Nato
ad Asti 1749 da una famiglia nobile, Vittorio Alfieri rimase orfano di padre
poco dopo la nascita. Quando la madre si risposò, fu mandato dallo zio paterno
che lo fece studiare presso la prestigiosa l’Accademia Reale di Torino.
Di
carattere irrequieto, di animo malinconico e ribelle, compiuti gli studi
Alfieri viaggiò per circa un anno attraversando l’Italia e l’Europa: ebbe così
modo di conoscere-osservare da vicino sia i governi dell’Ancien Regime -che
giudicò oppressivi delle fondamentali libertà-, ma anche i più liberali governi
inglese e olandese.
Rientrato
a Torino, vi rimase solo pochi mesi e presto ricominciò a viaggiare.
A Londra
s’innamorò di Penelope Pitt, con la quale ebbe una breve e tormentata
relazione.
La donna più importante della sua vita fu tuttavia la contessa Luisa
di Stolberg d’Albany che, lasciato il marito Carlo d’Albany (pretendente al
trono d’Inghilterra) andò a vivere con il poeta prima a Roma, quindi in
Alsazia, infine a Firenze, dove Alfieri morì nel 1803.
Le
opere
L’anno
della cosiddetta “conversione” letteraria è il 1772 quando, stanco del continuo
girovagare, Alfieri trovò conforto nella letteratura.
La
sua primissima opera fu Schizzo del giudizio universale -1773-, opera in
cui Alfieri sbeffeggia nobili e intellettuali cortigiani per la loro
superficialità.
Tra
le sue opere principali, solo alcune sono: le tragedie Antonia e Cleopatra;
Filippo; Polinice; Antigone; Agamennone ecc; le
Rime (storia autobiografica di un’anima che per certi versi ricorda il Canzoniere di
Petrarca); il Panegirico di Plinio a Traiano; il Bruto primo e il
Bruto secondo; il dialogo Della virtù; la satira Misogallo; il
trattato politico Della tirannide.
Il
pensiero
Se
inizialmente Alfieri guardò con interesse alla Rivoluzione francese, poi da
essa prese le distanze per la violenza sanguinaria di alcuni avvenimenti (Regime
del Terrore), pur tuttavia continuando a coltivare l’idea di libertà che la
Rivoluzione aveva rappresentato.
In
effetti l’ansia di libertà; la delusione del presente; la preoccupazione per le
sorti dell’Italia, che egli vedeva oppressa sotto il giogo di Napoleone; il
dissidio interiore di un’anima tormentata sono i motivi ispiratori di tutte le
sue opere.
Il
titanismo
Come
i Titani del mito, che inutilmente si erano opposti a Zeus, così nell’Alfieri la
rivolta all’oppressione del potere è destinata alla sconfitta. In questo senso
si parla di titanismo: in uno sforzo gigantesco, l’individuo combatte contro
una realtà/uno stato delle cose più forte di lui e dunque è destinato a soccombere.
Della
Tirannide
L’opera
Della Tirannide -trattato in due libri scritto nel 1777- è forse quella che meglio di altre rende chiaro
il concetto di titanismo.
Dopo
aver definito la tirannide come il regime di chi, esercitando un potere dispotico,
impone leggi ma non le rispetta, Alfieri delinea il ritratto dell’eroe
pre-romantico, colui che -titanicamente- pur di non piegarsi al potere, sceglie
l’isolamento oppure ricorre al suicidio come all’unica vera possibilità di
affermarsi nella propria libertà/individualità: quest’ultima sarà la scelta di Jacopo
Ortis, il personaggio protagonista del romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis che U.
Foscolo scriverà nel 1797.
Alfieri:
illuminista o preromantico?
Entrambe
le cose: da un lato vi è il rifiuto dell’oppressione tirannica, dall’altro la
condanna ad ogni forma di radicalismo sociale che sovverta violentemente l’ordine
delle cose; da una parte, il razionalismo/sensismo degli illuministi, dall’altra il
rifiuto del dogma della Ragione in nome del forte sentire dell’immaginazione,
dell’inventiva, della creatività.
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