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A. Cechov. Il camaleonte e altri racconti



Premessa


 

Cechov scrisse più di 600 racconti: alcuni apparvero pubblicati su riviste dell’epoca, altri andarono a far parte delle raccolte Racconti di Melpomene, Racconti variopinti e Nel crepuscolo pubblicate tra il 1884 e il  1887.

 

Il camaleonte
Anton Cechov

 
Il racconto, che ha come sfondo la Russia zarista, ritrae una scena di banale quotidianità: nella piazza del paese, un capannello di gente vociante e il guaito di un cane attirano l’attenzione di Ociumielov, il commissario rionale di polizia che con la guardia Eldirin sta perlustrando la zona.
 
Fattosi largo tra la folla, Ociumielov riconosce l’orefice Chiriukin.


Esibendo un dito insanguinato a riprova del fattaccio, Chiriukin inveisce contro il cane che l’ha morso e che nel frattempo qualcuno ha provveduto a placcare immobilizzandolo.

Ociumielov non ha dubbi: quel cane è un randagio, sicuramente ha la rabbia e va soppresso.
Dalla folla, si ode la voce di qualcuno secondo cui quel cane non è affatto un randagio ma è di proprietà del generale Zigalov.

Ociumielov suda freddo, si libera del cappotto e conclude che un cagnetto piccolo così non può aver morso arrivando fino al dito di Chiriukin, che è uomo grande e grosso: sicuramente Chiriukin si è ferito da sé e cerca di spillar quattrini allo Stato chiedendo un risarcimento che non gli spetta.

La guardia Eldirin osserva che un cane come quello, un bastardo per giunta pure bruttino, non può essere del generale, notoriamente amante di cani di prezzo (di razza); un cane del genere a Mosca sarebbe eliminato senza se e senza ma.
Ociumielov trova convincente il ragionamento di Eldirin, quindi non ha dubbi sul da farsi: il cane deve essere soppresso.
Giunge sul posto Prochor, il cuoco del generale.
Prochor è categorigo: il cane non è del generale.
Ociumielov, sollevato, respira a pieni polmoni. Problema risolto. Il cane ha i minuti contati.
Il cane, precisa Prochor, certamente non è del generale, è del fratello del generale.
Ociumielov ricomincia a sudare. Guarda il cagnetto con tenerezza: ha sempre saputo che Chiriukin è un impostore.


I tipi umani di Cechov
 
Cechov, che come medico (professione che esercitò per tutta la vita gratuitamenteebbe modo di imbattersi in centinaia di tipi umani, di osservare l’uomo con i suoi vizi e le sue virtù, dà vita nei suoi racconti a personaggi che per la loro attualità superano la dimensione storico-temporale della Russia zarista e diventano individui in cui ciascuno può riconoscersi.


Lo zar Nicola II

Servile con i potenti e arrogante con i deboli, Ociumielov incarna un tipo umano sovrastorico, creatura che supera i confini del tempo e dello spazioil voltagabbana ottuso e camaleontico che opportunisticamente cambia idea e posizione adattandosi alle circostanze. Individuo delizioso nel quale ciascuno di noi ha avuto la sfortuna di imbattersi almeno una volta nella vita.

– Si sa, è del generale! – dice una voce dalla folla.
–Uhm!… Mettimi addosso, caro Eldirin, il cappotto… Tira un po’ di vento… Ho dei brividi… Tu lo porterai dal generale e là domanderai. Dirai che l’ho trovato e mandato io… E di’ che non lo lascino andar sulla strada… Forse è di prezzo, e se ogni porco gli premerà il sigaro sul naso, ci vorrà molto a rovinarlo? Il cane è una bestia delicata… E tu, tanghero, abbassa la mano! Non hai da mettere in mostra il tuo stupido dito! Tu stesso ci hai colpa!…
– Viene il cuoco del generale, gli domanderemo… Ehi, Prochor! Vieni un po’ qua, caro! Da’ un’occhiata al cane… E’ vostro? 
– Che idea! Di simili da noi non ce ne sono stati mai.
– E qui non c’è da far tante domande, – dice Ociumielov. – E’ un cane randagio! Non C’è da far lunghi discorsi… Se ho detto ch’è randagio, vuol dire ch’è randagio… Sopprimerlo, ecco tutto. 
– Non è nostro, – continua Prochor.-E’ del fratello del generale, ch’è arrivato l’altro giorno. Il nostro non è amante dei levrieri. Suo fratello ci ha passione…
– Ma che è arrivato suo fratello? Vladimir Ivanic’? – domanda Ociumielov, e tutta la sua faccia s’inonda d’un sorriso d’intenerimento.-Guarda un po’, Signore! E io che non lo sapevo! E’ venuto in visita per un po’ di tempo?
– In visita…
–Guarda un po’, Signore!… Sentiva la mancanza del fratello… E io nemmeno lo sapevo! Così questo è il suo cagnolino? Molto piacere…
Prendilo… Il cagnuzzo non è male… E’ così vispo… Ha dato un morso a costui nel dito! Ah-ah-ah!… Su via, perché tremi? Rrr… Rr… Si arrabbia il briccone… è un tal cagnetto…
Prochor chiama il cane e s’allontana con esso dal deposito di legna…
La folla ride forte di Chriukin.
– Arriverò ancora fino a te! – lo minaccia Ociumielov e, chiudendosi nel cappotto, continua il suo cammino per la piazza del mercato.
Ad Ociumielov non interessa scoprire la verità, poco gli importa che l’orefice sia stato morso dal cane o simuli per convenienza; quel cane potrebbe persino aver aggredito per difendersi dalle percosse: per il burocrate Ociumielov è fondamentale che il cane non appartenga al generale o a un qualunque uomo di potere che, si sa, conviene non irritare.


