A. Rimbaud, la vita
Refrattario ad ogni regola, nemico di qualunque forma di costrizione nella vita come nell’arte, A. Rimbaud (1854-1891) è forse il più maledetto tra i poeti maledetti.
Come il battello ebbro che nell’omonimo poemetto va alla deriva lasciandosi trasportare dalla corrente, Rimbaud visse al di fuori degli schemi, viaggiò per il mondo da girovago senza meta, talora in compagnia dell’amico Verlaine, con il quale ebbe in verità un rapporto conflittuale: fu in Austria, in Inghilterra, in Africa, In Norvegia, in Italia; nel 1878 s’arruolò nella Legione straniera ma disertò e rientrò in Francia solo pochi anni prima della morte avvenuta nel 1891.
La parola che si fa conoscenza
Prosecutore di Baudelaire, fu un poeta simbolista sui generis: la sua opera in parte incompiuta e frammentaria ci restituisce una poesia che, pur muovendo dalle premesse teoriche del Simbolismo (il rifiuto del razionalismo, la critica all’ipocrisia della morale borghese, l’idea del poeta veggente) approda ad esiti originalissimi per uno stile e l’uso di una parola che per capacità evocativa (parliamo quindi anche dell’uso di figure retoriche come analogia, sinestesia, simbolo) si fa quasi magica, strumento di conoscenza che permette di andare oltre il dato sensibile-fisico (conoscenza metafisica) e svela l’essenza del reale.
Quale sia l’essenza della realtà per Rimbaud -ma in generale per i poeti simbolisti- lo si comprende da uno dei suoi componimenti più noti.
Vocali
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso di mosche
splendenti Che ronzano intorno a crudeli fetori,
Golfi d'ombra; E, candori di vapori e tende,
Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
Nella collera o nelle ubriachezze penitenti;
U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
Pace di pascoli seminati d’animali, pace di rughe
Che l’alchimia imprime nelle
ampie fronti studiose;
O, suprema Tromba piena di strani stridori,
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
– O l’Omega, raggio viola dei suoi Occhi!
(traduzione di Diana Grange Fiori)
A chi di noi non mai è capitato di svegliarsi al mattino e di sorridere ripensando allo strano sogno notturno in cui cose e oggetti si mischiavano confusamente oppure qualcosa si tramutava inspiegabilmente in qualcos’altro?
Esattamente come in un sogno, nel testo di Rimbaud colori, oggetti e situazioni si mescolano in un insieme caotico, dando vita ad un'unica informe realtà; le vocali sono associate a colori senza alcuna ragione logica, ciascun colore rinvia a sua volta ad una cosa: il nero della vocale “A” diventa il corsetto di mosche ronzanti intorno ad un escremento, il bianco della “E” è associato alla purezza del ghiacciaio, il rosso porpora della “I” a sua volta ricorda il sangue e così via… Infine, l’omega chiude l’alfabeto come la morte conclude il ciclo della vita.
Non a caso il testo è ricco di analogie e di sinestesie: figure retoriche che, sia pure attraverso procedimenti diversi, permettono di ottenere lo stesso risultato, vale a dire ampliano l’orizzonte della percezione e della conoscenza in un continuo sconfinamento di qualcosa in qualcos'altro che rivela connessioni tra cose e situazioni apparentemente lontanissime.
Sull’analogia si è già parlato in altro post.
La sinestesia consiste nell’accostamento di percezioni sensoriali diverse:
“A, nero corsetto villoso di mosche splendenti Che ronzano intorno a crudeli fetori”.
Qui la percezione visiva del nero e delle mosche splendenti si fonde con la percezione uditiva del ronzio e infine con la percezione olfattiva dell’odore, in un’esperienza sensoriale a 360 gradi che permette di cogliere la realtà nella sua pienezza multiforme e caotica.
In Rimbaud, dunque (ma
in generale nel Simbolismo) la parola -o un particolare accostamento di
parole- diventa strumento di una conoscenza metafisica, che
superando la semplicità ingannevole del dato fenomenico e
andando oltre ciò che
appare, coglie l'essenza più profonda del reale in una
rete di misteriose connessioni (si veda Corrispondenze di
C. Baudelaire) che lega l'Io e la realtà in un unico
tutto.