Biografia
Pavese
nacque nel 1908 nelle Langhe, in provincia di Cuneo. Studiò a Torino, dove si
laureò in Lettere nel 1932.
Collaborò per la casa editrice Einaudi, fu direttore della rivista antifascista La cultura e quando nel 1935 la rivista fu soppressa, Pavese venne arrestato e mandato al confino in Calabria.
Tornato a Torino alla fine degli anni Trenta, pose mano al suo primo romanzo Paesi tuoi, che pubblicò nel 1941 e che aprì la stagione del Neorealismo. Al 1943 risale la pubblicazione della riedizione delle poesie Lavorare stanca.
Pavese non partecipò alla Resistenza a differenza di Fenoglio, Calvino e altri scrittori neorealisti, preferendo rifugiarsi in Monferrato presso la sorella.
Dopo la guerra, s'iscrisse al partito comunista e collaborò con il quotidiano L'Unità.
Tra le sue opere, oltre a quelle già menzionate, vanno ricordati il romanzo La luna e i falò; la raccolta Prima che il gallo canti -contenente i due racconti lunghi La casa in collina e Il carcere-; La bella estate -che gli valse il Premio Strega nel 1950- la raccolta di poesie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, i Dialoghi con Leucò.

L'attrice Costance Dowling nel film
La strada finisce sul fiume
Venne
pubblicato postumo Il mestiere di vivere, un diario di appunti e
riflessioni che ci restituisce il profilo di un uomo solitario e riservato, profondamente
angosciato dalla fine della relazione con l’attrice americana Constance Dowling, deluso di se stesso e disamorato
della vita, come si legge nell’annotazione del 18
agosto 1950, una sorta di commiato dalla scrittura e dall'esistenza.

La strada finisce sul fiume
La cosa piò segretamente
temuta accade sempre. Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi? Basta un po’ di
coraggio. Piú il dolore è determinato e preciso, piú l’istinto della vita si
dibatte, e cade l’idea del suicidio. Sembrava facile, a pensarci. Eppure
donnette l’hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio. Tutto questo fa schifo. Non
parole. Un gesto. Non scriverò piú.
Pochi giorni
dopo queste parole, il 27 agosto del 1950 Pavese morì suicida in un albergo di
Torino.
La cosa piò segretamente temuta accade sempre. Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi? Basta un po’ di coraggio. Piú il dolore è determinato e preciso, piú l’istinto della vita si dibatte, e cade l’idea del suicidio. Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l’hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio. Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò piú.
La
casa in collina (1948). La trama.
È
il 1943. Corrado,
un insegnante di circa quarant’anni che vive e lavora a Torino, fugge dai
bombardamenti e ripara in collina presso la casa di Elvira e sua madre.
In
collina frequenta un’osteria dove un giorno casualmente incontra Cate, una
donna amata in passato ma che lui ha lasciato per sottrarsi alla
responsabilità di una relazione impegnativa. Con lei c’è il figlio Dino, che
Corrado sospetta possa essere il frutto della relazione che in passato lo ha legato alla
donna.
I
due si rivedono spesso. Corrado ha modo di frequentare il gruppo di amici di
Cate, tutti convintamente dediti alla causa dell’antifascismo, il che contrasta
con l’indifferenza di Corrado, il cui unico scopo è tenersi lontano dalla
guerra, dalla politica come da tutto ciò che può turbare la sua tranquillità.
Dopo
l’8 settembre, Cate entra nella Resistenza, ma viene catturata dai Tedeschi.
Anche Dino decide di unirsi ai partigiani, mentre Corrado si rifugia prima
presso un collegio di Chieri, poi nei luoghi dell’infanzia, presso la casa dei
propri genitori nelle Langhe.
Ancora una volta preferisce la fuga al coinvolgimento, l’inerzia all’impegno.
