Nella Seconda Considerazione Inattuale -Sull’utilità e il danno della storia per la vita- (1874) Nietzsche riflette sul danno causato alla Vita da un eccesso di conoscenza storica.
Un sovraccarico di conoscenze sul passato -la malattia dell'uomo moderno- produce la debilitante consapevolezza dell’effimerità di ogni opera e azione umane: come il perfetto discepolo di Eraclito, l'uomo ha così chiara consapevolezza della caducità di ogni cosa, da non avere più fiducia nell'azione.
Inoltre, l'eccessiva conoscenza storica -e storiografica- convince gli uomini di essere frutti tardivi/epigoni: tutto è già stato fatto di quanto era possibile fare, dunque ai nati-dopo non resta che raccogliere l’eredità delle generazioni precedenti, crogiolandosi nel ricordo.
La cultura storica è anche realmente una
specie di innata canizie, e coloro che ne portano in sé il segno sin
dall’infanzia devono ben giungere all’istintiva credenza della vecchiaia dell’umanità….ma
alla vecchiaia si addice ormai un’occupazione da vecchi, cioè il guardare
indietro, fare i conti, concludere,
cercare conforto nel passato attraverso i ricordi, insomma la cultura storica
La cultura storica è anche realmente una specie di innata canizie, e coloro che ne portano in sé il segno sin dall’infanzia devono ben giungere all’istintiva credenza della vecchiaia dell’umanità….ma alla vecchiaia si addice ormai un’occupazione da vecchi, cioè il guardare indietro, fare i conti, concludere, cercare conforto nel passato attraverso i ricordi, insomma la cultura storica
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita
Il senso storico ipertrofico sfocia dunque in una spossatezza simile a quella di chi, ormai vecchio, non ha altra forza che quella di rivangare il passato.
Perché il passato non diventi un limite per la vita e la creatività umane, occorre sollevarsi al di sopra del divenire storico e saper dimenticare.
Osserva il gregge che pascola dinnanzi a te: non sa che cosa sia
ieri, che cosa sia oggi; salta intorno, mangia, riposa, digerisce, salta di
nuovo, e così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con
il suo piacere e con la sua pena al piuolo, per così dire, dell'attimo, e
perciò né triste né annoiato. Vedere tutto ciò è molto triste per l'uomo poiché
egli si vanta, di fronte all'animale, della sua umanità e tuttavia guarda con
invidia la felicità di quello — giacché egli vuole soltanto vivere come
l'animale né tediato né addolorato, ma lo vuole invano, perché non lo vuole
come l'animale. L'uomo chiese una volta all'animale: Perché mi guardi soltanto,
senza parlarmi della tua felicità? L'animale voleva rispondere e dire: La
ragione di ciò è che dimentico subito quello che volevo dire — ma dimenticò
subito anche questa risposta e tacque... Così l'animale vive in modo
non storico: perché esso nel presente è come un numero, senza che ne resti una
strana frazione, non sa fingere, non nasconde nulla e appare in ogni momento
esattamente come ciò che è, non può quindi essere altro che sincero. L'uomo,
invece, si oppone al peso sempre più grande del passato: questo l'opprime o lo
piega da parte, rende più greve il suo cammino come un fardello …
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno
della storia per la vita
Osserva il gregge che pascola dinnanzi a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi; salta intorno, mangia, riposa, digerisce, salta di nuovo, e così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere e con la sua pena al piuolo, per così dire, dell'attimo, e perciò né triste né annoiato. Vedere tutto ciò è molto triste per l'uomo poiché egli si vanta, di fronte all'animale, della sua umanità e tuttavia guarda con invidia la felicità di quello — giacché egli vuole soltanto vivere come l'animale né tediato né addolorato, ma lo vuole invano, perché non lo vuole come l'animale. L'uomo chiese una volta all'animale: Perché mi guardi soltanto, senza parlarmi della tua felicità? L'animale voleva rispondere e dire: La ragione di ciò è che dimentico subito quello che volevo dire — ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque... Così l'animale vive in modo non storico: perché esso nel presente è come un numero, senza che ne resti una strana frazione, non sa fingere, non nasconde nulla e appare in ogni momento esattamente come ciò che è, non può quindi essere altro che sincero. L'uomo, invece, si oppone al peso sempre più grande del passato: questo l'opprime o lo piega da parte, rende più greve il suo cammino come un fardello …
L’animale è la testimonianza vivente che non c'è felicità senza oblio. L'animale infatti è felice perché vive in modo non storico: incapace di ricordare, esso non ha coscienza del divenire, ignora la caducità di ogni cosa e la propria stessa finitezza, non ha passato né futuro, perciò vive felicemente un'esistenza fatta di attimi.
