Biografia in breve
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Dino Buzzati
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Nato a Belluno nel 1906, dopo
la laurea in giurisprudenza si dedicò al giornalismo e collaborò con Il
corriere della sera.
Il suo primo romanzo fu Barnabo delle montagne,
pubblicato nel 1933, mentre al 1935 risale la pubblicazione de Il segreto
del bosco vecchio.
Il capolavoro di Buzzati è
senz’altro Il deserto dei tartari, la cui prima edizione venne
pubblicata nel 1940.
Alternando l’attività di
giornalista/inviato speciale in luoghi di guerra a quella di pittore e scrittore,
nel 1958 Buzzati ottenne il Premio strega per la raccolta Sessanta racconti.
Nel 1968, fu pubblicata La boutique del mistero, un'antologia di racconti scelti da Sessanta racconti. Morì a Milano nel 1972.
Sette piani. La trama
Il protagonista è Giuseppe
Corte.
Malato di tubercolosi in forma
leggera, Corte viene indirizzato presso il sanatorio noto per essere il più qualificato nella cura
della patologia.
L’ospedale, circondato da alti alberi, è un edificio a sette piani costruito a gradoni.
Corte viene sistemato in una
stanza accogliente del settimo piano ed è sollevato quando l’infermiera gli
spiega che i malati sono distribuiti tra i piani in base alla gravità della malattia:
al settimo piano si trovano i malati in forma leggerissima e poi via via
fino al primo piano dove sono i moribondi e per questo le saracinesche sono abbassate.
Ogni piano è un mondo a sé,
con i suoi medici, le opportune terapie, i suoi ritmi.
Dopo una decina di giorni dal
suo ricovero, Giuseppe Corte deve essere trasferito al sesto piano, il che non
ha nulla a che vedere con il suo stato di salute, gli spiega il responsabile
del reparto: si tratta solo di cedere momentaneamente la stanza ad una signora che verrà
ricoverata con i suoi due figli e ha necessità di tre stanze contigue.
Un po’ seccato, ma rassicurato
dall’idea che tornerà al piano superiore appena per lui sarà pronta un’altra
stanza, Corte accetta di essere trasferito al sesto piano, dove rimane fino a
quando gli viene comunicato che l’ospedale ha stabilito, per motivi legati all’organizzazione
interna, di rivedere la distribuzione dei pazienti e sulla base dei nuovi criteri Corte dovrà essere trasferito al quinto piano.
Inferocito, Corte protesta,
tenta di opporsi ma alla fine si lascia convincere che in fondo lì verrà curato
meglio.
Dal
quinto piano dovrà passare al quarto, dove -gli spiegano- potrà ricevere cure più adatte per quell’eczema insorto da poco e che gli dà tanta noia.
Nell'arco di poche settimane e ogni volta con una motivazione diversa, dal quarto piano verrà trasferito al terzo, poi al secondo, quindi in una stanza del primo
piano.
Giunse così, per quell’esecrabile errore, all’ultima stazione. Nel reparto dei
moribondi lui, che in fondo, per la gravità del male, a giudizio anche dei
medici più severi, aveva il diritto di essere assegnato al sesto, se non al
settimo piano! La situazione era talmente grottesca che in certi istanti
Giuseppe Corte sentiva quasi la voglia di sghignazzare senza ritegno...Disteso sul letto… egli guardava il verde degli alberi attraverso la finestra con l’impressione di essere giunto in un mondo irreale…Sei piani, sei terribili muraglie, sia pure per un errore formale, sovrastavano Giuseppe Corte con implacabile peso….Con uno sforzo supremo Giuseppe Corte, che si sentiva paralizzato da uno strano torpore, guardò l’orologio sul comodino…Voltò il capo dall’altra parte e vide che le persiane scorrevoli, obbedienti a un misterioso comando, scendevano lentamente, chiudendo il passo alla luce.
Corte sente di essere vittima
di un’ingiustizia, un errore esecrabile: gli avevano assicurato che sarebbe tornato a quel settimo piano
che gli spetta di diritto perché malato in forma leggerissima. In alcuni istanti la situazione gli appare persino grottesca, riderebbe se potesse, ma è molto stanco, un inspiegabile torpore gli grava addosso paralizzando ogni azione.
In quella stanza del primo piano c’è poca luce. Corte chiede all'infermiera di passargli gli occhiali da miope che di solito non indossa quando è a letto, ma c'è sempre meno luce.
Le persiane scorrevoli lentamente si chiudono... ed è il
buio.
La vita, un errore esecrabile
La storia inizia nella più tranquilla
normalità: l’arrivo di Corte presso un moderno ed efficiente ospedale, le
parole rassicuranti di medici e infermieri, la stanza confortevole e gaia del
settimo piano, nulla lascia immaginare alcunché di catastrofico.
Via via s’insinua nel racconto
una sottile inquietudine: la sensazione che stia per accadere qualcosa di sinistro s'impadronisce del lettore e si accentua con il progredire della discesa dal settimo piano
sempre più giù.
La vicenda di Giuseppe Corte è il racconto metaforico della vita: l’ospedale e l'inesorabile discesa sono rappresentazione simbolica della
fugacità dell'esistenza e del precipitare del tempo verso l’abisso finale. Qualunque tentativo di risalire dal precipizio è vano.
In
quell'ospedale Corte è intrappolato come l’uomo lo è nella vita: avverte che
sta accadendo qualcosa di terribile, vorrebbe sottrarvisi, vorrebbe
intravvedere una via d'uscita, ma tutto accade indipendentemente da lui. Chiede
informazioni a medici ed infermieri nel tentativo almeno di comprendere
la ragione di quanto avviene, ma ottiene risposte evasive e
affatto convincenti, perché non c’è mai alcuna ragione in
ciò che accade.
L'esistenza non è che un ingiusto ed esecrabile errore: caos imprevedibile, insensato alternarsi di eventi ingovernabili, la vita mette l'uomo con le “spalle al muro”: nessuna possibilità di scelta in un ingranaggio mosso da un comando misterioso ...
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