Un lungo isolamento
Il romanzo non è solo il racconto della guerra o della Resistenza, che spesso rimangono sullo sfondo: la cifra del romanzo è nel percorso che, attraverso la riflessione sulla guerra, conduce Corrado alla coscienza di sé e alla vergogna di non essere riuscito a vivere quegli eventi drammatici come avrebbe dovuto.
…Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti
repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico,
diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo,
vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il
sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha
sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono piú faccenda altrui; non ci
si sente capitati sul posto per caso. Si ha l’impressione che lo stesso destino
che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a
riempircene gli occhi…Ci
sono giorni in questa nuda campagna che camminando ho un soprassalto: un tronco
secco, un nodo d’erba, una schiena di roccia, mi paiono corpi distesi.
C. Pavese, La casa in collina, cap. conclusivo
Il momento della consapevolezza è nel finale del romanzo. Rifugiatosi nelle Langhe, Corrado vede quello che ha sempre voluto evitare: la devastazione della guerra è ovunque, nei campi desolati e nei morti dell’una e dall’altra parte distesi in terra.
Quei morti, repubblichini o partigiani, testimoniano la tragica realtà di una guerra che coinvolge tutti, che lo si voglia o meno: sono una faccenda umiliante che scuote le coscienze; la loro vista obbliga Corrado ad uscire dal suo torpore e lo costringe ad una riflessione su se stesso e sulle scelte intraprese.
Malgrado
i tempi, qui nelle cascine si è spannocchiato e vendemmiato. Non c’è stata -si
capisce- l’allegria di tanti anni fa: troppa gente manca, qualcuno
per sempre. Dei compaesani soltanto i vecchi e i maturi mi conoscono, ma per me
la collina resta tuttora un paese d’infanzia, di falò e di scappate, di giochi.
Se avessi Dino qui con me potrei passargli le consegne; ma lui se n’è
andato, e per fare sul serio. Alla sua età, non è difficile……Adesso che la
campagna è brulla, torno a girarla; salgo e scendo la collina e ripenso
alla lunga illusione da cui ha preso le mosse questo racconto della mia vita.
Dove
questa illusione mi porti, ci penso sovente in questi giorni: a
che altro pensare? Qui ogni passo….mi mette davanti ciò che fui, ciò che
sono e avevo scordato. Se gli incontri e i casi di quest’anno mi ossessionano,
mi avviene a volte di chiedermi “Che c’è di comune tra me e quest’uomo che è
sfuggito alle bombe, sfuggito ai Tedeschi, sfuggito ai rimorsi?” Non è vero
che non provi una stretta se penso a chi è scomparso….Mi accorgo adesso….che ho
vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragazzo che
giocando a nascondersi entra dentro un cespuglio…
Malgrado
i tempi, qui nelle cascine si è spannocchiato e vendemmiato. Non c’è stata -si
capisce- l’allegria di tanti anni fa: troppa gente manca, qualcuno
per sempre. Dei compaesani soltanto i vecchi e i maturi mi conoscono, ma per me
la collina resta tuttora un paese d’infanzia, di falò e di scappate, di giochi.
Se avessi Dino qui con me potrei passargli le consegne; ma lui se n’è
andato, e per fare sul serio. Alla sua età, non è difficile……Adesso che la
campagna è brulla, torno a girarla; salgo e scendo la collina e ripenso
alla lunga illusione da cui ha preso le mosse questo racconto della mia vita.
