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Baudelaire e Leopardi. Spleen e Noia


Alcuni grandi autori della letteratura italiana e/o straniera si caratterizzano per una visione pessimistica -della vita, del mondo, dell'uomo- che si accentua specie in certi contesti/momenti storici.

L’errore è credere che esista il pessimismo, un calderone di malinconia e desolazione esistenziale in cui indistintamente il pessimismo dell'uno equivale -ed è assimilabile- a quello dell'altro.


C’è pessimismo e pessimismo. 


Leopardi e Baudelaire: due autori a caso ma non tanto, visto che i due poeti talvolta sono accostati sulla base di presunte analogie di pensiero.


Leopardi, la cui opera si colloca nel contesto del Romanticismo e precede di qualche decennio quella di Baudelaire, giunge all’idea che tutto è male e dolore muovendo da una visione meccanicistico- materialistica della vita, come si è detto in un altro post. L’uomo, come qualunque altra cosa, è materia bruta, un corpo fatto di cellule capitato nel mondo senza motivo e senza scopo, minuscola particella nell’ingranaggio di un universo che, nel ciclo di produzione-distruzione della materia- persegue unicamente lo scopo di preservare se stesso.


La materia è solo materia e basta, nulla esiste dietro o al di là di essa, nessuna verità trascendente che dia un senso all’esistenza, nessuna poetica armonia a sorreggere il reale. L’idea di quanti si cullano nella speranza di una verità metafisica o di una dimensione ultraterrena, spostando altrove il senso della vita, è un’illusione che mistifica la realtà.



Il pessimismo di Baudelaire, non a caso il primo dei simbolisti, è di natura diversa. Si veda Corrispondenze:


La Natura è un tempio. Le sue colonne viventi
pronunciano talvolta parole incomprensibili.
L’uomo l’attraversa fra foreste di simboli
che osservano il suo incedere con sguardi familiari.
 
Come le lunghe eco, che lontano si fondono
in una tenebrosa e profonda unità
immensa come la notte e come il chiarore,
i profumi si accordano con i colori e i suoni.
 
Ci sono profumi freschi come carni di bimbi,
dolci come degli oboe, verdi come pascoli,
e altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
 
che hanno l’espansione delle cose infinite,
come l’ambra, l’incenso, il benzoino e il muschio,
che cantano i fervori dello spirito e dei sensi.
 

 Da I fiori del male

 

Il componimento, considerato il manifesto del Simbolismo di cui anticipa le caratteristiche, ruota intorno all’idea che nel reale esista un'armonia di  corrispondenze (relazioni tra l’io e il mondo, tra cose e esseri animati, tra colori e suoni, tra tutto ciò che è) per la quale ciascuna cosa si fonde con altre in un unico misterioso tutto. 



Senso e armonia, queste le parole chiave.

Il pensiero di Baudelaire è attraversato da un misticismo che ne attenua in qualche modo il pessimismo rispetto a Leopardi: se per Baudelaire esiste un’essenza del reale oltre il dato fenomenico, un significato che, sia pure nascosto, c’è, basterebbe saperlo cogliere afferrandolo intuitivamente come fa il poeta veggente, in Leopardi non c’è che la desolante realtà della materia nuda e cruda nella sua datità. Nessun senso, nessuna armonia, al di là della materia solo altra materia in una catena infinita di creazione-distruzione-riciclaggio della stessa.

 
Cosa accomuna i due poeti?


Poco finora. Anzi, Baudelaire non sembra neanche tanto pessimista per quello che se n’è detto fin qui.

In realtà in Baudelaire è presente un’angoscia esistenziale (quindi pessimista lo è, eccome) che è resa dal termine spleen e che apparentemente è simile a quella che Leopardi rende con il termine noia.

Anche qui, i due partono da presupposti diversi e approdano a conclusioni differenti.

L’angoscia/noia di Leopardi scaturisce dalla consapevolezza del dolore che è nella condizione umana per quello che si è detto precedentemente. 

Lo spleen di Baudelaire è il disagio esistenziale/disgusto di chi, sia come uomo che come poeta, non si riconosce nell’ipocrisia e nei valori del mondo moderno, un mondo dominato dalla logica del denaro e da una morale ipocrita: rispetto a quel mondo Baudelaire -e con lui i poeti maledetti- sente la propria estraneità e, come l’albatro, se ne allontana sorvolandolo incurante della meschinità di chi lo dileggia.

 
Spesso, per divertirsi, i marinai
prendono degli albatri, grandi uccelli di mare
che seguono, compagni indolenti di viaggio,
le navi in volo sugli abissi amari.
 
L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’azzurro, goffo e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le ali grandi e bianche.
 
Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi, zoppicando, fa il verso allo storpio che volava!
 
Il Poeta è come lui, principe dei nembi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
fra le grida di scherno, esule in terra,
con le sue ali da gigante non riesce a camminare

L'albatro, dalla sezione Spleen, I fiori del male 


Pessimismo sì, ma pessimismi diversi.