Delle
tre cantiche della Divina commedia, viaggio allegorico che
narra il percorso di Dante attraverso i tre regni ultraterreni, quella
riservata all’Inferno pullula di peccatori e peccati di ogni genere, in una
fantasmagoria di pene efficaci quanto cruente, ma rigorosamente coerenti con la legge
del contrappasso: ci sono gli ignavi, coloro che nella vita non ebbero il
coraggio della scelta e per questo sono condannati ad inseguire un vessillo
mentre vengono punti da vespe e mosche; vi sono i non battezzati, che penano
nel desiderio di vedere Dio; i lussuriosi, trascinati dal vento come in vita
dalla passione; i golosi, costretti a rimanere immersi in fango maleodorante;
quindi gli avari e i prodighi; gli iracondi e gli accidiosi; gli invidiosi e i
superbi; gli eretici e così via.
Nell’ottavo
fossato delle Malebolge -sorta di dirupo dell’VIII cerchio- si trovano i
consiglieri fraudolenti, coloro che in vita prevalsero grazie all’inganno. Tra costoro
c’è Ulisse, l’eroe greco ideatore del cavallo di legno con cui -nell’opera di
Omero- i Greci riuscirono a penetrare nella città di Troia e ad espugnarla.
Ulisse
e il compagno Diomede sono da Dante rappresentati come fiamme che ardono
rischiarando il buio dell'abisso infernale.
Interrogato
da Virgilio, Ulisse narra del proprio ultimo viaggio intrapreso dopo aver
lasciato l’isola di Circe.
O
voi, che siete due dentro a un fuoco,
S’io meritai di voi, mentre ch’io vissi,
S’io meritai di voi assai o poco,
Quando nel mondo li alti versi scrissi,
Non vi movete; ma l’un di voi dica,
Dove per lui perduto a morir gissi.
Lo
maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella, cui vento affatica.
Indi
la cima qua e là menando,
Come fosse la lingua, che parlasse,
Gittò voce di fuori, e disse: Quando
Mi
diparti’ da Circe, che sottrasse
Me più d’un anno là presso a Gaeta,
Prima che sì Enea la nominasse;
Nè
dolcezza di figlio, nè la pietà
Del vecchio padre, nè il debito amore,
Lo qual dovea Penelope far lieta,
Vincer
poter dentro da me l’ardore,
Ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
E della vita umana e del valore;
Ma
misi me per alto mare aperto
Sol con un legno, e con quella compagna
Piccola, dalla qual non fui deserto.
L’un
lito e l’altro vidi infin la Spagna,
Fin nel Marrocco, e l’isola de’ Sardi,
E l’altre che quel mare intorno bagna.
Io
e i compagni eravam vecchi e tardi,
Quando venimmo a quella foce stretta,
Dov’Ercole segnò li suoi riguardi,
A
ciò che l’uom più oltre non si metta.
Dalla man destra mi lasciai Sibilia,
Dall’altra già m’avea lasciata Setta.
O
frati, dissi, che per cento milia
Perigli giunti siete all’Occidente,
A questa tanto picciola vigilia
De’
nostri sensi (ch'è del rimanente?)
Non vogliate negar l’esperienza,
Di retro al Sol,
del mondo sanza gente.
Considerate
la vostra semenza:
Fatti non fosti a viver come bruti;
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Li
miei compagni fec’io sì acuti,
Con questa orazion picciola, al cammino,
Ch’appena poscia li avei ritenuti…
Dante, Divina commedia, Inferno, Canto XXVI
S’io meritai di voi, mentre ch’io vissi,
S’io meritai di voi assai o poco,
Quando nel mondo li alti versi scrissi,
Non vi movete; ma l’un di voi dica,
Dove per lui perduto a morir gissi.
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella, cui vento affatica.
Indi la cima qua e là menando,
Come fosse la lingua, che parlasse,
Gittò voce di fuori, e disse: Quando
Mi diparti’ da Circe, che sottrasse
Me più d’un anno là presso a Gaeta,
Prima che sì Enea la nominasse;
Nè dolcezza di figlio, nè la pietà
Del vecchio padre, nè il debito amore,
Lo qual dovea Penelope far lieta,
Vincer poter dentro da me l’ardore,
Ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
E della vita umana e del valore;
Ma misi me per alto mare aperto
Sol con un legno, e con quella compagna
Piccola, dalla qual non fui deserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
Fin nel Marrocco, e l’isola de’ Sardi,
E l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e i compagni eravam vecchi e tardi,
Quando venimmo a quella foce stretta,
Dov’Ercole segnò li suoi riguardi,
A ciò che l’uom più oltre non si metta.
Dalla man destra mi lasciai Sibilia,
Dall’altra già m’avea lasciata Setta.
O frati, dissi, che per cento milia
Perigli giunti siete all’Occidente,
A questa tanto picciola vigilia
De’ nostri sensi (ch'è del rimanente?)