La morte di un impiegato


I Racconti di Cechov sono una galleria infinita di personaggi e caratteri i più disparati, tutti ugualmente rappresentativi della natura umana.
Si pensi al racconto La morte di un impiegato, magistrale ritratto di un altro tipo umano con cui ciascuno di noi deve fare i conti ogni tanto: l’insicuro patologico, quello che ha costantemente bisogno di rassicurazioni, il rompiscatole insistente fino allo sfinimento.

Cerviakov, questo il nome del protagonista, mentre è a teatro starnutisce.
Vide che un vecchietto, seduto davanti a lui, nella prima fila di poltrone, stava asciugandosi accuratamente la calvizie e il collo col guanto e borbottava qualcosa
Convinto di aver spruzzato la testa del vecchietto, che riconosce come il generale Brizzalov, Cerviakov approfitta dell’intervallo per andare a scusarsi con lui. Torna a scusarsi più tardi, poi si scusa ancora, quindi matura la decisione di riprovarci per l'ennesima volta e il giorno successivo va nell’ufficio di Brizzalov, per sincerarsi che davvero l’abbia perdonato.
-Vi ho spruzzato, eccellenza... perdonate... io, vedete... non che volessi...
-Ah, smettetela... Io ho già dimenticato, e voi ci tornate sempre su! - disse il generale che mosse con impazienza il labbro inferiore.
«Ha dimenticato, e intanto ha la malignità negli occhi», pensò Cerviakòv, gettando occhiate sospettose al generale. «Non vuol nemmeno parlare. Bisognerebbe spiegargli che non desideravo affatto... che questa è una legge di natura, se no penserà ch'io volessi sputare. Se non lo penserà adesso, lo penserà poi! ...
Giunto a casa, Cerviakòv riferì alla moglie il suo atto incivile. La moglie, come a lui parve, prese l'accaduto con troppa leggerezza; ella si spaventò soltanto, ma poi, quando apprese che Brizzalov era un "estraneo", si tranquillizzò.
-Ma tuttavia passaci, scusati. -disse. -Penserà che tu non sappia comportarti in pubblico! -
Il giorno dopo Cerviakòv indossò la divisa di servizio nuova, si fece tagliare i capelli e andò da Brizzalov a spiegare. Entrato nella sala di ricevimento del generale, vide numerosi postulanti e in mezzo ad essi il generale in persona, che già aveva cominciato l’accettazione delle domande. Interrogati alcuni visitatori, il generale alzò gli occhi anche su Cerviakòv.
-Ieri all’arcadia, se rammentate, eccellenza, – prese a esporre l’usciere,– io starnutii e…  involontariamente vi spruzzai… Scus…
-Che bazzecole… che desiderate? – domandò il generale rivolgendosi al postulante successivo.
«Non vuole parlare! », pensò Cerviakòv, impallidendo.
 ……
– Eccellenza! Se oso incomodare vostra eccellenza, è precisamente per un senso, posso dire, di pentimento! …Non lo feci apposta, voi stesso lo sapete!
Il generale fece una faccia piagnucolosa e agitò la mano.
– Ma voi vi burlate semplicemente, egregio signore! – disse, scomparendo dietro la porta.
Che burla è mai questa? -pensò Cerviakòv- Qui non c’è proprio nessuna burla!
………………
Gli scriverò una lettera e non ci andrò più! Com’è vero Dio, non ci andrò più! Così pensava Cerviakòv andando a casa.
La lettera al generale non la scrisse…
Andò il giorno dopo a spiegare di persona. 
– Sono venuto ieri a incomodare vostra eccellenza, – si mise a borbottare, quando il generale alzò su di lui due occhi interrogativi, – non già per burlarmi, come vi piacque dire. Io mi scusai perchè, starnutendo, vi avevo spruzzato… ma non pensavo di burlarmi. Come potrei? Se noi ci burlassimo, vorrebbe dire allora che non c’è più alcun rispetto…per le persone…
– Vattene! – urlò il generale, fattosi d’un tratto livido e tremante.
– Che cosa? – domandò con un bisbiglio Cerviakòv, venendo meno dallo sgomento.
– Vattene! – ripeté il generale, pestando i piedi.
Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò. Senza veder nulla, senza udir nulla, egli indietreggiò verso la porta, uscì in strada e si trascinò via.
Arrivato macchinalmente a casa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul divano e…morì.
 
Petulante e piagnucoloso, Cerviakov vive chiuso nel suo piccolo mondo fatto di paure e manie. Non fidandosi di se stesso, fatica a fidarsi degli altri, incapaci a suo giudizio di perdonare persino un banale errore. Così, lacerato da inutili sensi di colpa per un innocuo starnuto, rancoroso per non essere stato tenuto in debita considerazione da Brizzalov giustamente esasperato, Cerviakov torna a casa, si distende sul divano e lì muore.

 
Cechov osserva gli uomini e li racconta, ma non li giudica. R
ifuggendo dalle prediche moralistiche di chi dall’alto indica la strada da percorrere o il comportamento giusto da adottare, egli mette bonariamente l'uomo/il lettore davanti allo specchio di personaggi che gli somigliano: le stesse meschinità, la stessa ipocrisia.




 
Bibliografia.
Anton Cechov, Racconti
Eridano Bazzarelli, Racconti di Cechov, volume primo, ediz. Rizzoli