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Titanismo e inettitudine nella letteratura

 

Il titanismo romantico


Nelle opere romantiche ricorre costantemente la figura del ribelle, individuo che in virtù della propria eccezionalità -per sensibilità e cultura - rifiuta la mediocrità che lo circonda e si oppone titanicamente a tutto ciò che costituisca limite alla sua libertà: il potere quando è oppressivo, i lacci delle convenzioni sociali, i vincoli della legge.
 
Come la ribellione del Titano Prometeo è punita per aver sfidato Zeus, la titanica ma impari battaglia dell’eroe romantico in difesa propria libertà/individualità è destinata allo scacco.
 
È così nell'opera 
teatrale di F. Schiller I masnadieri: il protagonista è Karl Mooor, giovane aristocratico di eccezionale ingegno che, refrattario ad ogni costrizione e sinceramente avverso al dispotismo del potere nella Germania settecentesca, sceglie la libertà di una vita al di fuori della legge e si fa brigante perché “la legge non ha mai prodotto un grand’uomo…il mio spirito è assetato di azione, il mio petto di libertà. Assassini, banditi, con queste parole, ecco, ho posto sotto i piedi la legge…

 

Nella megalomania del suo sogno di divina libertà, Karl estende poi la propria rivolta fino a negare la legge di Dio: sostituendosi alla Provvidenza, diventa il giustiziere che ripara torti e ingiustizie e punisce la prepotenza oppressiva di feudatari
/ministri dando loro la morte in un’escalation di violenza.

 
Il senso di colpa che ne segue è il segno della sconfitta di Karl: la sua titanica ribellione si è limitata ad una negazione della realtà che nulla ha modificato, in nulla ha scalfito l’ordine esistente e inutilmente è costata la vita a vittime inermi.
 
La frustrazione dell’eroe romantico, che vede infrangersi i propri sogni di libertà e di grandezza ma non vi rinuncia, è presente nell’opera di V. Alfieri -considerato un pre-romantico ma a tutti gli effetti romantico per alcuni temi - che nel trattato Della tirannide delinea il profilo di una figura eroicamente disposta a sacrificare la vita pur di contrastare il potere oppressivo del tiranno che tuttavia sa essere invincibile.

 
E siccome, là dove ci è patria e libertà, la virtù in sommo grado sta nel difenderla e nel morire per essa, così nella immobilmente radicata tirannide non vi può essere maggior gloria che di generosamente morire per non viver servo...

V. Alfieri, Della tirannide, libro III, cap IV
 


Votato alla sconfitta, il titanismo romantico spesso si converte in vittimismo come nel romanzo epistolare di U. Foscolo Le ultime lettere di Jacopo Ortis, opera solo cronologicamente pre-romantica. Amareggiato per sorti della patria 
(la Repubblica veneta, che Napoleone Bonaparte nel 1797 barattò con l’Austria in cambio del riconoscimento della repubblica cisalpina, firmando il Trattato di Campoformio) e tradito negli ideali di libertà, Ortis giunge al suicidio, unica possibilità di titanica e assoluta affermazione di sé.

 
…non veggo più che il sepolcro: ho una madre tenera e benefica; spesso mi sembrò di vederla calcare tremando le mie pedate e seguirmi fino a sommo il monte, donde io stava per diruparmi, e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonato nell’aria … ella afferravami per la falda delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suo pianto. Pure... s’ella sapesse tutti i feroci miei mali implorerebbe ella stessa dal cielo il termine degli ansiosi miei giorni.
U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, 4 dicembre
 
 
Vi è traccia di titanismo in Leopardi e nel pessimismo cosiddetto eroico de La ginestra, testamento ideologico in cui, non senza qualche contraddizione, il poeta auspica che l’umanità, interrompendo le lotte fratricide, faccia solidale e titanico fronte comune contro la Natura matrigna: gigantesco proposito sul quale lo stesso Leopardi sembra nutrire qualche perplessità.

…..
Ed alle offese
dell’uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino ed inciampo,
stolto crede così qual fora in campo
cinto d’oste contraria, in sul più vivo
incalzar degli assalti,
gl’inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell’orror che primo
contro l’empia natura
strinse i mortali in social catena
fia ricondotto in parte
da verace saper, l’onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo
così star suole in piede
quale star può quel c’ha in error la sede
G. Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto, strofa III
 
 

L'inettitudine antieroica 


All'eroe romantico e al grandioso sogno di libertà che si traduce in azione concreta, si oppone l’inettitudine (incapacità di agire) dell’antieroe del XX secolo, parente stretto del poeta maledetto incarnato da Baudelaire qualche decennio prima.

 

Il poeta maledetto è un disadattato. 


Incapace di trovare il proprio posto in un mondo di cui non condivide l’imperante logica del profitto e l’ipocrita morale borghese, egli polemicamente sceglie la libertà nell’anticonformismo di una vita sregolata ai margini della società o al di sopra di essa, librandosi sul mondo in un volo simile a quello dell’albatro. 


L'unica ribellione possibile è nel prendere le distanze, nessun titanico agire nel maledettismo.


Spesso, per divertirsi, gli uomini d'equipaggio
Catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
Che seguono, indolenti compagni di vïaggio,
Il vascello che va sopra gli abissi amari.
 
E li hanno appena posti sul ponte della nave
Che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro
Pietosamente calano le grandi ali bianche,
Come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.
C. Baudelaire, strofe n.1 e n.2 da L’albatro, I fiori del male


Il maledetto, dunque
rinuncia alla lotta e sceglie l'autoemarginazione a difesa di sé. 


L’inettitudine novecentesca -la malattia della volontà che affligge i personaggi di tanta letteratura del Novecento- è un disagio ancor più profondo, è lo spaesamento esistenziale dell'uomo in un mondo privo di certezzenel XX secolo il mondo implode, verità credute eterne si sbriciolano a fronte di nuove scoperte (la relatività, la psicanalisi, l'azione corrosiva della filosofia di Nietzsche su millenari sistemi di valori) e la catastrofe delle guerre mondiali sconvolge tutti gli equilibri.



L’inetto  vive la crisi del suo tempo: se l’eroe romantico sa cos’è giusto, sa dove sta di casa la verità e per essa è pronto a morire, per l’inetto non c'è verità che illumini il cammino e conferisca senso; fragile fino alla nevrosi, esposto ai capricci del Caso, egli vive giorno per giorno.


L'inetto per antonomasia è Zeno Cosini, il protagonista della Coscienza di Zeno di I. Svevo.

Zeno si crede malato perché incapace di agire, di realizzare progetti e di governare la propria vita, ma giungerà alla conclusione che la vita stessa è la malattia: cieca e ingiusta casualità, imprevedibile alternarsi di eventi fortuiti, essa sfugge al controllo dell'uomo, ne sconvolge i piani e ne vanifica l'azione.


Nessuno spazio per titanici eroismi: accettare l' inadeguatezza cui la vita lo condanna è per l'uomo l'unica possibilità...