Scritto e rivisto negli anni tra il 1346 e il 1353, diviso in tre libri, il Secretum -titolo completo: De secreto conflictu curarum mearum- è l’opera che forse ancor più del Canzoniere ci restituisce la tormentata interiorità di Petrarca.
L’opera
è un dialogo immaginario tra lo stesso Francesco, Sant’Agostino e la Verità: mentre
i primi due dibattono vivacemente e a lungo su numerose questioni- l’uomo, la
virtù, la vita, la morte- la Verità si astiene dall’intervenire e ascolta in
silenzio.
Passando
in rassegna i sette peccati capitali, Sant’Agostino individua il peccato di
Francesco nell’accidia, l’incapacità di agire/di volere: schiavo delle passioni
terrene, prime fra tutte il desiderio di gloria e l’amore per Laura, egli è
troppo debole per liberarsene e così non è in grado di pervenire alla Virtù che
sola conduce alla salvezza dell’anima.
Per bocca di Agostino che lo redarguisce, Petrarca dà così
voce ai dubbi che lo affliggono, dando prova della profonda crisi spirituale che
in quegli anni va maturando.
L'uomo secondo Sant'Agostino.
Nell’estratto
che segue, Francesco e Sant’Agostino s’interrogano su cosa sia l’uomo: partendo
dalla celeberrima definizione che molti secoli prima ne aveva dato Aristotele
secondo il quale l’uomo è un animale razionale, i due pervengono ad una
definizione di uomo di straordinaria lucidità.
P.
— Mi pareva d’averne detto oltre il dovere, ma ne parlerò più di proposito. Or
dunque l’uomo è un animale, anzi il principe tra tutti gli animali. Nè v’ha sì
rozzo bifolco, o fanciullo che interrogato non risponda, l’uomo esser insieme
animal razionale e mortale; ond’è che questa definizione sia a tutti palese.
A.
— Io ti dico anzi che a pochi.
P.
— Parli tu di buon senno?
A.
— Se mai t’avvenga di scontrarti in alcuno, fornito di ragione per modo, che
secondo i dettati di lei ordini la vita, e a lei sola sommettendo ogni sua
voglia e le passioni infrenando dimostri, siccome da lei e non da altro sia
distinto dagli insensati bruti, e il nome d’uomo da ciò appunto venirgli che
operi secondo ragione; se inoltre egli così del suo essere mortale si chiarisca
consapevole, che ne abbia sempre viva al pensiero l’imagine; e disprezzatore
delle presenti cose, sospiri a quella vita in cui vestito di luce novella
lascerà le spoglie terrene; sappi che costui soltanto utilmente e veracemente
conosce che si voglia dir uomo. Epperchè intorno a cosiffatti cadeva il
discorso, per questo affermai più sopra so essere il novero di chi conosca o rifletta
alla umana mortalità.
P.
- Ed io mi credeva d'essere uno dei pochi.
A.
- Non voglio già negarti che l'esperienza della vita e la lettura di tanti
libri, quella col ravvolgerti fra tante vicende, questa col porti sott'occhio
tante sentenze, non t’abbiano di frequente richiamato al pensiero della morte;
ma desso non però ti si addentrò tutto nell’animo, nè vi rimase troppo a lungo
come dovea.
P.
— E che vuoi dirmi con questo addentrarsi nell'animo?
…
A.
— Di buon grado. Corre una opiniore nel volgo, la quale è altresì affermata dai
più illustri del filosofico gregge, che la morte sia di tutte cose la più
tremenda…Ma una passeggera menzione che se ne faccia, o il tenerne discorso
soltanto, non basta; che anzi giova intrattenersene a lungo, e con intentissima
meditazione rappresentarsi un uomo in sul confine della vita. Guarda com’ei si
tramuti nelle membra! gli si irrigidiscono le estreme parti e le mezzane
s'infuocano, stilla dalla fronte un gelato sudore, gli palpitano i lombi, il
battito del cuore, all’avvicinarsi dell’estremo punto, s'allenta. Gli occhi
infossati ed erranti, lagrimosa la pupilla, raggrinzata e livida la fronte,
cadenti le guance, serrati i denti, rigide ed affilate le nari, spumante il
labbro, torpida e coperta di squamme la lingua, riarso il palato, pesante il
capo, affannoso il respiro. E già gli si aggrava il rantolo, più dolorosi sono
i gemiti…Ed è questa la cosa che io diceva doversiti profondamente addentrare
nell'animo, non abbastanza scosso dal quotidiano morire di tanti..
A.
