L’aula
magna era piena fino all’inverosimile. C’era gente in piedi tra i banchi, lungo
i muri, seduta alle finestre, accalcata intorno alle porte (…) Florenskij (…)
dipingeva con le parole (…) veri e propri quadri, e non solo dipingeva ma
risvegliava nell’anima una sorta di risonanza (…). Egli ci spalancava gli occhi
sui dettagli più minuti del modo che ci circondava, sulla natura e
sull’umanità; la bellezza acquistava sempre maggiore luminosità…Il male cessava
do essere così minaccioso (…). “La lezione non è un
tram che vi porta da un posto all’altro”, diceva loro Florenskij, “ma è una
passeggiata con gli amici” (…)
È
un estratto da La lezione, il bellissimo saggio di Zagrebelskj sul potere delle parole, senza le quali
non può esservi conoscenza, e sull’insegnamento, che della parola ha bisogno
come materia prima.
La
scena descritta è quasi commovente.C’è
un’aula universitaria; assiepati ovunque ci sono allievi che ascoltano rapiti
la lezione e c’è il maestro: le sue parole sono potentemente evocative e quasi
dipingono la vita. Egli non ha fretta di dire e tanto meno di concludere; si
concede del tempo per la digressione chiarificatrice, coglie il dettaglio
significativo del tutto, si regala spazio per la riflessione, afferra il
pensiero che improvviso gli balena nella mente e ne fa
spunto di ricerca e confronto. Procede tranquillo nella sua lezione proprio
come chi, durante una passeggiata, di tanto in tanto si arresta per
osservare il panorama, si avventura su sentieri secondari,
si china a cogliere un fiore, si regala una pausa che gli permetta di respirare
a pieni polmoni.La
lezione non è un tram che conduce linearmente e necessariamente da un
posto all’altro, è una passeggiata e quando si passeggia è importante
camminare, non giungere alla meta (cfr, G. Zagrebelskj, La Lezione)
Così
dovrebbe essere e così è -forse- quando l’aula e la lezione sono quelle
universitarie, il maestro/il professore è persona di cultura,
intelligente e autorevole, quando -last but not least– il docente è
libero da pressioni/condizionamenti.
Nella
scuola, -da quella dell’obbligo in su- ben lungi dall’essere una tranquilla
passeggiata, l’insegnamento è una maratona che lascia tramortiti docenti e
allievi. Sul
docente che presta la propria opera nella scuola -sia nella secondaria di primo
che in quella secondo grado- incombono le linee-guida del Ministero.Le
linee-guida indicano la via maestra nelle competenze trasversali, vale a
dire quelle che tutte le discipline curricolari -ferme restando le competenze
specifiche di ciascuna di esse-, agendo sinergicamente dovrebbero (devono)
contribuire a raggiungere. Si procede come con una sorta di enorme puzzle:
ciascun docente -e in accordo con i colleghi del consiglio di classe-,
struttura/pianifica la propria attività in modo che essa vada a collocarsi (ciascuna con i suoi contenuti, le sue metodologie, i suoi tempi di esecuzione) esattamente nello spazietto che le è riservato nel monumentale edificio delle competenze
trasversali.
Perché
la macchina funzioni, è necessario che il docente proceda secondo una tabella
di marcia i cui tempi lasciano poco margine per passeggiate come quella
descritta da Zagrebelskj, occorre anzi fare in fretta: bisogna dire, spiegare,
interrogare, recuperare, potenziare, orientare come da piano di lavoro
presentato ad inizio anno scolastico e possibilmente più in fretta di
così, in modo che rimanga tempo sufficiente anche per quel pezzettino di
Educazione civica con cui ognuno (spiegando, interrogando, recuperando ecc.)
deve contribuire a promuovere la cultura del rispetto e del dialogo; ma
soprattutto affinché si arrivi a totalizzare entro fine periodo il congruo
numero di valutazioni senza il quale esplode l’ira funesta del genitore o
del DS.Insomma
nella realtà vera, la lezione è esattamente il tram che deve partire da
A e giungere a Z secondo il percorso tracciato; guai a zigzagare qua e là.
