Letteratura

L’identità secondo Locke. Saggio sull’intelletto umano



Nel 1689 il filosofo inglese John Locke (1632-1704) scrisse il Saggio sull'intelletto umano.


Il tema dell’identità è affrontato nel libro II, per così dire en passant, nel quadro ben più ampio del discorso sui meccanismi che rendono possibile la conoscenza che, secondo Locke scaturisce sempre dall’esperienza sensibile, vale a dire dalla percezione -necessariamente parziale-, delle caratteristiche esteriori di ciò che è.


Sgombrato dunque il campo dalle cartesiane idee chiare e distinte, smontato il concetto di sostanza, che non esiste se non è dato conoscerla, a partire dal cap. XXVII. del libro II Locke ragiona su cosa sia l’identità.


Il Principium individuationis. 
Quando vediamo qualcosa che sta in un posto in un certo istante del tempo, siamo sicuri (di qualunque cosa si tratti) che è quella cosa stessa, e non un’altra che in quell’istante esista in altro luogo, per simile e indistinguibile che questa possa essere sotto ogni altro rispetto; e in ciò consiste l’identità, quando le idee cui si attribuisce non sono affatto diverse da ciò che erano in quel momento in cui consideravamo la loro esistenza precedente, e con le quali confrontiamo quella presente.
J. Locke, Saggio sull'intelletto umano, Libro II
 

L’identità è nella specificità inconfondibile di una cosa -qualunque essa sia- che ci porta a riconoscerla come quella cosa e non un’altra pur nel variare delle circostanze o dei contesti in cui essa si trovi.
 
Analogamente, se due o più atomi sono congiunti in un’unica massa, secondo la regola appena detta, ciascuno di quegli atomi sarà lo stesso; e finché esistono uniti assieme la massa, che consiste degli stessi atomi, dev’essere la stessa massa, o lo stesso corpo, per quanto le parti possano essere diversamente agglomerate. Ma se si toglie uno di quegli atomi o se ne aggiunge uno nuovo, non è più la stessa massa o lo stesso corpo. Nello stato delle creature viventi, la loro identità non dipende dalla massa delle stesse particelle, ma da qualcosa d’altro. Infatti, in esse la variazione di grandi quantità di materia non altera l’identità: una quercia che cresce da una pianticella fino a diventare un grande albero, e che venga poi potata, è sempre la stessa quercia. E un puledro che diventa un cavallo anche se talvolta è grasso, talvolta è magro, è tuttavia sempre lo stesso cavallo, sebbene in entrambi questi casi possa esserci un cambiamento manifesto delle parti, sicché nessuno dei due è in verità la stessa massa di materia, sebbene la prima sia realmente la stessa quercia e l’altra lo stesso cavallo. La ragione di ciò è che, in entrambi questi casi — per la massa dì materia e per il corpo vivente — l’identità non è applicata alla stessa cosa.

J. Locke, Saggio sull'intelletto umano, Libro II


Posto che tutti gli esistenti -sia gli oggetti inanimati che gli esseri viventi- sono caratterizzati da una particolare organizzazione della materia, per cui un orologio è evidentemente altro da un animale per la materia che lo costituisce, nello stato delle creature viventi, la loro identità non dipende dalla massa delle stesse particelle, ma da qualcosa d’altro: un oggetto la cui massa si modifichi e la materia subisca trasformazioni nel tempo, non è più lo stesso oggetto, mentre negli esseri viventi la variazione della materia non modifica l'identità e un puledro, la cui massa sia cambiata perché crescendo è diventato un grosso cavallo, rimane pur sempre un cavallo, la sua identità cioè non cambia.

