Il relativismo religioso aperto dalla Riforma protestante; l’ampliamento degli orizzonti -e non solo geografici- legato alla scoperta del Nuovo mondo, poi ai viaggi di esplorazione in territori sconosciuti tra popoli e costumi altri; il definitivo tramonto delle due grandi istituzioni universalistiche -Papato e Impero-: tutto ciò rappresenta una minima parte dei rivolgimenti che nella seconda metà del XVI secolo seminano incertezza/inquietudine e di fatto segnano la fine del Rinascimento. Le prospettive mutano, ciò che sembrava assodato non è più certo: alla rinascimentale esaltazione dell’uomo artefice della propria vita, sicuro padrone del mondo e di se stesso, si oppone l’idea della sua fragilità perché esposto ai colpi della Fortuna; all’ottimistica fiducia nella conoscenza come strumento di dominio sulla Natura e guida nella vita, si sostituisce la consapevolezza che la Ragione non basta a fornire spiegazione del reale, tanto meno ne assicura il controllo.
Testimone
e insieme interprete di questa crisi, la filosofia di M. Montaigne: una visione
del mondo e dell’uomo improntata ad uno scetticismo che fa tabula rasa di ogni
certezza.
Michel
de Montaigne
Nato
nel 1533 nei pressi di Bordeaux dove rimane fino alla morte avvenuta nel 1592,
Montaigne affida il suo pensiero ai Saggi, pubblicato a più riprese con
aggiunte e modifiche fino alla quarta e ultima edizione nel 1588.
L’opera
è una riflessione dell’uomo Montaigne su stesso, tant’è che nella presentazione
della prima edizione Montaigne così avverte il lettore:
Questo,
lettore, è un libro sincero. Ti avverte fin dall’inizio che non mi sono
proposto, con esso, alcun fine, se non domestico e privato. Non ho tenuto in
alcuna considerazione né il tuo vantaggio, né la mia gloria (cfr).
Questo,
lettore, è un libro sincero. Ti avverte fin dall’inizio che non mi sono
proposto, con esso, alcun fine, se non domestico e privato. Non ho tenuto in
alcuna considerazione né il tuo vantaggio, né la mia gloria (cfr).
In realtà, attraverso il racconto di sé come singolo individuo, Montaigne racconta la natura umana in tutti i suoi limiti.
Gli uomini (dice un’antica sentenza greca) sono tormentati dalle opinioni che hanno delle cose, non dalle cose stesse….Se l’essenza originaria di quelle cose di cui abbiamo timore avesse potere di allogarsi in noi di sua propria autorità, si allogherebbe uguale e identica in tutti. Di fatto gli uomini sono tutti d’una specie e, salvo il più e il meno, sono forniti di uguali utensili e strumenti per intendere e giudicare. Ma la diversità delle opinioni che abbiamo di tali cose mostra chiaramente che esse entrano in noi solo contemperandosi. Un tale per avventura le alberga in sé nella loro vera essenza, ma mille altri danno loro un’essenza nuova e contraria accogliendole in sé. Noi consideriamo la morte, la povertà e il dolore come nostri principali avversari. Ora, quella morte che gli uni chiamano la più orribile fra le cose orribili, chi non sa che altri la chiamano l’unico rifugio dai tormenti di questa vita, il bene supremo della natura, il solo sostegno della nostra libertà, e comune e pronto rimedio a tutti i mali?... … Quante persone del popolo, condotte a morte, e non a una morte semplice, ma mista a vergogna e talvolta a gravi tormenti, vediamo comportarsi con tale fermezza, chi per ostinazione, chi per naturale semplicità, che non si scorge nulla di mutato nel loro contegno abituale: e regolano i loro affari domestici, e si raccomandano ai loro amici, e cantano e arringano e intrattengono la gente, qualche volta intercalando addirittura delle parole scherzose, e bevendo alla salute dei loro conoscenti, proprio come Socrate. Uno che veniva condotto alla forca chiese di non passare da quella tale strada perché c’era pericolo che un mercante lo facesse prendere per il collo a causa di un vecchio debito. Un altro disse al boia di non toccargli la gola per non farlo saltare dal ridere, tanto soffriva il solletico. …..M. De Montaigne, Saggi, libro I, cap. XIV