Più
ci si approssima alla meta finale -quella dell’Esame di stato- più il tram,
arrancando, accelera; il più piccolo guasto alla macchina -il docente si
ammala e deve disertare la lezione, la classe è assente perché è in piazza a
protestare per chissà che o più banalmente perché ha bruciato- getta il
docente nel panico: come farà a recuperare il tempo
perso? Come potrà interrogare tutti e al contempo andare avanti con il programma
(si vocifera sia stato abolito in nome della competenza, in realtà come ogni
abitudine, anche quella al programma è dura a morire)? Riuscirà a far tutto?Vabbè,
chiederà al collega di matematica se può prestargli un’ora delle sue ore.La
scuola e la lezione (…) si nutrono di parole…Chi
ha poche parole è povero, è meno vivo di chi ne ha tante, ed è esposto alle
prevaricazioni di chi ne ha di più (…). Se uno solo sa parlare, o conosce la
parola meglio di altri, la vittoria non andrà all’argomento migliore, ma al
sofista più abile a giocare con le parole (…).Infatti:
poche parole, poche idee; poche idee, poche possibilità; poche possibilità,
poca libertà e poca democrazia. Quando il nostro linguaggio si rattrappisse al
punto di poter pronunciare solo “sì” e “no”, solo “mi piace” e “non
mi piace”, saremmo pronti per i plebisciti e, quando conoscessimo solo “sì”,
saremmo nella condizione del gregge che può solo ubbidire al padrone (…).L’insegnamento
e l’apprendimento consistono in questa circolazione di parole. In tale
circolazione si rende fertile e cresce ciò che possiamo chiamare “cultura”,
come vera e propria “coltivazione” di un terreno fecondo che
nutre la comunione di esseri che vivono insieme.
G.
Zagrebelskj, La Lezione. Parole che ingannano; Casa di libertà e
democrazia. La
parola è condizione di libertà e chi conosca poche parole è destinato a servire
chi ne conosce di più, per questo l’insegnamento e l’apprendimento dovrebbero
consistere nella circolazione di parole come strumento di conoscenza e garanzia
di libertà.Come
non essere d’accordo.
Anche
su questo, tuttavia, lo scarto tra il dover essere e l’essere è
tale che verrebbe quasi da piangere: quale spazio per la parola nella
scuola del saper riconoscere, saper applicare, saper fare, saper produrre; nella scuola dei linguaggi settoriali-specifici, della parcellizzazione del
sapere, delle parole banali del conformismo…?Tra
il dire e il fare c’è di mezzo l’oceano.Il
compito dei maestri che amano la (ricerca della verità) per poterla insegnare è
di scrollarsi di dosso, per quanto possibile, la burocrazia che
dell’istituzione è l’arma segreta.
G.
Zagrebelskj, Mai più senza maestriCome
si conclude l’ora di lezione, la metaforica passeggiata? Ci
si può trovare tutti riuniti nel luogo che si era previsto come meta. Un punto
d’arrivo, una conclusione soddisfacente (…) Ma può anche accadere, anzi accade
più spesso, che la campanella suoni, che il bidello dia il finis (come accadeva
ai miei tempi) e ci si trovi ancora nel bel mezzo delle cose da esaminare,
delle tante questioni che si vorrebbe sollevare…è forse questo un fallimento?
Per nulla. Sarà l’avvio della lezione seguente (…). Non sarà anche colpa del
professore che non sa scrollarsi di dosso l’abito del burocrate che reitera
parole risapute e moltiplica carte già compilate da altri, ormai prive di vita?
(…) Se non riesce a parlare con fecondità, invece di prendersela solo con gli
studenti e con la classe troppo numerosa che gli sta davanti, l’insegnante non
dovrebbe fare anche un po’ di autocritica? Non dovrebbe, per esempio,
interrogarsi sull’affievolimento delle passioni che forse l’avevano animato
all’inizio della carriera (…)?
G.
Zagrebelskj, La lezione, Approdi Suona
la campanella, i ragazzi scattano in piedi pronti a scapicollarsi fuori
dall’aula o solo per (giustamente) sgranchirsi le gambe. L’insegnante è stato
interrotto nel bel mezzo della sua maratona didattica: perché preoccuparsene? Non casca il mondo se rinvia tutto
alla lezione seguente, sempre che la lezione seguente non cada dopo due
settimane perché nel frattempo l'intero monte ore va all’Educazione
ambientale o all’Educazione alla legalità, al progetto x o all’attività y; e sempre che non vi sia al varco la riunione -una
delle tante- in cui occorre rendicontare (voce all’o.d.g: verifica della
programmazione) su ciò che si è fatto,
come e perché.