L’uomo, tuttavia, non può
sperare di somigliare all’animale: ne è commosso, lo invidia mentre lo guarda pascolare nella stessa beata inconsapevolezza del bambino, che spensierato gioca ignaro del passato e del futuro; ma poiché è costitutivamente un essere storico -egli ha cioè coscienza del tempo e del proprio essere-nel-tempo- l'uomo non può prescindere dalla storia né recidere il legame con il passato.
Dire allora che dovrebbe riuscire a dimenticare significa -solo- che l'uomo dovrebbe trovare il modo di stabilire con il passato un rapporto creativo -dunque diverso da quello scientifico- in modo tale che il passato non sia più un danno per la vita e per l’azione.
È il compito della “storia critica”.
Qui diviene evidente come spesso sia necessario per l’uomo,
accanto ad un modo monumentale e antiquario di considerare il passato, un terzo
modo, quello critico: e anche questo a servizio della vita. Deve avere la
forza, e applicarla di tempo in tempo, di mandare in frantumi e dissolvere il
passato per poter vivere: e raggiunge questo scopo portandolo (il passato)
davanti ad un tribunale, sottoponendolo ad un’inchiesta meticolosa, ed infine
condannandolo; ma ogni passato è degno di essere condannato – perché così
accade con le cose umane: sempre la violenza e la debolezza umana sono state in
loro presenti. Non è la giustizia che qui siede a giudizio, è ancora meno la
misericordia che qui annuncia il giudizio, ma solo la vita, quella forza
oscura, trainante, mai sazia di se stessa. Il suo verdetto è sempre impietoso,
sempre ingiusto…
Qui diviene evidente come spesso sia necessario per l’uomo, accanto ad un modo monumentale e antiquario di considerare il passato, un terzo modo, quello critico: e anche questo a servizio della vita. Deve avere la forza, e applicarla di tempo in tempo, di mandare in frantumi e dissolvere il passato per poter vivere: e raggiunge questo scopo portandolo (il passato) davanti ad un tribunale, sottoponendolo ad un’inchiesta meticolosa, ed infine condannandolo; ma ogni passato è degno di essere condannato – perché così accade con le cose umane: sempre la violenza e la debolezza umana sono state in loro presenti. Non è la giustizia che qui siede a giudizio, è ancora meno la misericordia che qui annuncia il giudizio, ma solo la vita, quella forza oscura, trainante, mai sazia di se stessa. Il suo verdetto è sempre impietoso, sempre ingiusto…
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita
La “storia critica” nasce dal superamento tanto della “storia monumentale” -storia intesa come serbatoio di esempi, in realtà non sempre riproducibili nel presente- che della “storia antiquaria” -nella quale spesso è contenuta l'idea che tutto ciò che è vecchio passato è degno di feticistica venerazione. La storia critica trae il passato dinanzi al tribunale della vita e lo giudica: discerne ciò che per la salute di un individuo, di un popolo, di una civiltà è opportuno ricordare e ciò che, per lo stesso motivo, è bene dimenticare. Insomma, per Nietzsche è possibile uscire dalla malattia storica solo rovesciando il rapporto tra Storia e Vita, vale a dire instaurando con il passato un rapporto che lo utilizzi ai fini dell'azione.
Come
è possibile discernere il passato buono -perché aiuta la vita- da
quello cattivo che la ostacola?
Il rischio che si perda di vista il limite e che, facendosi per così dire prendere la mano, si finisca per estirpare anche quello che del passato è ancora vivo oppure, al contrario, che arbitrariamente si scelga/si preservi il passato che più piace e dal quale si desidererebbe derivare, è oggettivamente un rischio alto...