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Apocolocynthosis: Seneca e quello “zuccone” di Claudio.



Vissuto nell’ombra per buona parte della sua vita, schernito dai suoi stessi parenti perché decisamente non bello, claudicante, balbuziente, bavoso, con difetto di pronuncia e continuo tremolio del capo; considerato pressoché un idiota persino da sua madre, come racconta Svetonio nel De vita Caesarum, Claudio salì al potere dopo Caligola e divenne imperatore alla veneranda età di 51 anni per governare dal 41 d. C. al 54.


Inizialmente inviso al Senato che lo considerava inadeguato, Claudio seppe poi ammansirlo: si dimostrò un buon amministratore, senz’altro il più saggio della dinastia Giulio-Claudia, che certo non brillò mai quanto a buon governo né prima né dopo di lui; la sua politica interna fu equilibrata; la politica estera lungimirante e oculata gli valse la conquista della Britannia nell'anno 43.


Con lui Seneca ebbe rapporti turbolenti: nel 41 l’imperatore lo esiliò in Corsica e lì il filosofo rimase fino al 49.


Alla morte di Claudio, che nel 54 fu assassinato per mano della moglie Agrippina (questa la versione giunta fino a noi e mai smentita), uscendo dalla sua stoica imperturbabilità Seneca cedette alla tentazione di vendicarsi dell’odiato imperatore e compose l'Apocolocynthosis divi Claudiiuna divertentissima feroce satira il cui titolo allude sarcasticamente alla divinizzazione dell’imperatore decretata dal Senato dopo la sua morte.


La trama

 
Il mondo esulta alla morte di Claudio, non altrettanto accade in Olimpo dove, quando l’imperatore vi giunge, è sconcerto generale. Al solo vederlo Giove è imbarazzato: il nuovo arrivato ha un aspetto sinistro, scuote continuamente il capo, zoppica e balbetta. 

Gli si chiede da dove proviene, qual è la sua nazionalità, ma lui con voce impastata biascica qualcosa di incomprensibile in una lingua che non è greco, non è latino, non è nessuna delle lingue conosciute.


Giove chiama in proprio soccorso Ercole, che avendo girato tutto il mondo conosce tutte le nazioni e tutte le lingue. 

Ercole è sconvolto alla vista del defunto, ha sempre creduto di aver visto i più repellenti mostri della Terra, ma si sbagliava: quella faccia, quel modo strano di camminare, quella voce tanto diversa da quella di qualunque animale terrestre e simile piuttosto a quella di un mostro marino, quella sua lingua incomprensibile fanno di quella creatura l'essere in assoluto più mostruoso. 


Per quanto perplesso,  Ercole gli si avvicina e in greco omerico gli chiede da dove viene, qual è la sua patria e chi i suoi genitori. Claudio gongola, finalmente è capitato tra intellettuali con la sua stessa passione per Omero e in grado di apprezzare la sua cultura.

Così, volendo dire in greco chi è, Claudio risponde con un verso dell’Odissea e millanta origini che non ha. 

Poco avveduto, Ercole è favorevolmente impressionato, ma interviene Febbre che ha seguito fin lì l’imperatore e gli sta accanto ora come ha fatto per molti anni sulla Terra: Claudio mente, è nato a Lione, è dunque un barbaro (vi è forse un po' di razzismo nelle parole di Seneca-Febbre?), con il suo malgoverno ha devastato la città di Roma e l'ha fatta sprofondare nel caos.

Claudio va su tutte le furie e protesta con veemenza.
 

[…] Quid diceret, nemo intellegebat, ille autem Febrim duci iubebat, illo gestu solutae manus et ad hoc unum satis firmae, quo decollare homines solebat, iusserat illi collum praecidi. 

Seneca, Apocolocynthosis c.6
 
Come gli accade ogni volta che perde la pazienza, Claudio balbetta ancor di più e così nessuno capisce nulla di ciò che dice. Ad ogni modo, ordina che Febbre sia catturata e, con quello stesso gesto della mano ferma con cui era solito in vita far decapitare gli uomini, ordina che le si tagli la gola.
 
Le cose si mettono male per Claudio che è condannato e gettato negli Inferi.
 
Ducit illum ad tribunal Aeaci […]
De genere poenae diu disputatum est, quid illum pati oporteret […]. Placuit novam poenam constitui debere, excogitandum illi laborem irritum et alicuius cupiditatis speciem sine effectu. Tum Aeacus iubet illum alea ludere pertuso fritillo. Et iam coeperat fugientes semper tesseras quaerere et nihil proficere.
Seneca, Apocolocynthosis c. 14
 
Claudio è condotto davanti al tribunale di Eaco e a lungo si discute su quale pena infliggergli. Si conviene su una pena che lo costringa ad un'inutile eterna fatica: Claudio giocherà a dadi con un bossolo bucato così che ad ogni partita sia costretto a rincorrerli mentre rotolano via.
 
Povero Claudio.

E povero Seneca! Aveva creduto che il divino Nerone -il discepolo che egli aveva educato alla moderazione-, succedendo all'odiato Claudio avrebbe aperto all’impero un’età di rinnovamento e splendore: ma la Storia, come sempre smentendo ogni previsione, imboccò tutt'altra strada...