Utopia (dal greco ou topos: non-luogo) e distopia (dys topos: cattivo luogo) sono due modi -diversi- di immaginare il mondo/il futuro: la prima è il vagheggiamento di una società fondata su giustizia, uguaglianza e pace, un mondo in cui il Bene abbia sconfitto il Male; l’altra è al contrario la prefigurazione di una società ingiusta, corrotta, oppressiva o per qualche motivo sull’orlo della catastrofe.
Sia pure tra loro così distanti, utopia e
distopia nascono sullo stesso terreno di critica al presente: l’insoddisfazione
per il mondo così com’è nutre il sogno utopico di un mondo migliore; la
preoccupazione per ciò che il presente lascia presagire per certe sue
caratteristiche negative alimenta l’ansia distopica su un futuro di degradazione
(morale, sociale, politica, ambientale ecc).
L’Utopia di Tommaso Moro
L’utopia ha origini antiche: ve n’è
traccia nella Repubblica, quello tra i Dialoghi di Platone in cui il filosofo
greco nel IV sec a. C. immaginò lo Stato perfetto.
Tra la fine XV e la prima metà del XVI secolo, dunque nel periodo
dell’Umanesimo-Rinascimento, l’utopia comincia a configurarsi come genere letterario
a sé.
Tra le opere più rappresentative
dell’utopismo cinquecentesco vi è l’Utopia (1516) di Tommaso Moro (1478-1535).
Il protagonista
della storia è Raffaele Itlodeo: dopo aver a lungo
viaggiato al seguito di Amerigo Vespucci, volendo conoscere il mondo Raffaele prosegue
da solo verso altre mete.
Approda presso
l’isola di Utopia, con capitale la città di Amauroto.
L'isola
non è sempre stata circondata dal mare: Utopo, che essendone il conquistatore
le ha dato il proprio nome (prima veniva chiamata Abraxa) volle separarla dal
continente, al quale era unita da un braccio di terra largo quindici miglia.
Realizzò il suo proposito scavando il braccio di terra in modo che il Paese
fosse circondato da ogni parte dal mare. (cfr)
Tutte le
città di Utopia sono circondate da mura alte e massicce, le strade sono ampie e
comode. Le case, tutte belle, hanno due ingressi: uno s'affaccia sulla strada,
l’altro dà sul giardino. Entrambi gli ingressi sono accessibili a chiunque: non
esistendo la proprietà privata e poiché tutti hanno tutto il necessario, le porte
si aprono esercitando su di esse una leggera pressione e chiunque è libero di
entrare.
Tutti gli
anni, ogni città di Utopia elegge dieci filarchi: essi hanno il compito di governare la
città e sono subordinati all’autorità di un magistrato supremo, il
protofilarca.
Utopia
vive di agricoltura, arte che conoscono tutti- uomini e donne-, apprendendone
le basi a scuola ed in parte esercitandola quasi per gioco nelle campagne
vicine. Tutto ciò che di necessario non possono produrre da sé, gli Utopiani
lo importano da altre città che in cambio non pretendono nulla.
Oltre a
praticare l’agricoltura, ognuno si specializza in una attività particolare: qualcuno
lavora la lana, qualcun altro diventa muratore, altri ancora fabbro o
falegname. Ogni famiglia si fabbrica da sé gli abiti, che sono uguali per tutti
in tutto il Paese salvo che per alcune differenze tra abiti maschili e
femminili.
Tutti svolgono
il proprio lavoro con grande impegno, pur senza ammazzarsi di fatica
lavorando come bestie dall'alba al tramonto, perché una condizione simile è peggiore
della schiavitù (cfr), come effettivamente lo è la condizione che accomuna operai e
artigiani in ogni Paese europeo. Gli Utopiani dunque dedicano al lavoro solo poche
ore al giorno, riservando la rimanente parte del tempo al gioco e alle lettere.
Tuttavia, gli Utopiani producono tutto il necessario perché, diversamente da
quel che accade in Europa, dove i ricchi oziano, e allo stesso modo ozia quel branco
di fannulloni e spadaccini senza mestiere che li serve (cfr) ad
Utopia tutti lavorano producendo il necessario, nessuno spreca il proprio tempo.
In tutto
ciò che fanno, e in special modo nei rapporti sociali, gli Utopiani sono guidati
da saggezza, benevolenza e pietà: si prendono cura dei malati accogliendoli in ospedali
grandi ed efficienti perché in possesso d'ogni mezzo per combattere le
malattie, forniti dei migliori dottori e dei più zelanti infermieri
Quando un
malato risultasse incurabile, ma anche oppresso da continue sofferenze, i
sacerdoti e i magistrati lo esortano – ma certo non lo obbligano- affinché si
liberi da quella vita piena di tormenti oppure, se da solo non è in grado
di farlo, lasci che qualcuno provveda per lui e gli procuri una dolce morte
facendolo addormentare per sempre (!)
Pietà e
benevolenza sono alla base del sistema giudiziario, che presso gli Utopiani
esclude la pena di morte, ritenuta ingiusta e contro natura: i crimini più
gravi sono puniti con la schiavitù.
Ad Utopia non
si comprende come gli uomini possano attribuire immenso valore all’oro, semplice
metallo che, se posseduto in gran quantità, si crede possa rendere rispettabile
anche l’imbecille con la testa di legno; altrettanto strano è per gli Utopiani che
gli uomini apprezzino il luccichio delle pietre preziose più di quello delle
stelle.
[…] ritengo impossibile ben governare e far fiorire una repubblica laddove esiste la proprietà privata e tutto si misura sulla ricchezza.
[…] di certo vivere nel lusso e fra i piaceri, mentre tutti gli altri intorno gemono e si lamentano, s'addice al custode d'un carcere, non a quello d'uno Stato...
Tommaso Moro, Utopia, Thomas More saluta Pieter Gilles, parte I