Intorno all’VIII sec.
a.C., il poeta greco Esiodo ne Le opere e i
giornitracciò la storia
dell’umanità a partire da un’immaginaria età dell’oro -epoca in cui gli
uomini sarebbero vissuti in pace, senza angosce e a contatto con una natura
generosa di frutti- fino alla progressiva caduta verso l’età del ferro -l’ultima
in ordine di tempo-caratterizzata dal dolore, dalla violenza e dalla fatica del
lavoro necessario a sopravvivere.
D’oro la prima stirpe
degli uomini nati a morire fecero dunque i Numi
d’Olimpo che vivono eterni. Vissero sotto Crono,
che era sovrano del cielo: vivean di Numi al
pari, con l’animo senza cordoglio, senza fatica, senza
dolor; né su loro incombeva la sconsolata
vecchiaia; ma forti di piedi e di mani, scevri di tutti i
mali, passavano il tempo in conviti, morian come irretiti
dal sonno. E ogni sorta di beni era fra loro: la
terra datrice di spelta, i suoi frutti, da sé, facili e in
copia, porgeva; e benevoli e miti, l’opere tutte fra sé
ripartivano e i beni opulenti, ricchi com’eran di
greggi, diletti ai beati Celesti. ………………… Deh, fra la quinta
stirpe non fossi mai nato, ma prima io fossi morto,
oppure piú tardi venuto alla luce! Poiché di ferro è
questa progenie. Né tregua un sol giorno avrà mai dal
travaglio, dal pianto, dall’esser distrutta e giorno e notte; e
pene crudeli gli Dei ci daranno.
Esiodo, Le età del
mondo da Le opere e i giorni
L’idea di un’età
dell’oro/stato di natura non solo influì su tutta la
cultura classica, ma sopravvisse molto a lungo nel tempo, finendo per insinuarsi
nelle opere e nel pensiero di autori e filosofi persino in tempi- e in contesti
culturali- non sospetti.
È il caso del filosofo
e scrittore ginevrino J.J. Rousseau, l’unica voce discordante nel coro di
intellettuali illuministi (Diderot, Condorcet, Voltaire D’Alembert
solo per citarne alcuni) entusiasticamente convinti che la dea Ragione/Scienza
potesse garantire un progresso inarrestabile e condurre l’umanità verso un’era
di felicità e libertà, garantendo avanzamento in ogni ambito.
Rousseau, un illuminista
controcorrente
Mentre i philosophes inneggiavano
al progresso e procedevano alla sistematizzazione dello scibile umano nell'Encyclopédie,Rousseau scrisse Il Discorso sulle
scienze e sulle arti (1750), una breve
opera composta in occasione del concorso bandito dall'Accademia di Digione sul tema:
«Se il risanamento delle scienze e delle arti abbia contribuito a purificare o
a corrompere i costumi.»
Del tutto
controcorrente, nel suo Discorso Rousseau sostenne la tesi che il
progresso culturale (della scienza e delle arti) potesse nuocere all’uomo.
Mentre il governo
e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini consociati, le
scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono
ghirlande di fiori sulle catene di ferro ond’essi son carichi, soffocano in
loro il sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati,
fan loro amare la loro schiavitù e ne formano i così detti “popoli civili”. Il bisogno inalzò i
troni..le scienze e le arti li hanno rafforzati….
Secondo Rousseau,
il progresso culturale non coincide con il progresso etico, né assicura la
libertà, al contrario, poichéle arti e le scienze sono asservite ai potenti e ne legittimano il potere nascondendone le catene con ghirlande difiori, esse corrompono i costumi,
privano i popoli e gli individui della loro libertà originaria per
addomesticarli (“popoli cosiddetti civili”) e renderli pavidi schiavi.
La negazione dell'idea di progresso come avanzamento necessario e lineare è ancor più evidente nel Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli
uomini, l'opera forse più nota di Rousseau.
Il primo che, avendo cintato un
terreno, pensò di dire: “Questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide
da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante
guerre, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al
genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai
suoi simili: “Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate
che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti!” Ma c’è
molto motivo di credere che allora le cose fossero già giunte a un punto tale
da non poter continuare così com’erano; perché questa idea di proprietà
dipendente da molte idee che si sono potute formare solo successivamente, non
nacque improvvisamente nello spirito umano [...] Finché gli uomini si
accontentarono delle loro rustiche capanne, finché si limitarono a cucire i
loro abiti di pelle con spine o reste, ad adornarsi di piume o conchiglie, a
dipingersi il corpo con diversi colori, a perfezionare ed abbellire i loro
archi e le loro frecce, a tagliare con pietre affilate qualche canotto da
pescatore o qualche grossolano strumento musicale - insomma, finché non si
applicarono se non ad opere che uno solo poteva compiere e ad arti che non
avevano bisogno del concorso di parecchie mani, essi vissero liberi, sani,
buoni e felici quanto potevano esserlo per natura, e continuarono a godere fra
loro delle dolcezze di rapporti indipendenti : ma dal momento che un uomo ebbe
bisogno dell’aiuto di un altro, dal momento che era utile a uno solo avere
provviste per due - da quel momento l’uguaglianza disparve, s’introdusse la
proprietà, il lavoro divenne necessario e le vaste foreste si cambiarono in ridenti
campagne che bisognò annaffiare col sudore degli uomini e nelle quali presto si
videro germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria….
J.J. Rousseau, Discorso
sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini, 1755
La disuguaglianza, che secondo
Rousseau è all’origine di tutti i mali, nasce proprio dal progresso. Nello stato
di natura gli uomini erano liberi e tutti uguali, con l’istinto come unica
guida. Poi appresero a costruire utensili, armi per difendersi dalle bestie
feroci, scoprirono il fuoco e costruirono villaggi. Nel villaggio il più forte -o
il più furbo- s’impose sugli altri ed ebbe più degli altri (provviste per due). Nacque
allora la proprietà privata e con essa il potere di alcuni su tanti. Si rese necessaria la fatica del lavoro, si crearono disuguagliane e conflitti che precipitarono gli uomini, originariamente buoni e felici,
nella schiavitù e nella sofferenza.
Davvero un illuminista sui generis J. J. Rousseau: lontano anni-luce dall'ottimismo incrollabile e forse un po' ingenuo dei philosophes, colse con discreto anticipo sui tempi la complessità-contraddittorietà dell'uomo e della Storia..
Dopo la stagione
del Positivismo (nella prima metà dell'Ottocento),
che proprio dall’Illuminismo attinse tanto la fiducia nella scienza quanto l’idea
che essa potesse garantire un avanzamento lineare e costante verso il meglio, il
mito del progresso cominciò a vacillare alla fine del secolo (quando apparvero evidenti le contraddizioni del sistema borghese)per crollare nel Novecento. La follia delle guerre mondiali inferse il “colpo di grazia” alla grande illusione che il progresso tecnologico-scientifico fosse garanzia di felicità e/o pace e dimostrò che nell'incedere della Storia barbarie e abiezione sono sempre possibili.
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