Non vogliate negar l’esperienza,
Di retro al Sol, del mondo sanza gente.
Fatti non fosti a viver come bruti;
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Li miei compagni fec’io sì acuti,
Con questa orazion picciola, al cammino,
Ch’appena poscia li avei ritenuti…
Lasciata
l’isola di Circe, dove è rimasto per un anno, Ulisse decide di proseguire il proprio viaggio: il desiderio di ricongiungersi ai propri cari non è sufficiente a spegnere la sete di conoscenza (l’ardore Ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto) che implacabile lo spinge ad inseguire nuove
esperienze, ad esplorare il mondo e a cercare risposte.
Giunto presso le Colonne d’Ercole, confine ultimo del mondo che nessun uomo ha mai osato oltrepassare, Ulisse con un breve discorso -orazion picciola- esorta i compagni, anziani, stanchi e scoraggiati, a non lasciarsi vincere dal timore e a proseguire nel viaggio verso l’ignoto, la parte del mondo che si estende al di là del limite segnato da Ercole (Ercole segnò li suoi riguardi, A ciò che l’uom più oltre non si metta) e creduta disabitata (Di retro al Sol, del mondo sanza gente).
Fatti
non fosti a viver come bruti, Ma per seguir virtute e conoscenza.
È
la frase più incisiva dell’orazion picciola di Ulisse, sintesi lapidaria cui Dante, attraverso Ulisse,
affida il proprio pensiero sull’uomo e sulla vita: l’uomo
differisce dalla bestia perché esercita la riflessione e per natura ha sete di conoscenza, coraggioso percorso di ricerca che supera limiti e costituisce virtù .
Primo Levi. Il canto di Ulisse
C’è
abbrutimento ogni volta che all’uomo è negato l’esercizio della ragione ed è
preclusa la conoscenza: è il senso di uno dei capitoli più intensi di Se
questo un uomo di Primo Levi.
Ecco,
attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate
la vostra semenza:
Fatti
non foste a viver come bruti,
Ma
per seguir virtute e conoscenza.
Come
se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la
voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi
prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del
bene. O forse è qualcosa di piú: forse, nonostante la traduzione scialba e il
commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo
riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che
riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della
zuppa sulle spalle.
Li
miei compagni fec’io sí acuti...
e
mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo «acuti». Qui
ancora una lacuna, questa volta irreparabile. « ... Lo lume era di sotto della
luna » o qualcosa di simile ; ma prima ?... Nessuna idea, «keine Ahnung » come
si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
-
Ça ne fait rien, vas-y tout de même.
Primo
Levi, Se questo è un uomo, cap.11
Quello
riportato è un breve estratto dal capitolo di Se questo è un uomo
significativamente intitolato “Canto di Ulisse”.
Considerate la vostra semenza:Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di piú: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
- Ça ne fait rien, vas-y tout de même.
Levi
è con Jean, detto Pikolo, uno studente francese innamorato dell’Italia. Lo
studente esprime il desiderio di imparare l’italiano e a Levi viene in mente
proprio il XXVI Canto dell'Inferno: cerca di recitarne alcune terzine e di tradurle in
francese ma la memoria gli restituisce integralmente solo alcuni frammenti del
canto dantesco.
Considerate
la vostra semenza: //Fatti non foste a viver come bruti//Ma per seguir virtute e
conoscenza.
Riaffiorate alla memoria e recitate
per l’amico nell’aberrante quotidianità del lager, macchina che riduce a
bestie annichilendo volontà e ragione, le parole di questa terzina sono una
folgorazione per Levi; esse risuonano nell’inferno di Auschwitz potenti come
uno uno squillo di tromba o come la voce di Dio e ricordano
ciò che un deportato, ridotto a cosa senza dignità, rischia di
dimenticare. L’uomo non è fatto per vivere come una bestia che l’istino
banalmente lega all’attimo. Animale razionale, l’uomo è fatto per esercitare la
riflessione e perseguire la conoscenza, librandosi in un folle volo del
pensiero che oltrepassa confini, abbatte pregiudizi e spezza catene, in special modo quelle di uomini in travaglio come il deportato Levi, che osando ragionare su Dante con le stanghe della zuppa sulle spalle e i piedi nel fango, per un attimo dimentica l'orrore del lager e ritrova la propria umanità.
Un messaggio attuale
Attitudine connaturata all'uomo che per questo differisce dalla bestia, la conoscenza -e con essa l'esercizio della Ragione- è imperativo morale, etica del comportamento (virtute) che impegna ciascun uomo alla ricerca della verità e al discernimento: necessità cogente in questo nostro mondo fake in cui la linea di demarcazione tra il vero e il falso si fa sempre più labile e l'opinione, anche la più irragionevole perché fondata sul pregiudizio o perché strumento di propaganda, s'impone a colpi di like...
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