 
Questo mostra anche in che cosa consiste l’identità dello stesso uomo: cioè nella partecipazione alla stessa vita continua di particelle sempre fuggevoli di materia, unite allo stesso corpo organizzato in una successione vitale. Chi vorrà situare l’identità dell’uomo in qualunque altra cosa che non sia, come per quella degli animali, in un corpo organizzato in modo idoneo preso in un istante qualsiasi e da lì continuato in una sola organizzazione di vita con varie particelle succedentisi fuggevolmente e unite ad esso, troverà difficile far sì che un embrione, un uomo adulto, un pazzo e un savio, siano lo stesso uomo in base a qualsiasi ipotesi che non renda possibile che Seth, Ismaele, Socrate, Pilato, Sant’Agostino e Cesare Borgia siano lo stesso uomo. Infatti, se l’identità della sola anima fa sì che un uomo sia lo stesso uomo, e se non c’è nulla nella natura della materia per cui lo stesso spirito individuale non possa essere unito a diversi corpi, sarà possibile che quegli uomini, che hanno vissuto in tempi diversi e che avevano temperamenti diversi, fossero lo stesso uomo: un modo di parlare che deve derivare da un uso molto strano della parola uomo, applicata ad un’idea dalla quale sono esclusi il corpo e la forma. E questa maniera di parlare si accorderebbe ancora peggio con le nozioni di quei filosofi che ammettono la trasmigrazione e credono che le anime degli uomini, per i loro cattivi comportamenti, possano essere declassate e occupare corpi di bestie, quale dimora a loro adatta, con organi adatti alla soddisfazione delle loro inclinazioni brutali. Tuttavia non credo che nessuno, anche se potesse essere sicuro che l’anima di Eliogabalo fosse in uno dei suoi maiali, potrebbe tuttavia dire che quel maiale è un uomo oppure Eliogabalo.

J. Locke, Saggio sull'intelletto umano, Libro II

 

Dunque, anche l’uomo come qualunque altro esistente, è in primo luogo materia; la sua specificità è in una particolare organizzazione della materia che, come in tutti gli altri viventi, sopravvive al ricambio delle singole particelle e ce lo fa riconoscere come lo stesso uomo nell’intero arco della sua vita, dalla nascita alla vecchiaia. Chiunque riponesse la sua identità in qualcosa di altro da questa organizzazione di varie particelle succedentisi fuggevolmente, avrà difficoltà a immaginare che l'uomo adulto sia stato embrione; allo stesso modo, chi riconducesse l'identità alla sola anima che, per sua natura libera e diversa dalla materia, può incarnarsi in Socrate come in Seth, in Eliogabalo come in un maiale, finirebbe con l’ammettere che Socrate è Seth ed Eliogabalo è un maiale.

L'anima, dunque, non costituisce identità.



L’identità è nel raziocinio?
 
«Avevo in mente di farmi raccontare, dalla bocca stessa del principe Maurizio, una storia […] a proposito di un vecchio pappagallo che aveva mentre era governatore in Brasile, il quale parlava e faceva domande e rispondeva a domande come una creatura ragionevole […] Egli mi disse che quando era in Brasile aveva sentito parlare di questo vecchio pappagallo […] la sua curiosità era tale che lo mandò a prendere. Disse che era un pappagallo grandissimo e che appena fu portato nella stanza dove si trovava il principe, con molti olandesi intorno a lui, disse subito: Quanti uomini bianchi ci sono qui dentro! Essi gli chiesero che cosa pensasse che fosse quell’uomo, indicando il principe. Rispose: Un generale o qualcosa di simile. Quando lo portarono vicino al principe egli gli chiese: D’où venez-vous? Esso rispose: De Marinnam. Disse il principe: À qui estes-vous? Il pappagallo: A un Portugais. Il principe: Que jais-tu là? Il pappagallo: Je garde les poulles. Il principe rise e disse: l’ous gardez le poulles? Il pappagallo rispose: Oui, moi; et je scai bien faire; e fece quattro o cinque volte il verso per chiamare le galline.
[…] chiedo […] se, qualora questo pappagallo e tutti quelli della sua specie avessero sempre parlato, come ci dice la parola di un principe che faceva quello, se, dico, non sarebbero passati per una razza di animali razionali e se, tuttavia, si sarebbe concesso che fossero uomini e non pappagalli. Infatti suppongo che non sia soltanto l’idea di un essere pensante o razionale che costituisca l’idea di un uomo […]

J. Locke, Saggio sull'intelletto umano, Libro II


L’identità non è nemmeno nell’essere pensante o razionale. 