Dove
questa illusione mi porti, ci penso sovente in questi giorni: a
che altro pensare? Qui ogni passo….mi mette davanti ciò che fui, ciò che
sono e avevo scordato. Se gli incontri e i casi di quest’anno mi ossessionano,
mi avviene a volte di chiedermi “Che c’è di comune tra me e quest’uomo che è
sfuggito alle bombe, sfuggito ai Tedeschi, sfuggito ai rimorsi?” Non è vero
che non provi una stretta se penso a chi è scomparso….Mi accorgo adesso….che ho
vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragazzo che
giocando a nascondersi entra dentro un cespuglio…
C. Pavese, La casa in collina, cap. conclusivo
Corrado, l’alter ego di Pavese, fa dunque un bilancio della propria vita e trova il coraggio di confessare a se stesso le proprie colpe. Ammette di avere vissuto nella vita un solo lungo isolamento, chiuso come in una bolla che lo proteggesse dai rischi: ha lasciato Cate, pur amandola, per evitare l’impegno di una relazione; ha sempre sospettato che Dino fosse suo figlio ma non ha avuto il coraggio chiederlo a Cate; è fuggito in collina per sottrarsi alla guerra e alla Resistenza. Tutta la vita ha vissuto nascosto in un cespuglio come fa un bambino, ignorando -o fingendo di ignorare- che la guerra nel frattempo cambiava il mondo, lo riduceva in macerie e molti di quelli che c’erano sparivano per sempre.
Fatti i conti con la propria coscienza e con tutti quei morti, Corrado si abbandona al senso di colpa, perché si può sfuggire alle bombe o ai Tedeschi, ma non ai rimorsi.
Lo
stile di Pavese
Lo stile, in questa come in tutte le opere di Pavese, è caratterizzato dalla fusione di realismo e simbolismo: se da una parte vi è l’attenzione alla concretezza di situazioni, ambienti, oggetti e personaggi, per l’altro verso l’oggettività del dato concreto è superata nella trasfigurazione metaforica della realtà, in cui cose e situazioni servono ad evocare uno stato d’animo o una condizione esistenziale.
È
significativo quello che Pavese disse a questo riguardo durante
un’intervista alla radio nel 1950:
Quando Pavese comincia un racconto, una favola,
un libro, non gli accade mai di avere in mente un ambiente socialmente
determinato, un personaggio o dei personaggi, una tesi. Quello che ha in mente
è quasi sempre soltanto un ritmo indistinto…che, piú che altro, sono sensazioni
e atmosfere. Il suo compito sta nell'afferrare e costruire questi eventi
secondo un ritmo intellettuale che li trasformi in simboli di una data
realtà…... Nasce di qua il fatto, non mai abbastanza notato, che Pavese non si
cura di «creare dei personaggi». I personaggi sono per lui un mezzo, non un
fine. …..
la trasfigurazione angosciosa della campagna e
della vita quotidiana nella Casa in collina, la ricerca paradossale di che cosa
siano campagna, civiltà cittadina, vita elegante e vizio nel Diavolo sulle
colline, la memoria dell'infanzia e del mondo in La luna e i falò. I
personaggi in questi racconti sono del tutto sommari, sono nomi e tipi, non
altro: stanno sullo stesso piano di un albero, di una casa, di un temporale o
di un'incursione aerea.
Quando Pavese comincia un racconto, una favola,
un libro, non gli accade mai di avere in mente un ambiente socialmente
determinato, un personaggio o dei personaggi, una tesi. Quello che ha in mente
è quasi sempre soltanto un ritmo indistinto…che, piú che altro, sono sensazioni
e atmosfere. Il suo compito sta nell'afferrare e costruire questi eventi
secondo un ritmo intellettuale che li trasformi in simboli di una data
realtà…... Nasce di qua il fatto, non mai abbastanza notato, che Pavese non si
cura di «creare dei personaggi». I personaggi sono per lui un mezzo, non un
fine. …..
la trasfigurazione angosciosa della campagna e
della vita quotidiana nella Casa in collina, la ricerca paradossale di che cosa
siano campagna, civiltà cittadina, vita elegante e vizio nel Diavolo sulle
colline, la memoria dell'infanzia e del mondo in La luna e i falò. I
personaggi in questi racconti sono del tutto sommari, sono nomi e tipi, non
altro: stanno sullo stesso piano di un albero, di una casa, di un temporale o
di un'incursione aerea.
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