrive poesie d’amore per le allieve del tiaso e una vasta produzione teatrale – sia greca che latina- ruota intorno al tema dell’omosessualità, si pensi alle commedie del greco Aristofane o a quelle del romano Petronio, nelle quali l’omosessuale è certo considerato un libertino ma niente di cui scandalizzarsi.


Nel Medioevo


Il Medioevo invece -età per certi versi ingiustamente bistrattata-, quanto a tolleranza peccò parecchio, bisogna riconoscerlo: non era permesso prestare denaro a usura, non era consentito che le donne avanzassero pretese, le minoranze di ogni genere erano perseguitate. L'omosessualità, tuttavia, cominciò ad essere considerata comportamento deviante solo nel tardo Medioevo, quando la Chiesa prese a normare/disciplinare la vita sessuale degli individui stabilendo nel XII secolo la sacralità del matrimonio e di conseguenza stigmatizzando come peccato mortale il sesso consumato fuori da esso, compresa ovviamente anche l’omosessualità.


Tra la fine del Medioevo e l’età moderna, il salto di qualità: da peccato l’omosessualità divenne un reato per il quale si rischiava il rogo.

La letteratura medievale è la cartina al tornasole di questa cultura che oggi definiremmo omofoba o quantomeno poco tollerante nei confronti dell’omosessuale: Brunetto Latini, l'autore del Tesoretto, è collocato da Dante nel XV canto dell’Inferno tra i sodomiti -i violenti contro la natura- ed è punito come merita...

[...]
E quelli: "O figliuol mio, non ti dispiaccia
se Brunetto Latino un poco teco
ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia".
 
I’ dissi lui: "Quanto posso, ven preco;
e se volete che con voi m’asseggia,
faròl, se piace a costui che vo seco".
 
"O figliuol", disse, "qual di questa greggia
s’arresta punto, giace poi cent’anni
sanz’arrostarsi quando ’l foco il feggia.
[...]

Dante, Divina commedia, Inferno, Canto XV 

L’omosessualità e/o la scarsa virilità erano spesso prese a pretesto per deridere gli amici, come accade nella tenzone che Dante scrisse per Forese Donati o, in maniera ancora più esplicita, nel sonetto in cui Lapo degli Uberti invita Guido Cavalcanti ad essere sincero e a confessare che la pastorella che si vanta di aver sedotto è in realtà un pastorello. La tenzone era un gioco letterario più o meno bonario, ma che bersagliasse-irridesse chi fosse ritenuto gay o poco virile è certamente significativo.

Guido, quando dicesti pasturella,
vorre' ch'avessi dett' un bel pastore:
chè si conven ad om che vogl' onore
se vol contar verace sua novella.
[...]
Anche il più laico Boccaccio, che pure era disposto a sorridere delle intemperanze di bellimbusti inaffidabili e lascivi o delle tresche amorose di donne dai facili costumi, nel Decameron stigmatizza l’omosessualità come cosa disdicevole nella Novella X della V giornata.

È la storia di Pietro di Vinciolo che offende le leggi e la natura in quanto omosessuale e per questo merita che la giovane moglie cerchi soddisfazione altrove. Mentre una sera Pietro esce per cercare la compagnia dell’amico Ercolano, la donna riceve in casa un giovane e aitante garzone. Pietro fa ritorno prima del previsto e così il garzoncello finisce nascosto sotto una cesta. Un asino, che assetato ha lasciato la stalla ed è entrato in casa in cerca di acqua, gli pesta la mano rimasta fuori dalla cesta, il ragazzo urla, Pietro accorre, scoperchia la cesta e vede il fanciullo: tanto gradita gli è la vista del bel garzoncello al quale l'uomo era andato lungamente dietro, che la serata si conclude allegramente per tutti e tre, marito, moglie e l'altro.

Come a dire che la depravazione di chi è contro natura non ha limiti.

In età moderna

Durante il Rinascimento e fino all'Illuminismo le cose vanno anche peggio: l’omosessualità è punita con la morte e nell’immaginario collettivo il sodomita è assimilabile ad un criminale, tant’è che persino l’illuminato Tommaso Campanella, che ne La città del sole aveva descritto la società ideale  perché fondata sull'assoluta uguaglianza, considera i sodomiti dei pervertiti che deviano dall’ordine naturale delle cose e per questo devono essere puniti:

Se si trovano in sodomia, sono vituperati, e li fan portare due giorni legata al collo una scarpa, significando che pervertiro l'ordine e posero li piedi in testa, e la seconda volta crescen la pena finché diventa capitale [...]
T. Campanella, La città del sole, OSPITALARIO e GENOVESE NOCHIERO DEL COLOMBO, Liberliber.it
 

L’omosessualità cessa di essere un reato solo nel Settecento, lo ricorda M. Foucault in Storia della follia: l’ultima condanna a morte per sodomia in Francia risale al 1726:

Etienne Benjamin Deschauffours è dichiarato debitamente reo convinto del delitto di sodomia menzionato al processo. Per riparazione, il suddetto Deschauffours è condannato ad essere bruciato vivo nella piazza di Grève, le sue ceneri disperse al vento, i suoi beni requisiti dal re.
M. Foucault, Storia della follia nell'età classica
 

Nel 1810 il Codice napoleonico abolisce del tutto il reato di sodomia, ma certo l’omosessualità continuerà ad essere un tabù per molto tempo ancora sia per la gente comune che per la cultura-letteratura, che ignora l’argomento o si autocensura fino a tutto il Novecento.
L’esempio più eloquente è nell’Ernesto di U. Saba: in buona parte autobiografico, il romanzo -iniziato nel 1953 ed uscito postumo nel 1975-, è la storia di un giovane omosessuale alle sue prime esperienze poco più che adolescenziali. Temendo di poter essere riconosciuto nella vicenda narrata, l’ebreo Saba interrompe l’opera lasciandola incompiuta.

Per vergogna...