Zagrebelskj
dice bene, questo non è insegnare Non
sarà colpa dell’insegnante che non riesce a scrollarsi di dosso l’abito del
burocrate? -si chiede Zagrebelskj. La domanda lascia piuttosto perplessi.Esiste un modo perché l’insegnante si sottragga al demenziale tour de force
cui è costretto (montagne di digital-scartoffie da imbrattare, tabelle
da compilare, moduli da riempire, prerequisiti, requisiti, obiettivi minimi,
ecc.) senza incorrere in sanzioni o quantomeno in una lavata di capo? Davvero
si crede che l’insegnante -malpagato, mal considerato, spesso insultato - debba e possa farsi promotore del cambiamento?Cosa
accadrebbe qualora il docente, in barba
alle competenze del saper fare e infischiandosene di micro e macro
obiettivi dedicasse le sue lezioni a passeggiate su sentieri altri e
utilizzasse -per esempio- lo spazio
riservato all’Educazione civica, non per declamare una decina di articoli della
Costituzione sui quali poi somministrare -come programmato- la ridicola verifica a crocette, ma per
leggere una pagina di Zagrebelskj su come in questa nostra Italia si vada lavorando per modificare la Costituzione (Tempi difficili per la Costituzione) e non già per migliorarla, ma per farne duttile strumento nelle mani di alcuni; oppure per analizzare le parole violente e menzognere della politica (e in special modo di taluni politici)? La qualità
dell’insegnamento ne guadagnerebbe, non c’è dubbio; si aprirebbero spazi
fecondi per la cultura che s’interroga sul perché delle cose, ma è quasi
certo che qualcuno -lo studente, i genitori, forse persino il DS- inviterebbe
il docente “politicizzato” a rientrare nei ranghi.E
ancora: come può il docente rinunciare ai contenuti irrinunciabili/significativi
-gli stessi di quarant’anni fa nonostante il proliferare di riforme e la
rivoluzione delle competenze- e passeggiare altrove?Chi -ad esempio- insegna Lettere in una classe terminale -espressione un tantino lugubre-
ha da mettere la classe nelle condizioni di affrontare l’esame finale e per
questo deve percorrere la via obbligata che, attraversando opere e pensiero di Autori
rappresentativi dello spirito di un’epoca e dunque escludendo
necessariamente i minori (non perché inferiori ma perché dissonanti-marginali
rispetto alla cultura ufficiale) dal Romanticismo conduce dritto dritto fino
-almeno- al Neorealismo (funziona così anche per tutti gli altri docenti: ciascuno impegnato nella propria maratona lungo un percorso prestabilito).E
così anno dopo anno, generazione dopo generazione, stanco ripetitore di se
stesso, l’insegnante illustra pensiero e opere dei soliti noti -i Grandi della letteratura-, trascinandosi
nella noia fino al giorno della Prima prova quando, trepidante (?) scopre che la tipologia A verte non su Pirandello come due
anni prima, ma su Quasimodo come quattro anni prima…Che emozione.
Se
l’insegnante è un burocrate annoiato e poco motivato, è sua la colpa?
L’aula magna era piena fino all’inverosimile. C’era gente in piedi tra i banchi, lungo i muri, seduta alle finestre, accalcata intorno alle porte (…) Florenskij (…) dipingeva con le parole (…) veri e propri quadri, e non solo dipingeva ma risvegliava nell’anima una sorta di risonanza (…). Egli ci spalancava gli occhi sui dettagli più minuti del modo che ci circondava, sulla natura e sull’umanità; la bellezza acquistava sempre maggiore luminosità…Il male cessava do essere così minaccioso (…). “La lezione non è un tram che vi porta da un posto all’altro”, diceva loro Florenskij, “ma è una passeggiata con gli amici” (…)
La
scuola e la lezione (…) si nutrono di parole…
Chi
ha poche parole è povero, è meno vivo di chi ne ha tante, ed è esposto alle
prevaricazioni di chi ne ha di più (…). Se uno solo sa parlare, o conosce la
parola meglio di altri, la vittoria non andrà all’argomento migliore, ma al
sofista più abile a giocare con le parole (…).
Infatti:
poche parole, poche idee; poche idee, poche possibilità; poche possibilità,
poca libertà e poca democrazia. Quando il nostro linguaggio si rattrappisse al
punto di poter pronunciare solo “sì” e “no”, solo “mi piace” e “non
mi piace”, saremmo pronti per i plebisciti e, quando conoscessimo solo “sì”,
saremmo nella condizione del gregge che può solo ubbidire al padrone (…).
L’insegnamento
e l’apprendimento consistono in questa circolazione di parole. In tale
circolazione si rende fertile e cresce ciò che possiamo chiamare “cultura”,
come vera e propria “coltivazione” di un terreno fecondo che
nutre la comunione di esseri che vivono insieme.
Il compito dei maestri che amano la (ricerca della verità) per poterla insegnare è di scrollarsi di dosso, per quanto possibile, la burocrazia che dell’istituzione è l’arma segreta.
Come si conclude l’ora di lezione, la metaforica passeggiata? Ci si può trovare tutti riuniti nel luogo che si era previsto come meta. Un punto d’arrivo, una conclusione soddisfacente (…) Ma può anche accadere, anzi accade più spesso, che la campanella suoni, che il bidello dia il finis (come accadeva ai miei tempi) e ci si trovi ancora nel bel mezzo delle cose da esaminare, delle tante questioni che si vorrebbe sollevare…è forse questo un fallimento? Per nulla. Sarà l’avvio della lezione seguente (…). Non sarà anche colpa del professore che non sa scrollarsi di dosso l’abito del burocrate che reitera parole risapute e moltiplica carte già compilate da altri, ormai prive di vita? (…) Se non riesce a parlare con fecondità, invece di prendersela solo con gli studenti e con la classe troppo numerosa che gli sta davanti, l’insegnante non dovrebbe fare anche un po’ di autocritica? Non dovrebbe, per esempio, interrogarsi sull’affievolimento delle passioni che forse l’avevano animato all’inizio della carriera (…)?
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