Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia
L’Elogio della follia (1509) vide la luce in un clima culturale e in un’epoca -a cavallo tra l’Umanesimo e il Rinascimento-, che pur non mettendo in discussione la Fede, recuperava la dimensione terrena della vita e della felicità dell’uomo.
Parla la follia....
Nel saggio, la Follia, di solito schernita e temuta dall’uomo savio, tesse un ironico ed elegante autoelogio alla presenza di un’assemblea di saggi, una sorta di arringa in cui la Follia è insieme l’avvocato difensore e l’imputato.
“Chi meglio di me potrebbe descrivermi? a meno che non si dia il caso che a qualcuno io sia più nota che a me stessa. D'altra parte io trovo questo sistema più modesto, e non di poco, di quello adottato dalla massa dei grandi e dei sapienti; costoro, di solito, per una falsa modestia, subornano qualche retore adulatore, o un poeta dedito al vaniloquio, e lo pagano per sentirlo cantare le proprie lodi, e cioè un sacco di bugie…”(cap.3)
Diversamente da ciò che è solito fare l’ipocrita sapiente, che per falsa modestia incarica un retore adulatore che tessa le sue lodi e lo proponga come modello di virtù, la Follia preferisce adottare il più modesto sistema di difendersi da sé di fronte al tribunale dei suoi detrattori.
“Parla la Follia. Qualsiasi cosa dicano di me i mortali - non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli - tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa affollatissima assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati di non so quale insolita ilarità”. (cap.1)
Nel suo autoelogio, la Follia parte da una constatazione: i savi lì riuniti hanno accolto il suo arrivo con un applauso; divertiti dal suo aspetto bizzarro non hanno trattenuto le risate, i loro volti solitamente accigliati si sono illuminati di una gioia nuova, le loro fronti corrugate si sono distese. La Follia, dunque, è questo innanzitutto, la felicità genuina che riconcilia l’uomo con se stesso e alleggerisce i cuori.
La follia che aiuta la vita...
Nei capitoli successivi e fino alla fine dell’opera, si delinea sempre più nei dettagli il ritratto della Follia.
“E, tanto per cominciare, chi non sa che la prima età dell'uomo è per tutti di gran lunga la più lieta e gradevole? ma che cosa hanno i bambini per indurci a baciarli, ad abbracciarli…? Che cosa, se non la grazia che viene dalla mancanza di senno….? E l'adolescenza che segue l'infanzia, quanto piace a tutti, quale sincero trasporto suscita, quali amorevoli cure riceve.. ….Ma di dove, di grazia, questa benevolenza per la gioventù? di dove, se non da me? È per merito mio che i giovani sono così privi di senno; è per questo che sono sempre di buon umore. Mentirei, tuttavia, se non ammettessi che appena sono un po' cresciuti, e con l'esperienza e l'educazione cominciano ad acquistare una certa maturità, subito sfiorisce la loro bellezza, s'illanguidisce la loro alacrità….Quanto più si allontanano da me, tanto meno vivono, finché non sopraggiunge la gravosa vecchiaia, la molesta vecchiaia, …. Nessuno dei mortali riuscirebbe a sopportarla se, ancora una volta, impietosita da tanto soffrire non venissi in aiuto io…. ” (cap.13)
Follia è la naturalezza del bambino, in cui la mancanza di senno preserva la capacità di ridere e giocare; è la leggerezza dell’adolescente; è infine l'ilarità delirante del vecchio che ha perso la ragione ma che proprio per questo riesce a tollerare la pena della sua condizione. Cosa sarebbe la sua vita se non intervenisse a sorreggerlo la follia ottundendo la ragione e regalandogli una beata incoscienza?
“E perché (io Follia) non dovrei parlarvi più apertamente come sono abituata a fare? Vi chiedo dunque: forse è col capo, col volto, col petto, con la mano, con l’orecchio, con queste parti del corpo ritenute oneste, che si generano gli Dei e gli uomini? Direi proprio di no! Anzi, la propagatrice del genere umano è quella parte del corpo così buffa e ridicola che non si può neanche nominare senza ridere. Questo è in fin dei conti quel sacro fonte donde prendono origine tutte le cose, e non il famoso numero quattro di Pitagora”. (cap.11)
Se la lucida ragione impone il
controllo sulle passioni, la Follia è la passione che si libera in tutta la sua
forza vitale; laddove la ragione nega il piacere o ipocritamente lo
sublima, la Follia lo esalta, perché l’uomo in cui la passione è spenta
non è libero come nell'idea di Seneca e degli stoici, non è un dio,
è un uomo di marmo.
La vita stessa origina dalla
follia, dalla passione che si concretizza nella corporeità dell'atto
sessuale che nulla ha a che vedere con la razionalità (il famoso numero quattro di
Pitagora) ma
con quella parte del corpo -splendida ironia!- ritenuta tanto poco nobile da
risultare innominabile e da far arrossire la Pudicizia.
“Eppure sarebbe ben poco dovermi il seme e la fonte della vita, se non dimostrassi che quanto vi è di buono nella vita è anch’esso un mio dono. E che cos’è poi questa vita? e se le togli il piacere, si può ancora chiamarla vita? Avete applaudito! Lo sapevo bene, io, che nessuno di voi era così saggio, anzi così folle - no, è meglio dire saggio, da non andare d’accordo con me. Del resto neppure questi stoici disprezzano il piacere, anche se dissimulano con cura e se, di fronte alla gente, rovesciano sul piacere ingiurie sanguinose; in realtà solo per distogliere gli altri e goderne di più, loro stessi. Ditemi, per Giove, quale momento della vita non sarebbe triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso, senza il piacere, e cioè senza un pizzico di follia? ” (cap.12)
Follia è dunque il piacere che ciascun uomo ricerca; persino coloro che ipocritamente mostrano di disprezzarlo sanno che solo il piacere rende tollerabile l'esistenza. Una vita in cui non vi fosse spazio per il piacere sarebbe penosa.
L’Elogio della follia è un’opera sorprendente; scritta in un periodo che va liberandosi faticosamente dei retaggi culturali del Medioevo (tant’è che si combattono guerre di religione, si intentano processi dell’Inquisizione, si guarda con sospetto al nuovo che si fa strada) essa è di una modernità straordinaria. Erasmo recupera la dimensione umana e terrena che accomuna tutti, anche i savi chiusi nelle loro vesti pompose come nella pomposa protervia della ragione; smaschera l’ipocrisia; esalta la forza vitale delle passioni; denuncia l’ottusità del conformismo.
Erasmo come Pirandello?
Nessun commento:
Posta un commento