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Quando la guerra è per una “secchia rapita”. Tassoni


Alla solennità del poema epico, genere che più di altri ebbe la pretesa di insegnare trasmettendo valori (l’eroismo, l’onore, la fedeltà), il Seicento contrappose polemicamente il genere eroicomico, rilettura-rivisitazione in chiave parodica del genere epico.
La secchia rapita di Alessandro Tassoni (1665-1635) è forse il più significativo tra i poemi eroicomici del Seicento.
L’opera, pur aderendo alle caratteristiche dell’Epica (la storicità dei fatti narrati, lo stile elevato, il linguaggio ricercato) e ricalcando la struttura tipica del genere (la presenza di un proemio, l'invocazione alle Muse, la dedica) in realtà si prende gioco della tradizione.
 
La secchia rapita.
 
Il poemetto narra in ottave la guerra che si combatté tra bolognesi e modenesi al tempo dell’imperatore Federico II, circa a metà del XIII secolo.
Nella realtà storica, si trattò di un conflitto a margine del più ampio scontro tra Guelfi (bolognesi) e Ghibellini (modenesi).


Ritoccando la Storia, mescolando fantasia e realtà, mischiando vicende avvenute in epoche diverse, il poema inizia da un fatto realmente accaduto: durante la battaglia di Zappolino -unico episodio della guerra-, i Bolognesi penetrarono nel territorio di Modena, ma vennero respinti ed inseguiti fino a Bologna. Nei pressi della città, l’esercito modenese si fermò presso un pozzo per dissetarsi e come trofeo di guerra s’impossessò di una secchia di legno. La vera guerra tra Modena e Bologna termina qui, ma esattamente qui interviene il poeta immaginando che i modenesi rifiutino di riconsegnare la secchia e per questo i bolognesi dichiarino loro guerra.
 
Alla guerra della secchia, che si protrae per lungo tempo attraverso alterne vicende, partecipano gli dei, opportunamente schierati dall’una o dall’altra parte, personaggi storici e personaggi immaginari.
 
Viveano i Modanesi alla Spartana,
Senza muraglia allor nè parapetto;
E la fossa in più luoghi era sì piana,
Che s’entrava ed usciva a suo diletto.
Il martellar della maggior campana
Fe’ più che in fretta ognun saltar dal letto.
Diedesi all’arma; e chi balzò le scale,
Chi corse alla finestra, e chi al pitale;
Fe’ più che in fretta ognun saltar dal letto.
 Diedesi all’arma; e chi balzò le scale,
 Chi corse alla finestra, e chi al pitale;
XI.
Chi si mise una scarpa e una pianella,
E chi una gamba sola avea calzata;
Chi si vestì a rovescio la gonnella,
Chi cambiò la camicia coll’amata:
Fu chi prese per targa una padella,
E un secchio in testa in cambio di celata;
E chi con un roncone e la corazza

Corse, bravando e minacciando, in piazza.                  

XII.

Quivi trovar che ’l Potta avea spiegato

Lo stendardo maggior con le trivelle;
Ed egli stesso era a cavallo armato
Con la braghetta rossa e le pianelle.
Scriveano i Modanesi abbreviato
Pottà per potestà sulle tabelle:
Onde per scherno i Bolognesi allotta
L’avean tra lor cognominato il Potta.    
                       

XIII.
Messer Lorenzo Scotti, uom saggio e forte,
Era allor Potta, e decideva i piati.
Fanti e cavalli intanto ad una sorte
Alla piazza correan da tutti i lati.
Egli, poichè guarnite ebbe le porte,
Una squadra formò de’ meglio armati,
E ne diede il comando e lo stendardo
Al figlio di Rangon, detto Gherardo                              

[…]
XXIII.
Il capitan della petronia gente,
Ch’era un omaccio assai polputo e grosso,
Gridava dalla ripa del torrente,
A’ suoi ch’eran fermati, a più non posso:
Perchè non seguitadi alliegramente?
Avidi pora di saltar un fosso?
O volidi restar tutti alla coda?
Passadi panirun pieni di broda.



Al suono della campana che chiama a raccolta i soldati in vista battaglia, è tutt’un affaccendarsi in gran fretta: c’è chi alla rinfusa infila una scarpa e una ciabatta, chi infila alla rovescia la gonnella, chi corre a far pipì, qualcuno esce di casa brandendo un roncone, qualcun altro indossa un secchio al posto della celata.
Il podestà di Modena, detto Pottà dai suoi e Potta dai nemici, corre in piazza con le braghe rosse e le ciabatte e affida il comando dell’armata a Gherardo. Nel frattempo anche i bolognesi s’apprestano alla battaglia guidati da un omone polputo e grosso che in dialetto li incita a non perder tempo.

La battaglia è cruenta e le perdite sono ingenti. 

Il modenese Gherardo si getta furioso nella mischia e fa strage di bolognesi: a Cesar Viano fa saltare il naso, infilza uno dopo l’altro mastro Galasso Cavadenti, Barbier di Crespellano, mastro Costantin dalle Magliette che faceva le grucce alle civette e altri ancora.

Quando la battaglia volge al peggio per i bolognesi, che sono stati ricacciati fino sotto le mura della loro città, Spinamonte del Forno, Rolandino Savignani, Aliprando d’Arrigozzo De’ Denti da Balugola, Albertino Foschiera e Calatran di Borgomozzo, stremati dalla sete, bevono acqua da un pozzo nelle campagne bolognesi e s’impadroniscono della secchia.


È appunto questa la secchia della discordia.


La guerra della secchia rapita si protrarrà per anni e si concluderà solo grazie all’intervento del legato pontificio che stabilirà le condizioni della pace: i Bolognesi si tengano pure prigioniero Enzo, il figlio di Federico II, e i Modenesi dal canto loro si tengano la secchia…che in effetti fa bella mostra di sé:
   
LXIII.
[…]
dentro una cassetta di cotone
Nella torre maggior fu riserrata,
Dove si trova ancor vecchia e tarlata.


Come si diceva, irridendo la pomposità del genere epico-cavalleresco per superarlo definitivamente, Tassoni si prende gioco di valori e istituzioni ormai al tramonto: la lealtà alla patria, l’onore da conquistare in battaglia e che proporzionalmente cresce in relazione al numero di nemici uccisi, il virile coraggio di cavalieri che non arretrano di fronte al pericolo e sfidano la morte guardandola dritto negli occhi.
Nella guerra raccontata da Tassoni nulla c’è dell’eroismo cavalleresco della tradizione, la guerra della secchia è una mischia caotica e farsesca in cui si scontrano soldati-uomini dai nomi ridicoli e dalle bizzarre armature raffazzonate a casaccio; antieroi che hanno bisogni semplici come sfamarsi, dissetarsi, far pipì; uomini disorientati, uomini che esitano, che hanno paura ma poi combattono e uccidono perché questi sono gli ordini.


È la guerra...

Quante volte nella Storia -quella vera- gli uomini hanno dovuto sacrificare la propria e l’altrui vita solo per una vecchia secchia di legno o poco di più?