Il tempo oggettivo nel romanzo dell'800
Il romanzo realistico dell’Ottocento è attraversato dall’idea che nel reale vi sia un ordine logico e cronologico: ciò che accade-quindi la storia narrata- non solo è spiegabile logicamente alla luce di leggi universali (si tratti della "lotta per la sopravvivenza" di Verga o della Provvidenza manzoniana) ma ha anche un intrinseco ordine cronologico. Gli eventi narrati risultano concatenati da nessi causali e si svolgono lungo la linea del tempo oggettivo, in cui c’è un prima un dopo, in un succedersi di istanti, ore e giorni che esiste al di fuori e indipendentemente dal soggetto e che conferisce ordine e senso.
Il tempo soggettivo nel romanzo del 900
Il romanzo dei primi decenni del 900, accogliendo le istanze e le sollecitazioni della psicanalisi, ma in generale di tutte quelle nuove teorie che avevano scomposto la compattezza del reale e scardinato certezze ritenute assolute, non solo rifiuta l’idea di un ordine nel reale, così precario e caotico, ma giunge a negare l’esistenza di una realtà oggettiva di fuori del soggetto che la interpreta (si veda Uno, nessuno e centomila di L. Pirandello). La stessa idea di "tempo oggettivo", realtà quantificabile esistente fuori, perde consistenza a vantaggio di un "tempo soggettivo", quel tempo della coscienza che riempie le pagine de La coscienza di Zeno.
Era stato il filosofo francese Henry Bergson (1859-1941) a rivoluzionare il concetto di tempo ed è a lui che Svevo e altri devono il concetto di tempo come durata interiore.
La nostra durata non è la
sostituzione d’un istante da parte di un altro istante: in tal caso non
esisterebbe altro che il presente, né il passato si prolungherebbe nel
presente, né vi sarebbe evoluzione è durata concreta. La durata è il progresso continuo
del passato che erode l’avvenire e che s’accresce a mano a mano che avanza. E
poiché s’accresce perennemente, il passato si conserva anche infinitamente.
La memoria non è una facoltà di classificare i ricordi in un cassetto…In realtà
il passato si conserva da sé…ciò che abbiamo pensato, sentito, voluto, sin
dalla nostra prima infanzia è là, chino su quel presente che si congiungerà a
lui….alla porta della coscienza che vorrebbe lasciarlo fuori. Il meccanismo
cerebrale è fatto apposta per ricacciarne la maggior parte nell’incosciente, e
per non introdurre nella coscienza se non ciò che per natura è atto a gettar
luce sulla situazione presente…..Tutt’al più arriva qualche ricordo superfluo
che passa di contrabbando per la porta socchiusa….il passato resta in noi
presente. Che cosa siamo noi, infatti, che cos’è il nostro carattere se non la
sintesi della storia che abbiamo vissuto……?....di fatto desideriamo, vogliamo,
agiamo sotto l’influsso di tutto il nostro passato…
La nostra durata non è la
sostituzione d’un istante da parte di un altro istante: in tal caso non
esisterebbe altro che il presente, né il passato si prolungherebbe nel
presente, né vi sarebbe evoluzione è durata concreta. La durata è il progresso continuo
del passato che erode l’avvenire e che s’accresce a mano a mano che avanza. E
poiché s’accresce perennemente, il passato si conserva anche infinitamente.
La memoria non è una facoltà di classificare i ricordi in un cassetto…In realtà
il passato si conserva da sé…ciò che abbiamo pensato, sentito, voluto, sin
dalla nostra prima infanzia è là, chino su quel presente che si congiungerà a
lui….alla porta della coscienza che vorrebbe lasciarlo fuori. Il meccanismo
cerebrale è fatto apposta per ricacciarne la maggior parte nell’incosciente, e
per non introdurre nella coscienza se non ciò che per natura è atto a gettar
luce sulla situazione presente…..Tutt’al più arriva qualche ricordo superfluo
che passa di contrabbando per la porta socchiusa….il passato resta in noi
presente. Che cosa siamo noi, infatti, che cos’è il nostro carattere se non la
sintesi della storia che abbiamo vissuto……?....di fatto desideriamo, vogliamo,
agiamo sotto l’influsso di tutto il nostro passato…
La nostra durata non è la
sostituzione d’un istante da parte di un altro istante: in tal caso non
esisterebbe altro che il presente, né il passato si prolungherebbe nel
presente, né vi sarebbe evoluzione è durata concreta. La durata è il progresso continuo
del passato che erode l’avvenire e che s’accresce a mano a mano che avanza. E
poiché s’accresce perennemente, il passato si conserva anche infinitamente.