…Se qualora mediti la morte non ne resti commosso, vuol dire che fu vano,
siccome del rimanente, il tuo pensiero. Ma se invece un sudor freddo ed un
triemito ti assaliranno, se trascolorerai nel sembiante, e già ti parrà di
travagliarti di mezzo alle mortali angosce, e ti si scriverà, come a dir, nel
pensiero, che l’anima non appena uscita del corpo, dovrà presentarsi al giudice
eterno per rendergli strettissimo conto d’ogni parola, d’ogni atto della vita
trascorsa; se finalmente vorrai persuaderti che non è da riporre veruna fiducia
nella bellezza della persona, nella gloria del mondo, nella potenza
dell’ingegno, nella forza o nella ricchezza, perchè quel giudice non può nè
ingannarsi, ned essere placato o corrotto corrotto; se penserai che la morte anch'essa
non dee riguardarsi qual fine delle fatiche, ma qual passaggio; e di mezzo a
tutto questo ti si affigureranno alla mente mille guise di supplizii e
tormentatori infiniti, e lo stridore e i gemiti dall'inferno e i fiumi di zolfo
e le tenebre e le furie vendicatrici, e il tremendo aspetto di quell’orribil
prigione ove sovrabbonderà ogni male senza termine alcuno, e la disperazione
dell’incessante cruccio, e la collera d’un Dio che, sconoscente di perdono,
vivrà in eterno; ove un cosiffatto spettacolo vivamente ti si rappresenti, non
già come di cosa imaginata, ma realissima, inevitabile, e quasi anzi presente;
nè sconfidato nell’animo, ma pieno di speranza che Dio vorrà prontamente
ritorti a tanti mali, purchè il cuore sospiri alla sua guarigione e a null’altro
intenda che a conseguirla, e duri nel retto proposito; allora sta a buona
speranza che non torneranno inutili le tue meditazioni.
P.
- Forte m’atterisci collo schierarmi dinanzi tante miserie…
F.
Petrarca, Secretum, libro I
Non
c’è rozzo bifolco e non c’è fanciullo che, interrogato su cosa sia l’uomo, non
risponda banalmente che egli è un animale razionale -la definizione
aristotelica è nota ai più-; alcuni, citando Cicerone, rispondono che l’uomo
è animale mortale ma dotato di razionalità.
Tuttavia,
obietta Sant’Agostino, le due definizioni cozzano con la realtà dei fatti: se
l’uomo fosse razionale come da definizione, non sarebbe schiavo delle passioni, non cederebbe all'istinto e tutta la sua vita vivrebbe guidato dalla ragione, che segna la differenza tra
l’uomo e la bestia; allo stesso modo, egli è mortale ma non è pienamente consapevole della
propria finitezza, perché se lo fosse vivrebbe nel disprezzo delle
cose terrene, agognando soltanto
a quella vita in cui vestito di luce novella lascerà le spoglie terrene.
…
A. — Di buon grado. Corre una opiniore nel volgo, la quale è altresì affermata dai più illustri del filosofico gregge, che la morte sia di tutte cose la più tremenda…Ma una passeggera menzione che se ne faccia, o il tenerne discorso soltanto, non basta; che anzi giova intrattenersene a lungo, e con intentissima meditazione rappresentarsi un uomo in sul confine della vita. Guarda com’ei si tramuti nelle membra! gli si irrigidiscono le estreme parti e le mezzane s'infuocano, stilla dalla fronte un gelato sudore, gli palpitano i lombi, il battito del cuore, all’avvicinarsi dell’estremo punto, s'allenta. Gli occhi infossati ed erranti, lagrimosa la pupilla, raggrinzata e livida la fronte, cadenti le guance, serrati i denti, rigide ed affilate le nari, spumante il labbro, torpida e coperta di squamme la lingua, riarso il palato, pesante il capo, affannoso il respiro. E già gli si aggrava il rantolo, più dolorosi sono i gemiti…Ed è questa la cosa che io diceva doversiti profondamente addentrare nell'animo, non abbastanza scosso dal quotidiano morire di tanti..
A. …Se qualora mediti la morte non ne resti commosso, vuol dire che fu vano, siccome del rimanente, il tuo pensiero. Ma se invece un sudor freddo ed un triemito ti assaliranno, se trascolorerai nel sembiante, e già ti parrà di travagliarti di mezzo alle mortali angosce, e ti si scriverà, come a dir, nel pensiero, che l’anima non appena uscita del corpo, dovrà presentarsi al giudice eterno per rendergli strettissimo conto d’ogni parola, d’ogni atto della vita trascorsa; se finalmente vorrai persuaderti che non è da riporre veruna fiducia nella bellezza della persona, nella gloria del mondo, nella potenza dell’ingegno, nella forza o nella ricchezza, perchè quel giudice non può nè ingannarsi, ned essere placato o corrotto corrotto; se penserai che la morte anch'essa non dee riguardarsi qual fine delle fatiche, ma qual passaggio; e di mezzo a tutto questo ti si affigureranno alla mente mille guise di supplizii e tormentatori infiniti, e lo stridore e i gemiti dall'inferno e i fiumi di zolfo e le tenebre e le furie vendicatrici, e il tremendo aspetto di quell’orribil prigione ove sovrabbonderà ogni male senza termine alcuno, e la disperazione dell’incessante cruccio, e la collera d’un Dio che, sconoscente di perdono, vivrà in eterno; ove un cosiffatto spettacolo vivamente ti si rappresenti, non già come di cosa imaginata, ma realissima, inevitabile, e quasi anzi presente; nè sconfidato nell’animo, ma pieno di speranza che Dio vorrà prontamente ritorti a tanti mali, purchè il cuore sospiri alla sua guarigione e a null’altro intenda che a conseguirla, e duri nel retto proposito; allora sta a buona speranza che non torneranno inutili le tue meditazioni.