A ripercorrere la storia della nostra letteratura, ci si imbatte in una folla di eroi, cavalieri senza macchia, aristocratici più o meno malinconici, dame capricciose e irraggiungibili; attorno a loro, in ruolo marginale e subalterno, servi, cocchieri, cuochi, lavandaie: una moltitudine di gente che lavora, accudisce, serve ma non ha voce.
Il Romanticismo cambia le cose e gli invisibili (la gente comune) irrompono sulla scena come protagonisti: Manzoni abilita al ruolo di personaggi
principali i due filatori di seta Renzo e Lucia, mentre la poesia dialettale
del romano Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863) -e con lui il milanese Carlo
Porta- accoglie un mondo variopinto, un po’ scurrile e irriverente di fabbri,
ciabattini o becchini che guardano il mondo, lo raccontano e lo
giudicano dal basso.
G.G. Belli, i Sonetti
Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma...Non casta, non pia talvolta...ma il popolo è questo, e io lo ricopio, non per proporre un modello, ma sì per dare un'immagine fedele di cosa già esistente e, più, abbandonata senza miglioramento
G.G. Belli, Sonetti, Introduzione
La plebe romana, un po' triviale e certo non casta, è protagonista assoluta degli oltre 2000 sonetti che Belli compose non già per portarla a modello, ma per far luce sulla sua esistenza marginale di miseria, ignoranza e insieme di istintiva saggezza.
Le cappelle papale
La
cappella papale ch’è ssuccessa
Domenica
passata a la Sistina,
Pe’
tutta la quaresima è ll’istessa
Com’è
stata domenic’a mmatina.
Sempre
er Papa viè ffora in portantina:
Sempre
quarche Eminenza canta messa;
E cquello che ppiù a ttutti j’interressa
Sc’è ssempre la su’ predica
latina.
Li
Cardinali sce stanno ariccorti
Cor
barbozzo inchiodato sur breviario
Com’e
ttanti cadaveri de morti.
E
nun ve danno ppiù sseggno de vita
Sin
che nun je s’accosta er caudatario
A
ddijje: “Eminentissimo, è ffinita.„
Un
popolano assiste alla funzione celebrata nella cappella Sistina alla presenza
del Papa e dei cardinali, il rito si svolge come di consueto: il papa esce in
portantina, un cardinale canta messa, un altro fa la predica in latino,
quelli di loro che sono intorno hanno il mento appoggiato sul breviario,
mummificati nella noia. La funzione si trascina stancamente fino alla fine,
quando il cerimoniere annuncia che la messa è ffinita, scuotendo tutti dal torpore.
Domenica passata a la Sistina,
Pe’ tutta la quaresima è ll’istessa
Com’è stata domenic’a mmatina.
Sempre quarche Eminenza canta messa;
E cquello che ppiù a ttutti j’interressa
Sc’è ssempre la su’ predica latina.
Cor barbozzo inchiodato sur breviario
Com’e ttanti cadaveri de morti.
Sin che nun je s’accosta er caudatario
A ddijje: “Eminentissimo, è ffinita.„
Nel sonetto Belli lascia parlare un plebeo romano; attraverso il suo sguardo disincantato la realtà è vista dal basso: la stanca ripetitività di una funzione religiosa (Sempre er Papa... Sempre quarche Eminenza) identica a se stessa domenica dopo domenica, la fissità dei cardinali annoiati, il formalismo del rito in una preghiera in latino che non interessa a nessuno (concetto espresso ironicamente con E cquello che ppiù a ttutti j’interressa…la su’ predica latina); tutto contribuisce a rendere la distanza tra il mondo della chiesa, irrigidito come un cadavere nella ripetitività del rito religioso e la realtà istintiva della plebe.
La
plebe di Belli guarda alla morte con lo stesso disincanto e la stessa
semplicità con cui osserva il mondo:
Er
giorno der giudizzio
Cuattro
angioloni co’ le tromme in bocca
Se
metteranno uno pe’ cantone
A
ssonà: poi co’ ttanto de voscione
Cominceranno
a ddì: ffora a cchi ttocca.
Allora
vierà ssù una filastrocca
De
schertri da la terra a ppecorone,
Pe’
rripijjà ffigura de perzone,
Come
purcini attorno de la bbiocca.
E
sta bbiocca sarà ddio bbenedetto,
Che
ne farà du’ parte, bbianca, e nnera:
Una
pe’ annà in cantina, una sur tetto.
All’urtimo
usscirà ’na sonajjera
D’Angioli,
e, ccome si ss’annassi a lletto,
Smorzeranno
li lumi, e bbona sera.
L’immaginazione
di un plebeo prefigura il giorno del giudizio: degli angioloni lo
annunceranno solennemente a suon di tromba, gli scheletri usciranno carponi (a ppecorone) dalla
terra, i morti faranno corona intorno a Dio come i pulcini intorno alla
chioccia e ciascuno sarà assegnato al paradiso (tetto) o all’inferno (cantina).
Se metteranno uno pe’ cantone
A ssonà: poi co’ ttanto de voscione
Cominceranno a ddì: ffora a cchi ttocca.
De schertri da la terra a ppecorone,
Pe’ rripijjà ffigura de perzone,
Come purcini attorno de la bbiocca.
Che ne farà du’ parte, bbianca, e nnera:
Una pe’ annà in cantina, una sur tetto.
D’Angioli, e, ccome si ss’annassi a lletto,
Smorzeranno li lumi, e bbona sera.
Il sonetto si chiude con la semplicità popolaresca di un’immagine di carattere quotidiano: giungerà infine una schiera di angeli che spegnerà la luce come quando si va a letto (ccome si ss’annassi a lletto), il sipario della vita si chiuderà per sempre…e tanti saluti! (bbona sera). Una conclusione di rassegnata popolana saggezza di fronte all’ineludibile; la stessa cui giunge il caffettiere filosofo, che nell'omonimo sonetto riflette sulla vita e sulla morte: gli uomini lottano tutta la vita per evitare di soccombere alla sorte, per poi finire inevitabilmente ne la gola della morte proprio come i chicchi di caffè nel macinino convergono tutti alla lama in ferro che uno dopo l’altro li polverizza (li sfraggne in poverino).
La prospettiva dal basso
In una sorta di rivoluzione copernicana che rovescia le prospettive, Belli racconta la vita, la morte e il potere attraverso il punto di vista della plebe romana della decadente Roma dei Papi del XIX secolo: ignorante, triviale, dissacrante, non pio, ma pragmaticamente saggio, il popolo di Belli è ignorato dai potenti -il governo della Chiesa- abbandonato alla propria miseria senza miglioramento (1); avvezzo all'ubbidienza e alla rassegnazione, accetta la vita com'è, perché “l’ommini accusì viveno ar monno / Misticati pe mano de la sorte/ Che sse li gira tutti in tonno in tonno” (2).
Per questo la plebe di Belli non è dissimile da tutte le altre plebi di ogni luogo, mondo parallelo e altro di sguatteri, artigiani o contadini che lavora, patisce sofferenze, subisce il potere, ma istintivamente coglie il senso della vita: gente senza voce -nella letteratura come nella Storia- che il Romanticismo ha il merito di aver reso visibile.