Letteratura

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J.P. Sartre, La nausea


Heidegger all'origine dell'esistenzialismo


La pubblicazione nel 1927 di Essere e tempo, del filosofo tedesco M. Heidegger, contribuì a generare un dibattito sull’uomo e il suo essere- nel-mondo, al quale non si sottrasse la letteratura. 
 
In Essere e tempo, Heidegger aveva sostenuto che l’uomo è solo di fronte al mondo e che l’angoscia che ne deriva, lo spaesamento nel sentirsi fuori luogo, non-a-casa-propria, è la condizione ontologico-esistenziale più vera e autentica dell’Esserci:

L’angoscia isola e apre l’Esserci come solus ipse…..il non-sentirsi-a-casa-propria deve esser concepito come il fenomeno più originario. Solo perché l’angoscia pervade latentemente già da sempre l’essere-nel-mondo…e ciò produce il senso di spaesamento che è l’angoscia…. La paura è un’angoscia deietta nel «mondo», inautentica e dissimulata a se stessa come tale.
Tuttavia l’uomo -l’Esserci- cerca di sfuggire all’angoscia del non sentirsi -a- casa propria, ricorrendo a quei diversivi (diversione deiettiva) che la vita e/o la società gli offrono e che gli consentono di sentirsi In-esserci, vale a dire a casa, a proprio agio in qualcosa, parte integrante del mondo e in funzione di qualcosa (il lavoro, la famiglia, gli amici ecc.). 

Il sentimento dell’angoscia, tuttavia, proprio perché unica dimensione autentica, è talmente forte da riaffiorare in altre forme, per esempio nella paura immotivata che insorge in certe situazioni per qualcosa o qualcuno: la paura non è che angoscia mascherata:

La paura è un’angoscia deietta nel «mondo», inautentica e dissimulata a se stessa come tale.
M. Heidegger, Sein und Zeit
 
La nausea, Sartre


J. P. Sartre, filosofo esistenzialista, saggista e scrittore francese, parte da queste premesse, che tuttavia supera, giungendo al cupo pessimismo del romanzo La nausea (1938.)
 
La trama è piuttosto esile: il romanzo, che utilizza la struttura diaristica, è la storia di Antoine Roquentin, un giovane intellettuale che approda in un’anonima cittadina della Francia perché lì deve condurre ricerche sul marchese di Rollebon, su cui ha in progetto di scrivere un libro.


Roquentin alloggia in una pensioncina, trascorre gran parte del proprio tempo nella biblioteca comunale, frequenta i caffè della zona, incontra quotidianamente soltanto poche persone, gente anonima e grigia: l’Autodidatta, un lettore onnivoro che trascorre molto tempo in biblioteca e si istruisce letteralmente dall’A alla Z, nel senso che nelle sue letture procede secondo un ordine alfabetico; la cassiera del caffè, gentile e sorridente, occasionali avventori del locale.


La vita del protagonista sembra scorrere tranquilla, seppur monotona, fino a quando una strana sensazione di angoscia (Nausea) s’impadronisce di lui. Roquentin comincia a non riconoscersi più, fatica a scrivere, tutto gli pesa come mai prima. Un disgusto del tutto nuovo lo assale: per se stesso, per gli altri, persino per banali oggetti come un pezzo di carta, un sasso:

È sorta in me come una malattia, non come una certezza ordinaria, non come un‘evidenza. S’è insinuata subdolamente, a poco a poco; mi son sentito un po‘ strano, un po‘ impacciato, ecco tutto. Una volta installata non s‘è più mossa, è rimasta cheta, ed io ho potuto persuadermi che non avevo nulla, ch‘era un falso allarme. Ma ecco che ora si espande….Ora me ne accorgo, mi ricordo meglio ciò che ho provato l‘altro giorno, quando tenevo quel ciottolo. Era una specie di nausea dolciastra. Com‘era spiacevole! E proveniva dal ciottolo, ne son sicuro, passava dal ciottolo nelle mie mani. Si, è cosi, proprio cosi, una specie di nausea nulle mie mani. 

Man mano comprende che quella Cosa che l’opprime non è una malattia, è il non riuscire a trovare un senso nell’esistere: non c’è senso nelle banali occupazioni della vita quotidiana, nell’uccisione della bambina -Luciana, violentata dal vecchio depravato- nella malattia della cassiera sempre sorridente; nessun senso neanche nell’umanitarismo dell’Autodidatta, che sostiene di amare tutti, o nel suo enciclopedico sapere.

Roquentin si sente solo e spaesato, ma capisce che non lo è più di quanto non lo siano gli altri; persino quelli che non lo sanno o fingono di non saperlo sono disperatamente soli e spaesati, tutti esseri-gettati nel mondo, ciascuno di fronte a quel nulla che cerca di riempire come può: l’autodidatta leggendo tutto quello che gli capita a tiro e assimilando tutto lo scibile umano, la proprietaria del bar offrendo il proprio corpo agli avventori del locale con la stessa noia con la quale serve da bere,  le vecchie signore portando a spasso il proprio cane. Ciascuno con il proprio nulla e la propria Nausea addosso.


Spesso, per riempire il nulla e non avvertire la Nausea, si sente il bisogno di incontrare gente con cui condividere l’angoscia e sentire di esistere: si lascia momentaneamente la propria tana, la pensioncina in cui s’alloggia, la casa, la famiglia e si va ad incontrare gli amici in un caffè per fare con loro un po’ di rumore:

Restano ancora una ventina di clienti, scapoli, piccoli ingegneri, impiegati. Mangiano in fretta nelle loro pensioni familiari ch‘essi chiamano le loro tane, e poiché hanno bisogno d‘un po‘ di lusso, dopo il pasto vengono qui, a prendere un caffè e a giocare a poker coi dadi; fanno un po‘ di rumore, un rumore inconsistente che non mi disturba. Anche loro, per esistere, han bisogno di riunirsi.
Il tempo stesso è un nulla privo di senso, uno scivolare di istanti, giorni e anni in cui manca un inizio e una fine, tutto ciò che accade è banalmente vuoto di significato:

Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, ecco tutto. Non vi è mai un inìzio. I giorni si aggiungono ai giorni, senza capo né coda….. Di tanto in tanto si fa un totale parziale: si dice: ecco, sono tre anni che viaggio, tre anni che sono a Bouville……. La durata d‘un lampo. Poi la sfilata ricomincia, ci si rimette a fare l‘addizione delle ore e dei giorni. Lunedi, martedì, mercoledì. Aprile, maggio, giugno. 1924, 1925, 1926
Nel suo scorrere inesorabile e banale il tempo divora tuttopersino i ricordi che, affievolendo, riducono il passato in carcassa senza vita:

La vera natura del presente sì svelava: era ciò che esiste, e tutto quel che non avevo presente, non esisteva. Il passato non esisteva. Affatto. Né nelle cose e nemmeno nel mio pensiero….ho un bello sfogliare il passato, non ne ricavo altro che briciole d‘immagini e non so bene che cosa rappresentano, né se sono ricordi o finzioni. D‘altra parte, in molti altri casi sono sparite anche le briciole….

L’esistenza è un opprimente nulla e la realtà non cela alcun significato, è solo quella che appare.

Adesso lo sapevo: le cose sono soltanto ciò che paiono — e dietro dì esse… non c‘è nulla...

E in questo enorme, opprimente Nulla, Roquentin, in generale l’uomo, esiste come esiste un oggetto, esiste e basta...