Se l’identità dell’uomo -e dei singoli uomini- riposasse solo sul raziocinio, allora un pappagallo come quello del principe Maurizio, pappagallo intelligente al punto da essere in grado di far di conto e da riuscire a interloquire coerentemente, non differirebbe dall’uomo; è evidente, invece, che nessuno sano di mente sosterrebbe mai che un pappagallo è un uomo.
 
Posto ciò, per trovare in che cosa consista l’identità personale, dobbiamo considerare per che cosa sta la parola persona; e sta, credo, per un essere pensante intelligente, dotato di ragione e di riflessione, che può considerare se stessa come se stessa, cioè la stessa cosa pensante, in diversi tempi e luoghi, il che accade solamente mediante quella coscienza che è inseparabile dal pensare […] Infatti, poiché la coscienza accompagna sempre il pensare ed è ciò che fa sì che ognuno sia quello che egli chiama io, distinguendo con ciò se stesso da tutti gli altri esseri pensanti, in questo solo consiste l’identità personale, cioè nel fatto che un essere razionale è sempre lo stesso. E fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualsiasi azione o pensiero del passato, fin lì giunge l’identità di quella persona...
[…] Ma ciò che sembra costituire una difficoltà è che quella coscienza viene sempre interrotta dall’oblio e che non c’è nessun momento nella nostra vita in cui abbiamo l’intera successione di tutte le nostre azioni passate davanti agli occhi in una visuale unica, giacché persino la migliore memoria perde di vista una parte mentre ne contempla un’altra...

J. Locke, Saggio sull'intelletto umano, Libro II

 

Ricapitolando



1. L' uomo è fatto di materia come ogni esistente.  In lui la materia è in continua trasformazione -come in qualunque altro essere vivente-, la qual cosa non lo rende di volta in volta altro da sé.

2. l'uomo è materia pensante -e ciò lo rende evidentemente altro da un orologio, da un sasso o da un maiale

3. tuttavia l'uomo è soprattutto un essere consapevole, un essere pensante che sa di pensare.

La riflessione di Locke approda dunque al concetto di identità personale come discrimine tra l'uomo e gli altri esistenti, ma anche tra gli stessi uomini: l’uomo -e i singoli uomini-, è in grado di  percepirsi, ha coscienza di sé, di ciò che fa nel presente e di ciò che ha fatto nel passato; presente a se stesso, l'uomo si avverte mentre pensa, agisce, lavora, cammina...

In altre parole, l'uomo è persona


Chi per qualche motivo non avesse coscienza, rimarrebbe comunque un esistente-uomo, in quanto l'organizzazione della materia rimarrebbe la stessa, -stesso insieme di particelle succedentesi fuggevolmente-, ma smarrirebbe la propria vera identità: se per assurdo la coscienza di Socrate si trasferisse in un maiale, Socrate rimarrebbe l’uomo Socrate in carne e ossa ma perderebbe la propria identità, non sarebbe più la persona Socrate.
 
Tuttavia, nessun uomo è sempre pienamente presente a se stesso, poiché la coscienza viene sempre interrotta dall’oblio e non c’è nessun momento nella nostra vita in cui abbiamo l’intera successione di tutte le nostre azioni passate davanti agli occhi in una visuale unica[…]nel sonno profondo non abbiamo affatto pensieri, o almeno non di quelli coscienti come i nostri pensieri da svegli. Nessuno si percepisce intero.
 

Le implicazioni del discorso sulla coscienza come condizione dell’identità sono evidentemente rilevanti: in primo luogo chi compia azioni criminali in uno stato di grave obnubilamento della coscienza non è da ritenere responsabile (pienamente) delle proprie azioni (incapace di intendere e volere?); in secondo luogo, se l’identità coincide con la coscienza di sé, ne consegue che, variando gli stati di coscienza per i motivi più disparati -la collera a fronte di un torto subito, l’uso di alcol, la delusione frustrante per non aver ottenuto i risultati prefissati ecc- l’identità va in mille pezzi e l’io si frantuma. Insomma, basta davvero pochissimo a renderci irriconoscibili agli altri e a noi stessi.


Locke lo intuisce già nel XVII secolo: l’identità dell’uomo è fragile e complessa, una ma anche contemporaneamente centomila, per dirla con Pirandello…
 
 


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