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G. Parini. Il Giorno: un Illuminismo moderato.


 

L'autore


Nato nel 1729 a Bosisio in Brianza da una famiglia modesta, Parini studiò a Milano dove fu ospite di una vecchia zia, che prima di morire gli promise una cospicua eredità a patto che si facesse sacerdote. Così, pur senza vocazione, Parini fu ordinato sacerdote nel 1754 e poté proseguire gli studi.


In questi anni scrisse le sue prime opere e venne ammesso all’Accademia dei Trasformati, importante centro culturale ad orientamento illuministico moderato.
Assunto come precettore presso la nobile famiglia Serbelloni, trovò lì l’ambiente ideale in cui osservare quel mondo aristocratico ozioso e improduttivo, spesso corrotto, che più tardi descriverà con ironia nella sua opera più famosa: il Giorno.


Nel 1762, licenziatosi da casa Serbelloni in seguito ad uno screzio, ottenne la cattedra di “belle lettere” presso le Scuole palatine istituite dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria.


Nel frattempo guardava con favore alla Rivoluzione francese, nella quale coglieva l’affermazione dei principi di uguaglianza e di libertà, salvo prenderne le distanze a partire dagli anni della dittatura di Robespierre e del Terrore. 
Morì nel 1799.

 
Sostenitore dei principi di libertà e uguaglianza, fortemente critico nei confronti della nobiltà e dei suoi privilegi, Parini deve essere a buon diritto considerato un illuminista, sia pure di un illuminismo moderato, lontano dal radicalismo degli illuministi francesi o dei fratelli Verri in Italia, dei quali non condivideva le posizioni antireligiose e/o l’ateismo e tanto meno l’ideologia politica rivoluzionaria.



Il Giorno


L’opera, poemetto didascalico-satirico in endecasillabi sciolti, nel progetto originario avrebbe dovuto articolarsi in tre parti: il Mattino e il Mezzogiorno, che vennero pubblicati a partire dal 1763 e la Sera, che poi fu divisa nelle due sezioni del Vespro e della Notte.


L’opera è il racconto della giornata tipo -dal mattino fino a tarda notte- di un giovane aristocratico. La voce narrante è quella del suo precettore.


William Hogarth, La carriera di un libertino

Nel Mattino, il giovin signore è descritto mentre all’alba s’appresta ad andare a letto dopo una notte trascorsa a teatro o in altre dilettevoli occupazioni.


Al risveglio ormai a mattina inoltrata, quando il buon villano (il laborioso contadino) ha sulle spalle già numerose ore di lavoro, il giovane aristocratico deve decidere cosa mangiare per colazione, una scelta estenuante e faticosa tra caffè o cioccolato:

Ma già il ben pettinato entrar di nuovo
Tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede
Quale oggi piú delle bevande usate
Sorbir ti piaccia in preziosa tazza:
Indiche merci son tazze e bevande;
Scegli qual più desii. S’oggi ti giova
Porger dolci allo stomaco fomenti,
Sí che con legge il natural calore
V’arda temprato, e al digerir ti vaglia,
Scegli il brun cioccolatte, onde tributo
Ti dà il Guatimalese e il Caribbèo
C’ha di barbare penne avvolto il crine:
Ma se noiosa ipocondria t’opprime,
O troppo intorno a le vezzose membra
Adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
La nettarea bevanda, ove abbronzato
Fuma et arde il legume a te d’Aleppo
Giunto, e da Moca, che di mille navi
Popolata mai sempre insuperbisce.
Parini, il Mattino


Il precettore gli facilita la scelta: cioccolata nel caso il giovin signore senta necessità di qualcosa di dolce che lo aiuti a digerire, caffè per superare la malinconia (Ipocondria).
 
Dopo la colazione, è il momento della toletta, quindi il giovin signore è pronto per andare dalla sua dama: sua, si fa per dire; in realtà trattasi della moglie di un altro che, secondo l’usanza del cicisbeismo settecentesco, il Nostro può frequentare senza destar alcuno scandalo, mentre, in una sorta di effetto domino, il di lei marito fa altrettanto con la moglie di un altro.


Nel Mezzogiorno il giovin signore è a pranzo con la dama e altri convitati, tra i quali c’è il vegetariano per moda, quello che non mangia carne per pietà verso gli animali, ma non esita a prendere a calci nel sedere il proprio servo alla minima manchevolezza.


L’episodio della Vergine cuccia è illuminante a tale proposito: la dama ricorda l’infausto giorno in cui la sua cagnetta morse il piede del servo e lui la scacciò con una pedata sacrilega:
Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi, i gemiti alzando: Aita, aita,
parea dicesse…
….
L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udí la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d’arcani ufici; in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne,
dell’assisa spogliato ond’era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
signor sperò; che le pietose dame
inorridirò, e del misfatto atroce
odiar l’ autore. Il misero si giacque,
con la squallida prole e con la nuda
consorte a lato su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu, vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba. 
Parini, Mezzogiorno


Attraverso la voce narrante del precettore, Parini sbeffeggia la nobiltà del tempo e ne rappresenta vizi e frivolezze. La condanna, tuttavia, non è esplicita, ma filtrata attraverso l’ironia, figura retorica che consiste nell’affermare l’opposto di ciò che in realtà si intende dire.


Parini/il precettore finge ammirazione per il giovin signore e mostra di volerne celebrare le imprese: lo ritrae mentre affaticato per la notte trascorsa al tavolo da gioco rientra all’alba, mentre è dilaniato dal dubbio se scegliere tra la cioccolata e il caffè, lo paragona ad una divinità quando nella notte sfreccia con la carrozza come Plutone sul suo carro.

Il racconto della vergine cuccia è amaramente ironico: la cagnetta è una creatura quasi divina, un suo morso quasi un privilegio per chi lo subisce, il calcio sferrato dal servo un gesto sacrilego che va punito con il licenziamento, non importa se l’empio servo dovrà vivere di elemosina.

La solidarietà di Parini, convinto difensore della dignità di ogni persona, è qui tutta per il servo.


Un Illuminismo moderato


Parini tuttavia fu illuminista con moderazione: inorridiva all’idea di possibili sovvertimenti dell’ordine costituito; nonostante la pungente ironia di cui fece oggetto la nobiltà nella sua opera, non giunse mai fino a negarne il ruolo né a pensarne l’abolizionesemmai ne auspicava un rinnovamento morale che le permettesse di recuperare l’originaria funzione. E a questo scopo scrisse il Giorno.

 
Strana posizione quella di Parini; riuscì ad essere illuminista e al contempo conservatore, una bella contraddizione…