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Naturalismo e Verismo. Focus Rosso Malpelo



Naturalismo e Verismo


Il Naturalismo francese costituisce modello e punto di riferimento per il Verismo, che da esso mutua molto, in special modo l’idea di una narrazione che oggettivamente faccia luce sulle leggi-meccanismi all’origine dei fatti, dei comportamenti e dei caratteri umani.

 
Condividendo con il Positivismo l’ottimistica convinzione che tutto ciò che accade abbia una causa scientificamente spiegabile, il Naturalismo e il Verismo imboccano poi strade diverse. 


Secondo il primo, l’individuo agisce condizionato dalla genetica (race) e dalle condizioni socio-economiche di appartenenza (milieu), quindi si è ladri o assassini se nati e cresciuti in condizioni di degrado oppure per aver ereditato dagli avi la tendenza a delinquere; mentre si è perbene se si discende da famiglie sane o si è nati in contesti socio-culturali evoluti. 

Secondo il Verismo, la molla dell’agire umano è la lotta per la sopravvivenza: l’individuo è spinto in tutto ciò che fa dal naturale bisogno di affermare se stesso, un bisogno che per i meno abbienti si traduce nella lotta contro la povertà, per gli altri, i più fortunati, coincide con la brama di potere. Ciascuno mira al meglio per sé.

 
Fin qui, la differenza tra le due posizioni sembra cosa da poco, in realtà è abissale: per il Naturalismo è sufficiente agire, modificandole, sulle condizioni di partenza  
(per esempio sull’ambiente) per incidere sui comportamenti degli individui e quindi sulla loro esistenza; per i veristi c’è poco da fare, la lotta che l’uomo ingaggia nel tentativo di progredire si scontra con la legge voluta da una sorte – o malasorte- immutabile, pertanto tentare di sottrarsi al proprio destino è sì naturale, ma fatica sprecata. Meglio fare come l’ostrica che rimane attaccata allo scoglio, e rimanere dove si è, evitando rischi.

 

Rosso Malpelo, la svolta verista di Verga


Nel 1878 viene pubblicata la novella Rosso Malpelo, con la quale Verga assurge ufficialmente a massimo esponente del Verismo, dopo un’iniziale adesione al romanticismo (talvolta piuttosto melenso, vedi lo strappalacrime romanzo breve Storia di una capinera).

 
La novella contiene tutti gli elementi -nei temi e per lo stile- che più tardi caratterizzeranno i romanzi del ciclo dei Vinti.
 

La storia 


Pubblicata per la prima volta nel 1878 sulle pagine della rivista Fanfulla della domenica e successivamente inclusa nella raccolta Vita dei campi, la novella è la storia di un bambino che, nato in miseria, è costretto al duro lavoro in una cava di pietra. In quella stessa cava ha perso la vita suo padre Mastro Misciu, rimasto sepolto nel crollo in una galleria.
 
Malpelo è chiamato così a causa dei capelli rossi, che nell’immaginario popolare ne fanno un ragazzo malvagio.
 
Lavora per pochi soldi ma instancabilmente: dopo la morte del padre sembra gli sia entrato il diavolo in corpo e ha la rabbia e la tenacia di un bufalo feroce.



Non protesta quando è ingiustamente incolpato se l’asino è ferito o crolla un pezzo di galleria, è abituato a subire e sopporta percosse e punizioni, pedate e cinghiate.
 

Quando nella cava arriva Ranocchio, un ragazzino sciancato che arranca pietosamente mentre trasporta il corbello di rena in spalla, Malpelo lo tormenta in mille modi e se l’altro non reagisce, lo picchia a sangue perché impari che nella vita occorre difendersi, ma poi lo consola donandogli un po’ del proprio pane.


Ranocchio comincia a deperire e si ammala, tossisce e sputa sangue. 


Il Rosso non sopporta di vederlo in quello stato e chino su di lui, colle mani sui ginocchi, fissandolo con quei suoi occhiacci spalancati, urlando gli augura di morire, mentre il padrone pensa che Malpelo è capace di schiacciargli la testa a quel ragazzo e va tenuto d’occhio.
 
Malocchio muore e dopo di lui anche Malpelo: un giorno che si deve esplorare un passaggio nella cava, il padrone pensa di inviarci lui perché della sua pelle non interessa a nessuno. Presi con sé il piccone, la zappa e la lanterna di suo padre, Malpelo si avvia e di lui non si saprà più nulla.
 

Il Verismo, poetica dell'immobilismo


In ottemperanza ai canoni dell’oggettività verista, Verga utilizza la tecnica della “regressione”: il narratore rinuncia al proprio punto di vista su fatti e personaggi e lascia che la storia si narri da sé, quasi in presa diretta, attraverso la prospettiva di chi la vive e vi partecipa; Malpelo è detto così perché ha i capelli rossi e la gente comune (il padrone, i minatori, la stessa madre del ragazzodiffida dei rossi perché sa che sono capaci delle cose peggiori; dopo la morte del padre ha il diavolo in corpo ed è feroce come un bufalo, secondo il punto di vista altrui. 

L’intera storia è filtrata attraverso il punto di vista della comunità che ruota intorno a Malpelo, il che, tuttavia, non è garanzia di piena oggettività, lasciando trapelare il giudizio dell’autore che biasima i pregiudizi e la cattiveria di cui è oggetto Malpelo e lo lascia intendere.

 
Il tema è tipicamente verghiano: la lotta per la sopravvivenza -in questo caso colta nell'ingiustizia del lavoro minorile- in un mondo spietato perché governato da leggi immutabili.

La sorte ha voluto Malpelo tra gli ultimi: nato povero è destinato a subire ogni genere di vessazione, ma accetta con rassegnazione il proprio stato di emarginazione e sofferenza perché così deve essere; era così per suo padre, è così per tutti quelli come lui. Cresciuto troppo presto, ha imparato che il destino/le leggi che regolano la vita sono immutabili ed è inutile qualunque rivolta, le cose vanno come devono andare.

 
Il mondo verghiano è un mondo di dolore ma paralizzato nella rassegnazione: I Malavoglia e Gesualdo del ciclo dei Vinti tentano di opporsi al destino ma falliscono e dal destino sono travolti come l’ostrica che incautamente si stacca dallo scoglio e va alla deriva; Malpelo è doppiamente un vinto, perché rinuncia alla lotta sapendola inutile.

 
Nessuno ha scampo tra i personaggi di Vergapiegare il capo accettando ciò che la sorte ha stabilito è per loro l’unica loro possibilità di sopravvivenza.