La memoria non è una facoltà di classificare i ricordi in un cassetto…In realtà
il passato si conserva da sé…ciò che abbiamo pensato, sentito, voluto, sin
dalla nostra prima infanzia è là, chino su quel presente che si congiungerà a
lui….alla porta della coscienza che vorrebbe lasciarlo fuori. Il meccanismo
cerebrale è fatto apposta per ricacciarne la maggior parte nell’incosciente, e
per non introdurre nella coscienza se non ciò che per natura è atto a gettar
luce sulla situazione presente…..Tutt’al più arriva qualche ricordo superfluo
che passa di contrabbando per la porta socchiusa….il passato resta in noi
presente. Che cosa siamo noi, infatti, che cos’è il nostro carattere se non la
sintesi della storia che abbiamo vissuto……?....di fatto desideriamo, vogliamo,
agiamo sotto l’influsso di tutto il nostro passato…
La nostra durata non è la
sostituzione d’un istante da parte di un altro istante: in tal caso non
esisterebbe altro che il presente, né il passato si prolungherebbe nel
presente, né vi sarebbe evoluzione è durata concreta. La durata è il progresso continuo
del passato che erode l’avvenire e che s’accresce a mano a mano che avanza. E
poiché s’accresce perennemente, il passato si conserva anche infinitamente.
La memoria non è una facoltà di classificare i ricordi in un cassetto…In realtà
il passato si conserva da sé…ciò che abbiamo pensato, sentito, voluto, sin
dalla nostra prima infanzia è là, chino su quel presente che si congiungerà a
lui….alla porta della coscienza che vorrebbe lasciarlo fuori. Il meccanismo
cerebrale è fatto apposta per ricacciarne la maggior parte nell’incosciente, e
per non introdurre nella coscienza se non ciò che per natura è atto a gettar
luce sulla situazione presente…..Tutt’al più arriva qualche ricordo superfluo
che passa di contrabbando per la porta socchiusa….il passato resta in noi
presente. Che cosa siamo noi, infatti, che cos’è il nostro carattere se non la
sintesi della storia che abbiamo vissuto……?....di fatto desideriamo, vogliamo,
agiamo sotto l’influsso di tutto il nostro passato…
H. Bergson,
L’evoluzione creatrice
Il tempo soggettivo, vale a dire il tempo come "durata interiore", non è una successione di istanti, perché nel soggetto passato e presente convivono: ciascun uomo è la somma di passato e presente, tutto ciò che egli fa e pensa adesso-nel presente- è il prodotto del suo vissuto, di tutta la sua storia passata, la storia delle generazioni che lo ho hanno preceduto, nonché di quel pezzo di passato costituito da esperienze-ricordi cancellati dalla coscienza e racchiusi in un angolino dell’inconscio. Il passato sepolto dentro di noi in realtà non è morto e continua a determinarci.
Attraverso la memoria, sia quella consapevole-volontaria che quella involontaria, il passato si attualizza, diventa cioè presente, diventa il nostro adesso, ma al contempo si aggancia all’aspettativa del futuro.
Come sempre, un esempio può aiutarci a chiarire. Si veda la Coscienza di Zeno: nel romanzo la differenza tra passato, presente e futuro viene annullata perché essi coesistono e si mischiano continuamente, originando quel tempo misto di cui parlò lo stesso Svevo. Zeno, all’età di 50 anni circa -l’io narrante di adesso- attraverso le pagine del suo diario racconta e rivive il proprio passato-Zeno giovane, l'io narrato- , lo analizza e lo giudica alla luce del presente ma nel contempo preannuncia eventi futuri- Zeno ormai maturo di quel capitolo finale (Psicoanalisi) in cui tutto ormai gli è chiaro.
Alla ricerca del tempo perduto
